"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 30 gennaio 2018

Lalinguabatte. 47 “L'abolizione dell'opinione pubblica e l'efficacia persuasiva della televisione”.



Ha scritto Michele Prospero in “Il Comico della politica” - edito da Ediesse (2010), pagg. 280 € 15,00 -: “Prima che il grande capitalista si impossessi dello spazio del potere come un patrimonio privato, c’è bisogno del comico che decapiti i valori della politica riducendola a chiacchiera meritevole di sberleffo. In un discorso che mira alla delectatio, le scelte lessicali si orientano verso un piglio colloquiale, popolare o periferico, certamente poco aureo e privo di sintassi complessa, di un periodare articolato e ricco di subordinate. Senza una sostenutezza formale apprezzabile, il linguaggio di Berlusconi assimila molto gli inconfondibili tratti morfo-sintattici espressi come tipici prodotti del neo standard parlato nell’età della televisione”. Un quadro – o una sua rappresentazione – tratteggiato in un tempo che sembra essere remoto ma che ben si attaglia alla condizione nella quale questo disastrato paese si appresta a celebrare il sempiterno rito delle “elezioni”. E come di rincalzo in quel tempo andato Michela Marzano scriveva nella Sua dotta riflessione - “Viaggio ai confini del reality” - pubblicata sul quotidiano “la Repubblica” del 18 di marzo dell’anno del signore 2010: “(…). La nuova autorità è oggi la televisione? Fino a dove si è disposti ad andare pur di essere visti da milioni di telespettatori e vivere un quarto d’ora di celebrità, come diceva Andy Warhol? Negli ultimi anni, i reality show si sono moltiplicati. Dal Grande Fratello a X-Factor, da La Fattoria a L’isola dei famosi, progressivamente, la televisione ha eliminato le barriere tra realtà e finzione, vita pubblica e vita privata. Per attirare l’audience, si è lentamente insinuata nella vita degli spettatori fino a colonizzarne le emozioni, come spiega il filosofo Bernard Stiegler.
Al punto che molti non sanno più distinguere tra ciò che accade realmente e ciò che, invece, è il semplice frutto di una costruzione, di una messa in scena, di un dispositivo prefabbricato. (…). Quando realtà e finzione si mescolano, si può ancora distinguere ciò che è vero da ciò che è falso? Quando si ride di fronte alla rappresentazione della sofferenza, è ancora possibile provare compassione per l’altro, averne pietà, rispettare le regole dell’etica? (…). Dove finisce lo spettacolo e inizia la vita reale? (…). Il dominio simbolico della televisione, già denunciato dal sociologo Pierre Bourdieu, sembra trionfare, proprio mentre la televisione si impegna a vendere tempo di cervello disponibile, come spiegava giudiziosamente Patrick Le Lay, l’amministratore delegato di TF1, nel 2004. A forza di rendere il cervello disponibile a qualunque messaggio, la televisione è diventata la nuova Autorità. Suggerisce, influenza, occulta, comanda… E gli esseri umani, da sempre disposti ad obbedire agli ordini, cedono sempre più facilmente al fascino discreto del suo immenso potere. (…)”. Fine della citazione. Accade tutti i giorni che la rappresentazione – ché di rappresentazione è bene parlare - del mondo esterno resa dai mezzi di comunicazione di massa appaia ai più, alla gente comune, come l’unica realtà possibile e quindi esistente. Ma il fatto più tragico ancora è che le barriere che la gente, nel suo cosiddetto comune sentire, prima frapponeva tra la pratica della rappresentazione mediatica del mondo esterno, pratica della rappresentazione mediatica che pur sempre deve essere “mediata” da un mezzo in mano a qualcuno, onesto o poco onesto non importa, e la rappresentazione del sé, ovvero di sé stessi, del proprio essere e vivere, della propria sfera affettiva ed emozionale, quelle barriere dicevo non vengono più erette ed anzi sembrano si siano volatilizzate al seguito del dilagare, incontrollato e senza fini se non di lucro esclusivo, delle televisioni a scopo prettamente commerciale o, nel caso del bel paese che fa scuola nell’intero globo terracqueo, al seguito della televisione dell’ammiccamento, dell’indottrinamento o dell’occultamento “tout court”. Scrive infatti l’illustre Autrice: “Per attirare l’audience, (la televisione n.d.r.) si è lentamente insinuata nella vita degli spettatori fino a colonizzarne le emozioni…”. Un popolo televisivo di cloni. Sull’argomento il professor Umberto Galimberti con una Sua riflessione pubblicata su di un supplemento del quotidiano “la Repubblica” del 26 di giugno dell’anno 2010 col titolo “La Tv è il nostro mondo” - riflessione che di seguito trascrivo nella sua interezza – stigmatizzava allora lo “scempio” scientemente ed artatamente operato – e che continua ad operare oggigiorno - dai mezzi di comunicazione di massa ancor prima del diffondersi di “internet” e del dilagare di quelle false notizie ad esso collegate, false notizie che non vengono parimenti ascritte a quegli stessi strumenti di disinformazione e di distrazione di massa che “internet” hanno preceduto. Scriveva il professor Galimberti: Scrive McLuhan: - Il vero messaggio di un mezzo di comunicazione è nel mutamento di proporzioni, di ritmo e di schemi che introduce nei rapporti umani -. In ogni tempo, in ogni luogo, in ogni epoca storica gli uomini non hanno mai abitato il mondo, ma sempre e solo la sua descrizione: mitica nel mondo antico, religiosa nel medioevo, scientifica nell'età moderna e oggi tecnica. Se non c'è un mondo al di là della sua descrizione, la televisione non è un mezzo che rende pubblici dei fatti, ma la pubblicità che concede diventa il fine per cui i fatti accadono. L'informazione cessa di essere un resoconto per tradursi in una vera e propria costruzione dei fatti. E questo non nel senso che molti fatti del mondo non avrebbero rilevanza se i media non ce li proponessero, ma perché un enorme numero di azioni non verrebbero compiute se i mezzi di comunicazione non ne dessero notizia. Oggi il mondo accade perché lo si comunica, e il mondo comunicato è l'unico che abitiamo. Non più un mondo di fatti e poi l'informazione, ma un mondo di fatti per l'informazione. Questo è il vero problema: la costruzione televisiva del mondo che prende il posto del mondo. Con questo non si vuol dire che la televisione mente. Non ne ha bisogno in un contesto dove nulla viene più fatto se non per essere telecomunicato. Siamo quindi noi i veri responsabili della risoluzione del mondo nella sua narrazione televisiva. Ma là dove la realtà del mondo non è più discernibile dal racconto del mondo, il consenso non avviene più sulle cose, ma sulla descrizione televisiva delle cose, che ha preso il posto della loro realtà. La conseguenza è l'abolizione dell'opinione pubblica, perché se tutti guardano la televisione, quando si sonda l'opinione pubblica, ciò che il sondaggio verifica non è la libera opinione dei cittadini, ma l'efficacia persuasiva della televisione, che prima crea l'opinione pubblica e poi sonda la sua creazione. A questo punto l'opinione pubblica altro non è che lo specchio di rifrazione del discorso televisivo in cui si celebra la descrizione del mondo. In ciò nulla di nuovo. Anche la vita degli antichi o quella dei medioevali era lo specchio di rifrazione su cui si celebrava il discorso mitico o il discorso religioso. La novità è che nelle società antiche, dove si disponeva solo di piazze o di pulpiti, non era possibile raggiungere l'intero sociale, per cui restavano spazi per idee e discorsi differenti, da cui prendeva avvio la novità storica. Oggi questo spazio è praticamente abolito, e la novità storica, se potrà esprimersi, dovrà prodursi in forme che ancora non si lasciano intravedere. E allora il problema si risolve non spegnendo la televisione, ma creando altre fonti di informazione alternative alla descrizione televisiva del mondo, come i giornali che pochi leggono, o internet da noi ancora così poco frequentato. E questo per non trovarci in quella condizione che Günter Anders descrive in quel Racconto per bambini, dove si narra che un re non vedeva di buon occhio che suo figlio, abbandonando le strade controllate, si aggirasse per le campagne per formarsi un giudizio sul mondo; perciò gli regalò carrozza e cavalli: - Ora non hai più bisogno di andare a piedi -, furono le sue parole. - Ora non ti è più consentito di farlo -, era il loro significato. - Ora non puoi più farlo -, fu il loro effetto.

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