"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 27 novembre 2017

Quodlibet. 35 «Non c’è una politica corrotta e una società civile sana».



Da “Quel che resta del ventennio” di Barbara Spinelli, pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 27 di novembre dell’anno 2013: (…). Nel 1944, non fu un italiano ma un giornalista americano, Herbert Matthews, a dire sulla rivista Mercurio di Alba de Céspedes: «Non l’avete ucciso!» Tutt’altro che morto, il fascismo avrebbe continuato a vivere dentro gli italiani. Non certo nelle forme di ieri ma in tanti modi di pensare, di agire. L’infezione, «nostro mal du siècle», sarebbe durata a lungo: a ciascuno toccava «combatterlo per tutta la vita», dentro di sé. Lo stesso vale per la cosiddetta caduta di Berlusconi È un sollievo sapere che non sarà più decisivo, in Parlamento e nel governo, ma il berlusconismo è sempre lì, e non sarà semplice disabituarsi a una droga che ha cattivato non solo politici e partiti, ma la società. Sylos Labini lo aveva detto, nell’ottobre 2004: «Non c’è un potere politico corrotto e una società civile sana». Fosse stata sana, la società avrebbe resistito subito all’ascesa del capopopolo, che fu invece irresistibile: «Siamo tutti immersi nella corruzione», avvertì Sylos. La servitù volontaria a dominatori stranieri e predatori ce l’abbiamo nel sangue dal Medioevo, anche se riscattata da Risorgimento e Resistenza. La stessa fine della guerra, l’8 settembre’43, fu disastrosamente ambigua: «Tutti a casa », disse Badoglio, ma senza rompere con Hitler, permettendogli di occupare mezza Italia. Tutte le nostre transizioni sono fangose doppiezze. (…). Il ventennio dovrà essere finalmente giudicato: per come è nato, come ha potuto attecchire. Al pari di Mussolini non cadde dal cielo, non creò ma aggravò la crisi italiana. Nel ’94 irruppe per corazzare la cultura di illegalità e corruzione della Dc, di Craxi, della P2, e debellare non già la Prima repubblica ma la rigenerazione (una sorta di Risorgimento, anche se trascurò la dipendenza del Pci dall’oro di Mosca) avviata a Milano da Mani Pulite, e poco prima a Palermo da Falcone e Borsellino. Il berlusconismo resta innanzitutto come dispositivo del presente (…). Ma ancora più fondamentale è l’eredità culturale e politica del ventennio I suoi modi di pensare, d’agire, il mal du siècle che perdura. Senza uno spietato esame di coscienza non cesseranno d’intossicare l’Italia. (…). Altro lascito: la politica non distinta ma separata dalla morale, anzi contrapposta. È un’abitudine mentale ormai, un credo epidemico. Già Leopardi dice che gli italiani sono cinici proprio perché più astuti, smagati, meno romantici dei nordici. Non sono cambiati. Ci si aggrappa a Machiavelli, che disgiunse politica e morale. Ci si serve di lui, per dire che il fine giustifica i mezzi. Ma è un abuso che autorizza i peggiori nostri vizi: i mezzi divengono il fine (il potere per il potere) e lo storcono. Il falso machiavellismo vive a destra, a sinistra, al Quirinale. La questione morale, poco pragmatica, soffre spregio. Berlinguer la pose nel ’77: nel Pd vien chiamata una sua devianza fuorviante.
Anche il mito della società civile è retaggio del ventennio. Il popolo è meglio dei leader, i suoi responsi sovrastano legalmente i tribunali. Democraticamente sovrano, esso incarna la volontà generale, che non erra. Salvatore Settis critica l’ambiguità di questa formula-passe-partout: è un’«etichetta legittimante, che designa portatori di interessi il cui peso è proporzionale alla potenza economica, e non alla cura del bene comune; tipicamente, imprenditori e banchieri che per difendere interessi propri e altrui si degnano discendere in politica», ritenendo inabili politici e partiti. Non solo: la società civile «viene spesso intesa non solo come diversa dallo Stato, ma come sua avversaria; quasi che lo Stato (identificato con i governi pro tempore) debba essere per sua natura il nemico del bene comune». (Azione popolare, Einaudi 2012, pp. 207, 212). Così deturpata, la formula ha fatto proseliti: grazie all’uso oligarchico della società civile (o dei tecnici), la politica è vieppiù screditata, la cultura dell’amoralità o illegalità vieppiù accreditata. (…). No, Berlusconi non l’abbiamo cancellato Perché la società è guasta: «Siamo tutti immersi nella corruzione». Da un ventennio amorale, immorale, illegale, usciremo solo se guardando nello specchio vedremo noi stessi dietro il mostro. Altrimenti dovremo dire, parafrasando Remarque: niente di nuovo sul fronte italiano. La guerra civile ed emergenziale narrata da Berlusconi ha bloccato la nostra crescita civile oltre che economica, e perpetuato la «putrefazione morale» svelata da Piero Calamandrei. Un’intera generazione è stata immolata a finte stabilità. La decadenza di Berlusconi, se verrà, è un primo atto. Sarà vana, se non decadrà anche l’atroce giudizio di Calamandrei.

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