"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 24 settembre 2017

Sfogliature. 84 “Le regole nel paese di Alice”.



La “sfogliatura” di oggi è del 17 di marzo dell’anno 2010. Ci era sembrato, o ci si è solamente illusi, che quello scenario ben raffigurato in essa si fosse chiuso definitivamente nella “storia” politica del bel paese. Inutile! Non esiste nulla di più inamovibile ed immutabile di un certo procedere della nostra “storia” politica. Tanto è vero che quel protagonista torna prepotentemente ed arrogantemente alla ribalta immemore - il paese soprattutto - di una condanna definitiva a carico di quel protagonista per un reato gravissimo quale è la “frode fiscale”. Quel protagonista attende al momento che una corte di Strasburgo gli restituisca quella “agibilità politica” in barba ad una sentenza definitiva e ad un reato che l’attesa sentenza non potrà mai e poi mai cancellare. Quella sentenza lo lascerà sì “colpevole” restituendolo però all’agone politico azzerando quella “legge Severino” in forza della quale gli era stata tolta l’eleggibilità. Non un sussulto da parte della “casta” per l’immondo ritorno, “casta” alla quale tornerà utile l’imminente pronunciamento di quella corte. Sosteneva Barbara Spinelli ad una domanda di Silvia Truzzi in una intervista rilasciata su “il Fatto Quotidiano” del 12 di settembre dell’anno 2013 - “L’obiettivo di B.: prescrizione politica” -: (…). S. T. Perché sembra una bestemmia dire che una persona condannata definitivamente per frode fiscale – reato ai danni dello Stato – non può rappresentare i cittadini in Parlamento? – B. S. Perché è difficile dire quel che pure è ovvio: questo nostro Stato si definisce a parole democratico, ma ha perduto la coscienza di essere una democrazia costituzionale, cioè dotata di una legge fondamentale che garantisce principi come la separazione dei poteri e, appunto, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Scrivevo a quel tempo - che pare essersi magicamente e sinistramente fermato -:
Ha scritto Bruno Gravagnuolo sul quotidiano l’Unità del 10 di marzo 2010 - “L’arma della regressione” -: “(…). … veniamo a Berlusconi, «dominus» di (…) questa scena. Il suo vero potere, (…), nasce dalla capacità di coinvolgere regressivamente il suo pubblico in una sorta di orgia festosa e demistificante. Che abbatte la serietà di ogni discorso, scientifico, politico, giuridico, etico, vincolato alla depressiva realtà. E che sia in grado di mobilitare, con la delectatio gestuale e linguistica, una corrente di piacere liberatoria, lì per lì illusoriamente senza freni. Ecco allora che l’individualismo privatistico liberato può effondersi, diventando carnevale goliardico di massa. E tale da coinvolgere metodicamente anche individui spossessati e non proprietari, in una festa trasgressiva e corale. Linguaggio, gesti e linguaggio del corpo del capo sono così messi al servizio di un blocco sociale di interessi composito, che è anche un fatto psicologico collettivo. In attesa di qualcosa di più serio: il Potere monocratico e post-politico. Figlio del riso e delle sue maschere”. Sono andato a vedere l’Alice di Tim Burton. Il regista visionario della “Sposa cadavere”, o della “Fabbrica di cioccolato”. O del “Mistero di Sleepy Hollow”. Di “Beetlejuice - Spiritello Porcello”. Tutti lavori che resteranno nella storia del cinema. La sala era al completo. Famiglie al gran completo con piccoli di tutte le età. Era scontato che il pubblico fosse anche di quel tipo. Lo avevo riscontrato andando tempo addietro a vedere il “Pinocchio” di Benigni. Dalle due esperienze ne sono uscito desolato. Ti aspetteresti una sala diversa. In tutte e due le occasioni la partecipazione è stata “gelida”. Non un accenno, dico da parte dei bambini e dei ragazzini presenti, d’un segnale di emozione, di una risata liberatoria, di un sommovimento qualsiasi che ti lasciasse percepire una partecipazione viva ed attesa tanto. Un “gelo” in sala! Questa è stata la mia personale esperienza con l’Alice di Tim Burton. Come intenderla? Non oso fare supposizioni sociologiche o quant’altro. Non ne posseggo gli strumenti scientifici. Cosa sarà successo ai bambini ed ai ragazzini di oggi? Dico, cosa sarà successo alla loro fantasia, al loro immaginare collettivo? Lunga digressione la mia per dire che forse il mondo di Alice lo abbiamo nel quotidiano attorno a noi. Sul piccolo schermo innanzitutto, il “mostro mite” delle nostre case. Un tale stato di cose è come se avesse svuotato le menti ed i cuori di ogni principio di realtà, rendendo tutto sempre più sfumato e confuso. Che i bambini ed i ragazzi d’oggi abbiamo introiettato una tale situazione nelle loro menti? Non riesco a dare un’altra interpretazione. È un guazzabuglio! Il mondo di Alice è tutto attorno a noi. E le invenzioni tecnologiche della tridimensionalità hanno stupefatto ma non incantato la “gelida” platea. È pur vero che Helena Bonham Carter, la regina cattiva, alla fine viene sconfitta da Anne Hathaway, la buona Regina Bianca. Anche in questo epilogo esaltante, dove il bene trionfa sul male, il “gelo” della sala non si è dissolto. A differenza degli entusiasmi nostri, di noi giovanetti di un tempo, all’arrivo “dei nostri”! Di un ben diverso mondo di Alice ne ha scritto Guido Crainz sul quotidiano “la Repubblica”. Nel caso, il titolo dello scritto è “Le regole nel paese di Alice”. Ma il cappellaio matto di cui parla l’autorevole opinionista non è il geniale Johnny Depp; il cappellaio in questione è il signor B. Trascrivo di seguito una parte della interessante Sua riflessione: (…). Ascoltando il premier è venuto spesso in mente nei giorni scorsi quel personaggio di Lewis Carroll che «in tono alquanto sprezzante» dice, in Alice nel Paese delle Meraviglie: «Quando io uso una parola, questa significa esattamente quello che decido io». Bisogna vedere se lo puoi fare, cerca di obiettare Alice: «Bisogna vedere chi comanda…è tutto qua», le risponde Humpty Dumpty. È difficile sintetizzare meglio l´idea di «democrazia sostanziale e non formale» cui si è richiamato nei giorni scorsi il capo del governo, negando e al tempo stesso quasi rivendicando imperizia e arroganza. E provocando anche qualche sussulto negativo in una parte del suo elettorato. Increspature di superficie, ove si pensi a quel che è venuto alla luce già prima della vicenda delle liste: la qualità nuova della corruzione, la logica sottesa alla trasformazione della Protezione civile –fermata appena in tempo- e naturalmente quel percorso di cui il «legittimo impedimento» è solo un ulteriore passaggio. E non si sottovalutino il significato e le conseguenze di «forzature» che hanno messo a durissima prova anche gli argini istituzionali più alti e più solidi. Nel traballare del prestigio del leader molti osservatori hanno cominciato a chiedersi cosa potrebbe succedere se questo governo cadesse, ma c´è da domandarsi semmai quali scenari si aprirebbero se il governo superasse indenne la crisi. Se riuscisse cioè a trasformare in «normalità» e «norma» quell´insieme di violazioni del funzionamento della democrazia che ha imposto sin qui. (…). …il progetto esplicito di Silvio Berlusconi è la riscrittura e lo stravolgimento della Costituzione, e a questo compito porrebbe mano con molta più decisione ove questa fase fosse superata. È evidente dunque la necessità di fermare una deriva, ma appare al tempo stesso necessario invertire tendenze profonde, sempre più diffuse nella «società civile». Avviare, almeno, questo processo. (…). Si scorrano alcuni penetranti interventi pubblicati di recente su riviste e quotidiani. Compare non fuggevolmente in essi l´idea che la nostra vicenda unitaria da un certo punto in poi abbia visto non un´opera di costruzione dello Stato ma «di distruzione, che si è fatta più intensa negli anni recenti. Sono ormai gravemente minacciati la democrazia e principi fondamentali dello Stato di diritto» (Tommaso Padoa Schioppa). Con accenti e toni diversi, inoltre, essi disegnano l´emergere «di immagini di noi, del nostro sentire collettivo, che cozzano contro un senso civico ideale, rispettoso dei beni pubblici e della legalità» (Piero Ignazi); tracciano i contorni un paese sfibrato, segnato dalla «rassegnazione al peggio» e da quella carenza di codici morali che rende sempre più rara persino l´indignazione (Giuseppe De Rita). Riflettono, anche, su nuove forme di «plebeismo» che sembrano essersi insinuate sin «nel cuore ansioso dei nuovi ceti medi», sempre meno attivi nel promuovere e attivare «processi di civilizzazione» (Carlo Donolo). Più voci, anche molto diverse fra loro, sembrano dunque dirci in modo convergente che il futuro è progressivamente scomparso non solo dalla agenda della politica ma anche dal nostro orizzonte. (…).

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