"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 4 gennaio 2018

Primapagina. 60 “2017: anno benedetto soltanto per i ricchi”.



Il “nuovo”, ovvero “l’anno nuovo” che è cominciato e che avanza. Storia “vecchia” – e sempre la stessa - in un “anno nuovo”. Come non tenerne conto? Per che fare? “Che fare?”, si chiedeva quello della rivoluzione d’ottobre appena ricordata. Tratto da “Anno dei Signori 2017: ci hanno guadagnato soltanto i miliardari” di Alessandro Robecchi, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 3 di gennaio 2018: (…). Su con la vita! I 500 uomini più ricchi del pianeta nel 2017 si sono messi in tasca giusti giusti mille miliardi di dollari, con un incremento del 23 per cento rispetto all’anno prima e insomma, non facciamola lunga: si certifica, nell’anno dei Signori 2017, che per diventare ricchi la cosa migliore è essere già molto ricchi. La forbice della diseguaglianza non solo non si chiude, ma si apre a dismisura, in un’annata d’oro per i miliardari. Il primo della lista, Jeff Bezos, il capo di Amazon, ha incrementato la sua fortuna del 34 e passa per cento, ora è vicino ai 100 miliardi di dollari (99,6, per la precisione, cioè per arrivare a 100 gli mancano solo 400 milioni di dollari, suggerisco di aprire una sottoscrizione). Lo inseguono Bill Gates e Warren Buffet, staccati di una manciata di miliardi (91 e 85). Il primo europeo è in sesta posizione, ed è quel Bernard Arnault, francese, che vende lusso a tutti, cioè di sicuro ai suoi 500 colleghi della classifica degli uomini più ricchi del mondo. Più ricchi che nel 2016, anno in cui erano diventati più ricchi che nel 2015, anno in cui… Potete tornare indietro un bel po': nei dieci anni della crisi è gente che non si è mai fatta mancare il segno più. Ma sì, ma sì, sono classifiche che lasciano il tempo che trovano. L’indignazione generica del momento e poi basta. Eppure – lo dico, male, un po’ rozzamente, perdonate – queste classifiche potrebbero mettere qualche idea in testa. Per esempio che lì dentro potrebbero annidarsi i famosi soldi che non ci sono mai. Ritornello costante di ogni governo più o meno o para-liberale (non solo italiano) quando si parla di servizi e diritti è “sì, sarebbe giusto, ma non ci sono i soldi”. Ora con tutti i soldi che ti fanno ciao ciao con la manina dalle classifiche (mille miliardi di dollari in più in un anno), direi che i soldi ci sono, invece, e pure tanti, e si sa anche chi li ha in tasca. È noto il ritornello liberista, che sono in realtà due. Il liberista classico dirà che ci pensa il mercato e che se uno ha cento miliardi di dollari in tasca e un suo dipendente fa fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, pazienza, che ci vuoi fare, è il mercato. Poi c’è il liberista moderno, smart e di sinistra, quello che dice uh, che bello i ricchi diventano più ricchi, e così anche chi lavora per loro sarà più felice. È un classico da Tony Blair in poi: la convinzione che se aiuti i padroni automaticamente aiuti anche i lavoratori. Una teoria interessante, che però cade un po’ a pera appena si guardano i numeri, perché i famosi padroni guadagnano mille miliardi in un anno, e i famosi lavoratori – pardon – una cippa di cazzo. Peggio: si sentono ripetere ogni giorno che i tempi sono cambiati e che devono cedere terreno e diritti. E quando la grande politica, i grandi leader mondiali (e anche i piccoli di casa nostra), parlano di diseguaglianze e di come combatterle, tendono a parlarne con Jeff Bezos e Bill Gates più che con quelli che spostano pacchi e scrivono software. Gli anni della crisi, che hanno messo in ginocchio il ceto medio e proletarizzato tutti gli altri, in molti paesi e più che altrove in Italia, sono stati anni benedetti soltanto per i ricchi, coronati dal boom del 2017. Naturalmente né la storia né la geopolitica, né l’economia si fanno con l’aritmetica, ma non è difficile fare due più due e capire che i soldi che mancano qui (al lavoro) sono finiti là (al profitto e al capitale), in misura eccessiva rispetto a qualsiasi decenza. Farsi rendere un po’ di quei soldi – e non soltanto in metafora – dovrebbe essere al primo punto di ogni programma che osasse chiamarsi “di sinistra”.

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