Da “Lo
strip-tease e la cavallinità” (1960) di Umberto Eco, riportato in “Diario
minimo” (alle pagg. 26/29) nella edizione dell’anno 1988 degli Oscar Mondadori:
Quando
appare sul piccolo palcoscenico del "Crazy Horse", riparata da una
cortina di rete nera a larghe maglie, Lilly Niagara è già nuda. Poco più che
nuda, con un reggiseno nero slacciato e un reggicalze. La prima parte del
numero la impiega a rivestirsi pigramente, a infilarsi cioè le calze e ad
allacciarsi la neghittosa bardatura che le pendeva sul-le membra. La seconda
parte la dedica a riportarsi nella situazione di partenza. Così che il
pubblico, incerto se questa donna si sia spogliata o si sia vestita, non si
rende conto che in effetti non ha fatto nulla, perché anche i gesti lenti e sofferenti,
contrappuntati dall'espressione angosciata del volto, dichiarano a tal punto la
volontà di mestiere, e si iscrivono così esplicitamente in una tradizione di
alta scuola, ormai codificata persino da manuali, che non han-no nulla di
imprevisto – e perciò di seducente. Di fronte alla tecnica di altre maestre
dello strip-tease, che sanno dosare così accortamente la loro offerta di una
innocenza introduttiva, su cui fanno precipitare risoluzioni d'improvvisa
malizia, lascivie tenute in serbo, scatti ferini riservati per l'ultima infamia
(maestre dunque di uno strip dialettico e occidentale), la tecnica di Lilly
Niagara è già beat e hard e rimeditata oggi ci ricorda piuttosto la Cecilia
della Noia moraviana, una sessualità annoiata fatta di indifferenza, condita
qui di una maestria sopportata come una condanna. Dunque Lilly Niagara vuole
raggiungere l'ultimo livello dello strip-tease, quello in cui, nonché offrire lo
spettacolo di una seduzione che non si indirizza ad alcuno, che promette alla
folla ma che sottrae il dono all'ultimo istante, si varca l'ultima soglia e si
elude persino la promessa della seduzione. Così se lo strip-tease tradizionale
è la profferta di un amplesso che si rivela d'un tratto interruptus,
promuovendo nei fedeli una mistica della privazione, lo strip di Lilly Niagara
castiga persino la iattanza dei nuovi adepti, rivelando loro che la realtà
promessa non solo è unicamente contemplabile, ma si sottrae persino alla
pienezza della contemplazione immobile, perché di essa si deve tacere. L'arte
bizantina di Lilly Niagara conferma però la struttura abituale dello
strip-tease di convenzione e la sua natura simbolica. È solo in alcune boìtes
di pessima reputazione che potete a fine spettacolo indurre colei che si è
esibita a fare commercio di sé.
Al "Crazy Horse" vi si avverte
persino urbanamente che non è dignitoso chiedere fotografie in acquisto: ciò
che si deve vedere appare solo per pochi minuti nell'area magica del
palcoscenico. E se leggete gli articoli sullo strip o i commenti letterati che
ornano alcune brochures offerte dai teatri maggiori, vi accorgete che tipico
della danzatrice nuda è compiere il proprio mestiere con proba diligenza, coltivando
in privato amori domestici, giovani fidanzati che le accompagnano al lavoro,
mariti gelosissimi, pareti invalicabili. Né sembri questo artificio da poco,
perché la proterva ed ingenua Belle Epoque si sforzava invece di convincere i
consumatori che le sue dive erano dei mostri sitibondi, in privato come in
pubblico, divoratrici d'uomini e patrimoni, sacerdotesse delle più raffinate
nefandezze d'alcova. Ma la Belle Epoque apprestava i suoi fasti peccaminosi per
una classe agiata e dirigente, a cui doveva consentire e il teatro e il
dopoteatro, ed il possesso pieno degli oggetti, privilegio inalienabile del
denaro. Lo strip-tease, che potete vedere a somme modicissime e in qualsiasi
ora del giorno, anche in maniche di camicia, nessun abito di rigore, e persino
due volte perché lo spettacolo è permanente, lo strip-tease si rivolge invece
al cittadino medio, e offrendogli i suoi minuti di raccoglimento religioso, gli
sottintende la sua teologia, iniettata a titolo di persuasione occulta e non
sciorinata per quaestiones. L'essenza di questa teologia è che il fedele può
ammirare i beni fastosi della pienezza femminile, ma non ne può usare perché questa
autorità non gli compete. Potrà usare se vorrà delle donne che la società gli
concede e che la sorte gli ha assegnato; ma un malizioso cartello del
"Crazy Horse" lo avverte che, se tornando a casa si troverà insoddisfatto
della propria signora, potrà mandarla a corsi pomeridiani di disimpegno e
movenze, che la direzione del locale organizza per studentesse e casalinghe. E
non è certo se questi corsi esistano sul serio né se il cliente oserà far la
proposta alla consorte; quello che conta è che in lui si insinui il dubbio che,
se la striptiseuse è la donna, sua moglie sia qualcos'altro, e se sua moglie va
considerata donna, la striptiseuse sia allora qualcosa in più, la femminilità,
o il sesso, o l'estasi, il peccato, la malizia. È comunque ciò che a lui, che
guarda, non compete; la radice che gli sfugge, il termine dell'estasi che non
deve raggiungere, il senso del trionfo che gli è inibito, la pienezza dei
sensi, il dominio del mondo che gli è solo raccontato. Il rapporto tipico dello
strip-tease esige che la donna, che ha dato l'ultimo spettacolo delle sue possibilità
di appagamento, non sia assolutamente fruibile. Un libretto distribuito al
"Concert Mayol", con un saggio introduttivo stancamente libertino,
termina tuttavia con una intuizione rivelatrice; dice, a un dipresso, che il
trionfo della donna nuda sotto i riflettori, mentre si offre agli sguardi di
una platea protesa e inappagata, è fatto proprio della maliziosa coscienza che
in quell'istante coloro che la guardano la stanno misurando col cibo a cui sono
avvezzi, è fatto dunque della coscienza di un'umiliazione altrui, mentre il piacere
di chi guarda è fatto in gran parte dell'umiliazione propria, avvertita, patita
e accettata come essenza del rituale. Se psicologicamente il rapporto dello
strip-tease è sadomasochistico, sociologicamente questo sadomasochismo è
essenziale al rito pedagogico che si compie; lo strip-tease dimostra
inconsciamente al riguardante, che accetta e ricerca la frustrazione, che i
mezzi di produzione non sono in suo possesso. Ma se sociologicamente introduce
un inequivocabile rapporto di casta (o se si vuole di classe), metafisicamente lo
strip-tease induce il contemplante a raffrontare i piaceri di cui dispone a
quelli di cui per essenza non può disporre: la realtà al suo modello, le sue
femmine alla Femminilità, la sua esperienza del sesso alla Sessità, i nudi che
possiede alla Nudità iperurania che non avrà mai. Dopo, egli dovrà ritornare nella
caverna e fruire delle ombre che gli sono concesse. Così con sintesi inconscia
lo strip-tease riconduce la situazione platonica alla realtà sociologica
dell'oppressione e dell'eterodirezione. Confortato sul fatto che le leve della
vita associata non gli appartengono e che il modello delle sue esperienze è
sancito da un regno delle idee che non può modificare, lo spettatore dello
strip-tease può tornare tranquillo alle incombenze di ogni giorno, dopo il rito
purificatore che lo ha riconfermato supporto stabile e solido dell'ordine
esistente; e i locali meno ascetici del "Crazy Horse" (monastero per
monaci Zen, ultimo gradino della perfezione) gli permetteranno di portare con
sé le immagini di ciò che ha visto; perché conforti la sua condizione umana con
le pratiche di empietà che la sua devozione e la sua solitudine gli
consiglieranno. (1960)
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