"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 16 marzo 2018

Cronachebarbare. 50 “Cronache che fanno Storia”.



Ho imparato che non sempre le “cronache” siano da definirsi “barbare”. Anzi, esse ci aiutano il più delle volte a capire l’attualità che ci è data da vivere. E parlo umilmente delle “cronache” le quali sono cosa ben diversa dalla “Storia”. In esse, nelle “cronache” intendo dire, non esistono o non si danno come esistenti la seriosità propria della “Storia” così come i suoi paludamenti. Nelle “cronache” si rimane a quel livello “inferiore” che definire esse “dicerie” offenderebbe non poco il buon senso comune. Esistono e restano le “cronache”, e non posso immaginare che le stesse possano, ad un certo punto della loro “storia”, divenire esse stesse “Storia” nell’accezione più completa. Ora, dopo il 4 di marzo e non volendo frugare nella “Storia”, che è opera degli specialisti, mi sono adoperato a frugare nelle “cronache” rinvenendone tra i miei scartafacci. E la “cronaca” che mi è parsa fare al mio caso risale al 26 di aprile dell’anno 2013 e porta la firma di Michele Ciliberto. L’anno 2013, come la “Storia” insegna, è stato un anno elettorale. Un paese, appena liberatosi fortunosamente e senza grandi meriti da un “egoarca” (2011), andò alle urne per rinnovare le sue “camere”, alte o basse che siano non importa in questo contesto. Riferiscono le rinvenute “cronache” di quel tempo che il disastrato paese venne a quel tempo a trovarsi nella medesima condizione che il nostro tempo ci sta propinando. Anche a quel tempo nelle “cronache” era tutto un fiorire di cacofoniche riflessioni, un fiorire di un urlante cicaleccio senza costrutto se non per tirare, come suol dirsi, l’acqua al proprio mulino, e se nel mio scartafaccio ritrovo quella – di “cronaca” – che sto per riportare alla luce è che a quel tempo mi sarà sembrata la meno cervellotica che si potesse leggere tra le tante. Il titolo di quella “cronaca” – “Ecco perché ci serve il «governo di scopo»”, pubblicata sul quotidiano l’Unità del 26 di aprile dell’anno 2013 - – fa da eco a tutto quanto in queste convulse giornate ci è toccato di leggere o sentire: Il nostro Paese attraversa da tempo un periodo di crisi che si abbatte sui ceti più deboli ed esposti: i vecchi, i giovani, lo stesso ceto medio spinto progressivamente in una situazione di difficoltà, se non di indigenza. Sarebbe perciò necessario un autentico governo riformatore in grado di avviare una politica nuova e di contenere la curva delle diseguaglianze che diventa sempre più larga, avviando, nei modi e nei tempi possibili, una redistribuzione della ricchezza. (…). Quando le istanze collettive di emancipazione non vengono soddisfatte, esse declinano, assumono altre forme, si chiudono nel circolo della singola individualità che si trasfigura nella dimensione dell’individualismo. Stanno qui la genesi prima del craxismo (che resta, comunque, nell’alveo socialista) e poi del berlusconismo. Sono in questo tumultuoso e contraddittorio processo le radici del prevalere, per vent’anni, di istanze e modelli antropologici conservatori in Italia. La storia non si ripete mai nelle stesse forme. Oggi quelle istanze di emancipazione sociale e collettiva non sono presenti. Quello che si sta affermando è invece qualcosa di assai diverso ed inquietante: un profondo «risentimento» (e uso questo termine nel suo significato specifico) di carattere personale, sociale e politico, che genera a sua volta una dimensione fortemente identitaria, alternativa, anzi antagonista, a quella della politica tradizionale ed anche della democrazia repubblicana. E più avanza la crisi, più cresce il risentimento, e più si afferma questa dimensione identitaria potenzialmente eversiva: è un circolo velenoso. Ma questo è oggi il problema essenziale della democrazia italiana: contenere questo «risentimento», che ha avuto per ora e per fortuna un esito di carattere parlamentare, ma può trovare altre forme, più gravi, di affermazione e di auto-identificazione individuale e collettiva. (…). Quali possono essere, per la democrazia italiana, le conseguenze di un rinchiudersi della politica nel suo ambito tradizionale, ordinario? Il contrario di quello che serve, a mio giudizio, perché al di la di ogni buona intenzione, questo genererebbe in prospettiva un’ulteriore radicalizzazione della situazione sociale e politica, rischiando anche di porre le basi di opzioni fortemente conservatrici ed anche, potenzialmente fuori del circuito democratico. Per cominciare a governare questa situazione incandescente è prioritario evitare di chiudersi nel recinto novecentesco della «guerra di posizione» ed aprire lo spazio entro cui le forze in campo, cercando di uscire da questa situazione di stallo, possano confrontarsi in un conflitto ordinato. (…). Se si vuole ridare forza e credibilità alla democrazia italiana, questo è un passaggio obbligato. L’opposto, dunque, di quello che propone Berlusconi, il quale con la sua proposta intende sostenere e proteggere – oltre che se stesso – il suo blocco sociale senza alcuna preoccupazione del «bene comune» evocato tartufescamente dai suoi pretoriani, come se non avessero alle spalle anni e anni di «sgoverno» che parlano per loro. Si potrebbe osservare che è una strada difficile. È vero, ma non è più difficile di quella che vuole Berlusconi. Anzi: le soluzioni che sembrano spesso più concrete e attuabili spesso appaiono tali perché prescindono dalla «materialità» dei processi e tendono, in modo astratto, a ignorarla. Ma nonostante tutto, questa dimensione materiale, a cominciare dalle condizioni del lavoro, resta ineludibile. E noi, anche se continuiamo a non capirlo fino in fondo, siamo seduti su un vulcano.
Ecco, di quella “cronaca” cosa ne è pervenuto e rimasto nella politica da quella data in poi? È da quel punto in poi della “cronaca” che tutto si imbarbarisce e che essa stessa diviene una “cronacabarbara”, nel senso che nell’incuranza della politica essa – la “cronaca” intendo dire - si è impelagata nella inutile denuncia di una pratica deleteria del potere da parte di una accolita im-politica incurante delle necessità dei suoi amministrati ed ignara delle più elementari regole della “buona politica”. Ché, se dopo il 4 di marzo si è nella necessità di re-invocare un “governo di scopo” come in quel remotissimo anno 2013, risulta del tutto evidente lo smacco subito dalla democrazia del bel paese a causa della “mala politica” di questi anni e dei ritardi che il “malaffare” ha prodotto per l’intera comunità nazionale, ché bisognerebbe non tanto ri-andare alle urne - come proditoriamente si invoca da più parti - ma attrezzarsi per partire alla ricerca (o alla caccia, ma il politicamente corretto non lo consente) di quegli gnomi della politica che per banali tornaconti personali o di gruppo - a datare da quella “cronaca” dell’anno 2013 - hanno fatto arenare e continuano a far arenare la navicella fragile sulla quale ci troviamo malamente tutti imbarcati. Scriveva a quel tempo Curzio Maltese – “Se nessuno ascolta la voce della base”, sul quotidiano la Repubblica del 26 di aprile dell’anno 2013 -: (…). Quirinarie, parlamentarie, primarie rappresentano una stessa delega in bianco ai capi. I quali poi sono liberissimi di fare l’esatto contrario di quanto vogliono gli elettori e i militanti. Tutti sanno che Bersani e i bersaniani hanno vinto le primarie contro Renzi per due ragioni sulle altre. La prima è che venivano considerati «più a sinistra » rispetto al rivale, presentato come assai più disponibile nei confronti della destra in generale e di Berlusconi in particolare. La seconda è che fra il primo e il secondo turno Bersani ha ottenuto il decisivo appoggio degli elettori di Vendola e di Sel, proprio sulla base della promessa di non accettare mai compromessi non solo con il berlusconismo, ma neppure con il centrismo rappresentato da Monti. Ora i bersaniani stanno per varare un governo con Berlusconi e Monti. Che si fa, si restituiscono i soldi dell’obolo al partito?(…). La soluzione del governissimo in corso è dunque il frutto della totale indifferenza dei vertici del Pd e di Grillo, in questo almeno uguali, nei confronti della volontà di 18 milioni di elettori. Nel Paese e nell’opinione pubblica una maggioranza di governo c’era, largamente maggioritaria. In Parlamento se n’è voluta trovare un’altra, che conviene alle oligarchie vecchie e nuove. Ma che almeno ciascuno si assuma le proprie responsabilità. E per favore, la smettano di organizzare show e di spacciarli per esercizi di democrazia. “Cronaca” o già “Storia”?

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