"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 5 novembre 2017

Quodlibet. 28 «La politica “nuova” ed il senso per la leadership ».



Da “Le campagne elettorali che non finiscono mai” di Massimiliano Panarari – attualmente docente nell’Università Bocconi di Milano, Dipartimento di Analisi delle Politiche e Management Pubblico -, pubblicato sul settimanale “D” del 5 di novembre dell’anno 2016: Fattore donne. Come Hillary (Rodham) Clinton, la candidata. Come le signore e ragazze molestate o insultate da Donald Trump, l'altro candidato. Come Melania (Knauss) Trump, che ripropone uno stereotipo di "femminilità decorativa", complice-vittima del "maschio alfa" che ha messo fortemente a disagio il Partito repubblicano con i suoi comportamenti da "predatore sessuale" (ma, in quanto a overdosi di testosterone, anche la competitor ha i suoi grattacapi con il marito ex presidente). E, last but not least, Michelle (Robinson) Obama, che ha subìto il plagio di un discorso (scritto dalla speechwriter Sara Hurwitz) da parte di Melania Trump (ovvero di Meredith McIver, che le prepara i testi) alla convention del Partito repubblicano a Cleveland, e che, in un evento a sostegno di Hillary in New Hampshire a metà ottobre, ha tenuto quello che il New York Times ha definito l'intervento più importante di una First lady statunitense negli ultimi vent'anni, possibile preludio di un futuro in politica di una donna di colore dagli evidenti tratti carismatici. La campagna elettorale "all'americana", nella sua evoluzione, rappresenta la manifestazione per eccellenza del progresso delle strategie di organizzazione del consenso e dell'affinamento delle "tecnologie" di persuasione dell'opinione pubblica. È la "campagna permanente" (categoria messa a punto, nel 1980, da Sidney Blumenthal, consigliere di lungo corso dei coniugi Clinton, nel suo libro The Permanent Campaigning), che ne costituisce nella storia delle democrazie rappresentative la forma più sofisticata e avanzata (e con le capacità più elevate di manipolazione soft). Al punto, come scriveva Blumenthal agli albori della lunga stagione reaganiana (che tanto doveva proprio alle innovazioni comunicative), da identificare la vera «ideologia politica della nostra epoca», mentre la frattura tradizionale tra destra e sinistra appare oggi consumata, sostituita da varianti come quella che oppone il populismo e l'antipolitica alle forze di sistema. Dagli anni Ottanta la percezione del "senso per la leadership" del candidato rappresenta una delle motivazioni fondamentali del voto dei cittadini, e le attività di comunicazione diventano centrali, estendendosi nel tempo ben al di là della durata consueta del periodo della campagna elettorale. Che richiede competenze specifiche, con la professionalizzazione sempre più spinta delle figure dei consulenti e comunicatori e un ruolo decisivo svolto dai direttori di campagna (stile John Podesta, già capo di gabinetto di Bill Clinton e di Barack Obama, e ora al vertice della macchina organizzativa e propagandistica di Hillary) e dagli spin doctor, gli specialisti che hanno il compito di dare ai messaggi politici lo "spin", sovraccaricandone la portata e l'effetto sull'opinione pubblica. Perché a loro, innanzitutto, spetta la missione di costruire e far funzionare l'ingegneria del consenso, nonché di influenzare i mezzi di comunicazione di massa, ai quali ci si deve necessariamente rivolgere, in epoca di debolezza (se non di scomparsa) dei partiti, di disintermediazione e di continui "appelli diretti al popolo", per arrivare agli elettori.
A colpi di marketing politico-elettorale, di web-politics, di "transpolitica", di storytelling, di narrazioni e di battaglie per imporre il proprio framing politico-sociale, e per dominare l'agenda del dibattito pubblico costringendo l'avversario a "rincorrere". E, dunque, una campagna elettorale che si è fatta postmoderna nelle tecniche per conquistare un immaginario via via più omogeneo e un consenso sempre più disincantato, è diventata ininterrotta come nel caso dell'attuale corsa per la presidenza degli Stati Uniti, iniziata da un tempo che sembra infinito (…). Quella Usa, come hanno rimarcato molti osservatori, è stata la più «pazza» e «cattiva», nel disprezzo reciproco tra i candidati, delle campagne elettorali in quella che resta la nazione guida dell'Occidente. Un altro segno del malessere delle nostre liberaldemocrazie, purtroppo convertite ormai in postdemocrazie.

Nessun commento:

Posta un commento