"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 21 agosto 2017

Paginatre. 94 “Lo strip-tease e la cavallinità”.



Da “Lo strip-tease e la cavallinità” (1960) di Umberto Eco, riportato in “Diario minimo” (alle pagg. 26/29) nella edizione dell’anno 1988 degli Oscar Mondadori: Quando appare sul piccolo palcoscenico del "Crazy Horse", riparata da una cortina di rete nera a larghe maglie, Lilly Niagara è già nuda. Poco più che nuda, con un reggiseno nero slacciato e un reggicalze. La prima parte del numero la impiega a rivestirsi pigramente, a infilarsi cioè le calze e ad allacciarsi la neghittosa bardatura che le pendeva sul-le membra. La seconda parte la dedica a riportarsi nella situazione di partenza. Così che il pubblico, incerto se questa donna si sia spogliata o si sia vestita, non si rende conto che in effetti non ha fatto nulla, perché anche i gesti lenti e sofferenti, contrappuntati dall'espressione angosciata del volto, dichiarano a tal punto la volontà di mestiere, e si iscrivono così esplicitamente in una tradizione di alta scuola, ormai codificata persino da manuali, che non han-no nulla di imprevisto – e perciò di seducente. Di fronte alla tecnica di altre maestre dello strip-tease, che sanno dosare così accortamente la loro offerta di una innocenza introduttiva, su cui fanno precipitare risoluzioni d'improvvisa malizia, lascivie tenute in serbo, scatti ferini riservati per l'ultima infamia (maestre dunque di uno strip dialettico e occidentale), la tecnica di Lilly Niagara è già beat e hard e rimeditata oggi ci ricorda piuttosto la Cecilia della Noia moraviana, una sessualità annoiata fatta di indifferenza, condita qui di una maestria sopportata come una condanna. Dunque Lilly Niagara vuole raggiungere l'ultimo livello dello strip-tease, quello in cui, nonché offrire lo spettacolo di una seduzione che non si indirizza ad alcuno, che promette alla folla ma che sottrae il dono all'ultimo istante, si varca l'ultima soglia e si elude persino la promessa della seduzione. Così se lo strip-tease tradizionale è la profferta di un amplesso che si rivela d'un tratto interruptus, promuovendo nei fedeli una mistica della privazione, lo strip di Lilly Niagara castiga persino la iattanza dei nuovi adepti, rivelando loro che la realtà promessa non solo è unicamente contemplabile, ma si sottrae persino alla pienezza della contemplazione immobile, perché di essa si deve tacere. L'arte bizantina di Lilly Niagara conferma però la struttura abituale dello strip-tease di convenzione e la sua natura simbolica. È solo in alcune boìtes di pessima reputazione che potete a fine spettacolo indurre colei che si è esibita a fare commercio di sé.
Al "Crazy Horse" vi si avverte persino urbanamente che non è dignitoso chiedere fotografie in acquisto: ciò che si deve vedere appare solo per pochi minuti nell'area magica del palcoscenico. E se leggete gli articoli sullo strip o i commenti letterati che ornano alcune brochures offerte dai teatri maggiori, vi accorgete che tipico della danzatrice nuda è compiere il proprio mestiere con proba diligenza, coltivando in privato amori domestici, giovani fidanzati che le accompagnano al lavoro, mariti gelosissimi, pareti invalicabili. Né sembri questo artificio da poco, perché la proterva ed ingenua Belle Epoque si sforzava invece di convincere i consumatori che le sue dive erano dei mostri sitibondi, in privato come in pubblico, divoratrici d'uomini e patrimoni, sacerdotesse delle più raffinate nefandezze d'alcova. Ma la Belle Epoque apprestava i suoi fasti peccaminosi per una classe agiata e dirigente, a cui doveva consentire e il teatro e il dopoteatro, ed il possesso pieno degli oggetti, privilegio inalienabile del denaro. Lo strip-tease, che potete vedere a somme modicissime e in qualsiasi ora del giorno, anche in maniche di camicia, nessun abito di rigore, e persino due volte perché lo spettacolo è permanente, lo strip-tease si rivolge invece al cittadino medio, e offrendogli i suoi minuti di raccoglimento religioso, gli sottintende la sua teologia, iniettata a titolo di persuasione occulta e non sciorinata per quaestiones. L'essenza di questa teologia è che il fedele può ammirare i beni fastosi della pienezza femminile, ma non ne può usare perché questa autorità non gli compete. Potrà usare se vorrà delle donne che la società gli concede e che la sorte gli ha assegnato; ma un malizioso cartello del "Crazy Horse" lo avverte che, se tornando a casa si troverà insoddisfatto della propria signora, potrà mandarla a corsi pomeridiani di disimpegno e movenze, che la direzione del locale organizza per studentesse e casalinghe. E non è certo se questi corsi esistano sul serio né se il cliente oserà far la proposta alla consorte; quello che conta è che in lui si insinui il dubbio che, se la striptiseuse è la donna, sua moglie sia qualcos'altro, e se sua moglie va considerata donna, la striptiseuse sia allora qualcosa in più, la femminilità, o il sesso, o l'estasi, il peccato, la malizia. È comunque ciò che a lui, che guarda, non compete; la radice che gli sfugge, il termine dell'estasi che non deve raggiungere, il senso del trionfo che gli è inibito, la pienezza dei sensi, il dominio del mondo che gli è solo raccontato. Il rapporto tipico dello strip-tease esige che la donna, che ha dato l'ultimo spettacolo delle sue possibilità di appagamento, non sia assolutamente fruibile. Un libretto distribuito al "Concert Mayol", con un saggio introduttivo stancamente libertino, termina tuttavia con una intuizione rivelatrice; dice, a un dipresso, che il trionfo della donna nuda sotto i riflettori, mentre si offre agli sguardi di una platea protesa e inappagata, è fatto proprio della maliziosa coscienza che in quell'istante coloro che la guardano la stanno misurando col cibo a cui sono avvezzi, è fatto dunque della coscienza di un'umiliazione altrui, mentre il piacere di chi guarda è fatto in gran parte dell'umiliazione propria, avvertita, patita e accettata come essenza del rituale. Se psicologicamente il rapporto dello strip-tease è sadomasochistico, sociologicamente questo sadomasochismo è essenziale al rito pedagogico che si compie; lo strip-tease dimostra inconsciamente al riguardante, che accetta e ricerca la frustrazione, che i mezzi di produzione non sono in suo possesso. Ma se sociologicamente introduce un inequivocabile rapporto di casta (o se si vuole di classe), metafisicamente lo strip-tease induce il contemplante a raffrontare i piaceri di cui dispone a quelli di cui per essenza non può disporre: la realtà al suo modello, le sue femmine alla Femminilità, la sua esperienza del sesso alla Sessità, i nudi che possiede alla Nudità iperurania che non avrà mai. Dopo, egli dovrà ritornare nella caverna e fruire delle ombre che gli sono concesse. Così con sintesi inconscia lo strip-tease riconduce la situazione platonica alla realtà sociologica dell'oppressione e dell'eterodirezione. Confortato sul fatto che le leve della vita associata non gli appartengono e che il modello delle sue esperienze è sancito da un regno delle idee che non può modificare, lo spettatore dello strip-tease può tornare tranquillo alle incombenze di ogni giorno, dopo il rito purificatore che lo ha riconfermato supporto stabile e solido dell'ordine esistente; e i locali meno ascetici del "Crazy Horse" (monastero per monaci Zen, ultimo gradino della perfezione) gli permetteranno di portare con sé le immagini di ciò che ha visto; perché conforti la sua condizione umana con le pratiche di empietà che la sua devozione e la sua solitudine gli consiglieranno. (1960)

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