"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 1 ottobre 2017

Sfogliature. 85 “Un vecchio leader ed un leader vecchio”.



La “sfogliatura” di oggi è del 2 di marzo dell’anno 2010. Sette anni per il ritorno di un “leader vecchio” – non anagraficamente parlando, che non ce ne importa in fico secco - del quale sembrava ce ne fossimo liberati, come in un tragicomico sogno. O incubo. Scrivevo quel 2 di marzo: Sono andato a vedere “Invictus”. Mi ha salvato l’oscurità accogliente della sala cinematografica. Poiché la visione di questo ultimo lavoro di Clint Eastwood toglie letteralmente il fiato. E sì che ci si è abituati al Suo nuovo ruolo di grande regista. Straordinario Clint in questo Suo “Invictus”, così come lo era stato nel Suo “Million dollar baby”, o ancora nel Suo “Gran Torino”. Una visione mozza-fiato dicevo, dai ritmi incalzanti, che in più di una occasione spinge l’emozione a livelli tali da farti sentire i lucciconi raccogliersi per scendere copiosi, se non si avesse l’accortezza di tirare su col naso. Poiché in “Invictus” si parla di un grande “leader vecchio” dei tempi nostri. Ma di un “leader vecchio” che ha dato dignità e speranza ad un intero popolo. Senza distinzione alcuna. Ad un intero continente. Quel “leader vecchio”, la cui vita politica il grande Clint ha trasposto per noi sullo schermo, è Nelson Mandela. Perché ne scrivo? Solo per esprimere l’amarezza al pensare il contesto politico, il clima sociale che domina sovrano, incontrastato, irruento, in preda alla perenne isteria, con la pratica costante della caccia ad improbabili nemici, al clima insopportabile che domina nelle contrade del bel paese. Fortunato quel popolo che abbia avuto un leader di quella statura! Miserevole la vita politica e sociale del bel paese al ritrovarsi “un leader vecchio” come il signor B. Seppur avanti negli anni quando è andato al potere Nelson Mandela, giovine è stato il Suo animo e la Sua straordinaria intelligenza politica, da riuscire a comporre sapientemente e sagacemente un inestricabile, avvelenato groviglio di pre-giudizi, di interessi contrapposti e di ataviche incomprensioni e contrapposizioni razziali. Fortunato quel popolo! La gerontocrazia del bel paese ci ha fornito ben altro personale politico. Che i miei lucciconi, a stento trattenuti, non siano a causa di un malessere, oramai diffuso, che attanaglia la vita sociale e politica del bel paese? È triste giungere ad invidiare un paese lontano, per aver esso avuto la fortuna di avere un leader vecchio che ha tutti uniti in una Sua profetica visione del futuro del Suo paese! Senza nemici da abbattere! E dopo aver trascorso ben 27 anni nelle patrie galere! Straordinario Morgan Freeman nella parte del leader sudafricano. Morgan Freeman ha toccato, in questa occasione, vertici altissimi nella recitazione, così come aveva fatto in quella deliziosa commedia – accanto alla straordinaria Jessica Tandy - che è stata “A spasso con Daisy”. Gli chiede un intervistatore su di un supplemento del quotidiano “la Repubblica”: - Qual è la differenza tra un adulto e un bambino? - Che l'adulto è pieno di pregiudizi, il bambino ancora no.
- Cosa pensa di una persona che non ha dubbi, incertezze? - Beato lui! Per esempio uno come Eastwood, che sa sempre quello che vuole fare. E non alza mai la voce.
 - Se la sua vita fosse un film lo dirigerebbe lei? - Se no, chi? Solo il mio amico Clint potrebbe rendere la mia vita interessante al cinema. (…)
- Un suo sogno? - Un presidente bianco del Sudafrica, che riesca a convincere il suo elettorato nero che è l'uomo giusto per arrivare a una vera eguaglianza nel paese.
- Nelson Mandela per lei è...? - Una figura leggendaria che mi ha voluto come amico e suo interprete. Il più saggio - e astuto - leader del movimento per i diritti umani. (…). Di un leader vecchio, ma non anagraficamente soltanto, ne ha scritto Aldo Schiavone - professore ordinario di Diritto romano presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Firenze e dall’anno 2005 professore ordinario di Diritto romano presso l'Istituto Italiano di Scienze Umane - sul quotidiano “la Repubblica”. Del Suo interessante pezzo, “Un leader vecchio” per l’appunto, di seguito ne trascrivo le parti più salienti. Per rifletterci meglio su, finché si è in tempo: (…). …la sua immagine (dell’egoarca di Arcore n.d.r.) non appartiene al futuro d'Italia (…). Per riuscirvi non vi è che una sola strada. Mostrare - non solo intellettualmente, ma nella pratica sociale - quanto siano invecchiati, datati, irrimediabilmente del secolo scorso, tutti gli elementi che hanno a suo tempo fatto nascere un corto circuito che blocca il Paese, e non lo fa crescere. È vecchia la tradizione dell'anticomunismo, che è stata il sale della ricetta berlusconiana, e che è ravvivata solo dalla vischiosità della memoria politica italiana e dai pasticci culturali della sinistra degli anni Novanta. È vecchia la retorica dell'antipolitica, in una stagione in cui tutto il mondo si interroga sulla forma di un nuovo rapporto fra politica ed economia, tra governance sia nazionale, sia mondiale e (seconda) globalizzazione (Tremonti ne sa bene qualcosa). È vecchio il civettare continuo con un certo sovversivismo antistatalista, quando è evidente che di Stato c'è più che mai bisogno. È vecchia la suggestione di un modello di illimitato individualismo acquisitivo - ricchezza e piaceri, di tutto di più - quando l'intero occidente è alla ricerca di una nuova misura fra consumi, desideri e cura di sé. È vecchia la sregolatezza liberista, mentre dovunque si chiedono più diritto, più norme, più legame sociale. È vecchia la vocazione moderata, quando i grandi partiti conservatori, in Europa e in America, stanno scegliendo altre strade. Ed è insopportabilmente vecchio - sì, irrimediabilmente anni Novanta - quel mettere continuamente in scena se stesso (i suoi problemi, le sue persecuzioni, il suo giro di amicizie), in una sorta di stato d'eccezione personale e permanente, di identificazione fra sé e lo Stato che monopolizza il dibattito pubblico, distogliendoci da quel che più dovrebbe starci a cuore: il futuro del Paese e la qualità delle scelte strategiche da cui dipende il nostro destino. (…).

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