"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 27 luglio 2017

Sfogliature. 81 “Della irresponsabilità e dell’ignavia”.



Nell’Italia dell’anno 2017 che brucia nella “irresponsabilità e nell’ignavia”, che è assetata, che non ha mezzi per difendersi da piromani ed affini, in questa disastrata Italia si ri-trova spazio e (dis)interesse per discutere del ventennio nero e della necessità di difendere quel che nel paese “della irresponsabilità e dell’ignavia” viene definito la tutela della libertà di pensiero anche degli uomini in “orbace”. Quale libero pensiero? E quale libertà? È come se si volesse incredibilmente, oggi, tutelare il pensiero e l’istigazione di chi pensò ed attuò spietatamente l’Olocausto. Possibile che si voglia tutelare il libero pensiero di chi incita – o ha incitato - a compiere i misfatti più vergognosi? Ché anche in quel nero ventennio di misfatti ne furono compiuti a iosa, all’ombra di una ideologia senza remore e che ha lasciato segni terribili ed incancellabili anche a distanza oramai di tanto tempo trascorso. Incancellabili dove? Incancellabili per chi? Del resto è appena passato, nella indifferenza generale, quel “25 di luglio” dell’anno 1943 che sembrava dovesse segnare una significativa svolta per l’asfittica vita politica e sociale del bel paese. Un nulla, in verità. Poiché ci si ritrova, nell’Italia dei fuochi, a ridiscutere, come in una commedia dell’assurdo, di libertà di pensiero, ché meglio sarebbe parlare “della irresponsabilità e dell’ignavia” che caratterizza il vivere sociale e politico del nostro tempo. È che l’aria che tira non è delle migliori per le esauste democrazie dell’Occidente. Poiché riaffiora, in quello spazio di tutela del pensiero pur che sia, la “voglia” dell’uomo forte, “voglia” che in questo malandato paese è rimasta sotto traccia ma viva sempre e pronta a manifestarsi, giusto come in questa torrida estate. Ne è più che convinto Marco Revelli che in “Comandanti immaginari” di Davide Turrini – sul mensile “FQ MILLENNIUM” del mese di giugno – sostiene che “i cosiddetti uomini forti che nella nostra temperie emergono come riferimenti sono in realtà deboli. Sono il prodotto e la forma della crisi della politica. Sono figure di crisi, non di soluzione della crisi. La fine della democrazia dei partiti, che avevano caratterizzato i cosiddetti Trente gloriosus (1945-1975), un po’ come il sonno della ragione, genera mostri. Mostri nel senso etimologico, latino del termine, monstrum, figure spettacolari. La personalizzazione della politica vista come antidoto alla crisi della democrazia è in realtà la malattia della democrazia. Cercare un dio con la d maiuscola in cui identificare un noi che non c’è è un’apocalisse culturale dal punto di vista democratico. Questi pseudo uomini forti si affermano spettacolarizzando se stessi. Fenomeni da baraccone che compensano la crisi di autorevolezza. La “sfogliatura” di oggi è del lunedì 31 di maggio dell’anno 2010: (…). «Quando il presidente del Reich si era macchiato per la terza volta di violazione della Costituzione, molti socialdemocratici, in gran segreto, si misero in guardia dal parlarne: - non sfiorate l’argomento, dissero timorosi, altrimenti non esisterà nessuna remora a violare la Costituzione. Se il popolo, o il Presidente del Reich venissero a sapere che la Costituzione è già stata violata, non ci sarebbe più alcun monito che tenga. Così invece noi possiamo ancora mettere in guardia dall’infrangere la Costituzione -. Ragionando in questo modo e col sudore in fronte ad ogni nuova violazione sostennero che non si trattava affatto di violazione. E, quando la Costituzione non esistette più, violazioni costituzionali non erano comunque ancora avvenute» (...). Così ci ha lasciato scritto quel grande a nome Bertold Brecht nel Suo volume “ Le storie del signor Keuner “. La cecità, la faciloneria, l’indifferenza dei tanti, tantissimi di questi giorni, il pressapochismo familistico proprio di una larghissima fetta di italioti, potrebbero costarci tanto, tantissimo, caro, carissimo. Allora, il tutto sfociò nella tragedia orrenda del nazismo. Oggi, potrebbe il tutto sfociare in una nuova farsa dagli esiti imprevedibili. Di seguito trascrivo, nella quasi sua interezza, il colloquio tra il giornalista del quotidiano l’Unità Oreste Pivetta e lo scrittore Marco Belpoliti. Tema del colloquio: le letture del signor B – che benché padrone della più grande casa editrice del bel paese ha avuto modo di bearsi e glorificarsi nel non aver letto, da un decennio almeno, un libro che sia -, letture candidamente, si fa solo per dire, confessate in quel di Parigi:
L’ha colpita questa storia di Berlusconi che chiama in aiuto Mussolini, a sostegno delle proprie strampalate idee poco costituzionali, testimonianza di una incertissima conoscenza delle regole di una democrazia liberale? (…). Risponde che lo ha colpito ancor più il fatto che Berlusconi legga i diari di Mussolini. Forse Berlusconi cerca ispirazione? Forse cerca ispirazione, forse si identifica in Mussolini. Forse sente o lo hanno convinto gli altri a sentire che Mussolini è il suo unico antecedente in Italia. La lettura dei diari la dice lunga comunque su come lui, il nostro premier, anzi il Capo, si rappresenta. Magari si rispecchia in quelle pagine, magari crede di leggere se stesso, concependo per sé un potere assoluto, sciolto da qualsiasi legame. Noi lo definiamo ‘potere totalitario’.
O.P. Le segnalo una coincidenza a proposito dell’episodio di Milano, il tiro del Duomo, sul quale lei chiude Senza vergogna (“Senza vergogna” è l’ultima fatica letteraria di Marco Belpoliti, edita da Guanda, pagg. 254 € 16,00 n.d.r.). Quinto Navarra, che fu per vent’anni cameriere di Mussolini (cameriere autentico, con tutto il rispetto per il lavoro) in un libro pubblicato dall’Ancora del Mediterraneo ricorda il secondo attentato, quello che il duce subì nel 1926, quando fu colpito da un colpo di pistola esploso da una irlandese, Violet Albina Gibson. Il proiettile sfiorò il naso, provocando una copiosa emorragia. Mussolini, svenne, fu soccorso, venne steso a terra. Poi si riprese, si rialzò e, malgrado l’opposizione di quanti lo circondavano, volle esporsi alla gente. Si mostrò e gridò: - Non è nulla, non è nulla -. A Milano abbiamo assistito al filmato fotocopia, ottantatre anni dopo.
M.B. In Mussolini non sorprende. D’altra parte, lui che aveva un gran senso del valore dell’immagine, sfruttò benissimo la sua ferita in guerra, la prima guerra mondiale, e la sua fotografia, bendato con le stampelle, fece il giro propagandistico d’Italia. Il corpo mussoliniano ferito come il corpo offeso della nazione. Prima si parlava di identificazione, appunto. Ma vorrei sottolineare un altro sentimento che mi pare si scorga in Berlusconi, tipico di questo andamento: secondo me in queste sue letture s’avverte una psicosi da 25 luglio o da 8 settembre. Mi domando se Berlusconi non cerchi suggerimenti per una sua repubblica di Salò. Stiamo nella metafora, ovviamente.
O.P. Ancora sulla vicenda del Duomo. Lei ricorda come Berlusconi ci mise, alla lettera, la faccia, ben due volte. Restando nel campo delle metafore, metterci la faccia è una modalità o un’espressione frequenti nel nostro, che peraltro mi sembrano poco adatte al leader di un governo democratico. Nel metterci la faccia ci sono l’arroganza e la solitudine del potere.
M.B. Sì, ma in Italia siamo al disfacimento delle forme tradizionali della politica, che non sono state sostituite da altro. Una supplenza la esercitano altri poteri a noi estranei. Berlusconi è stato commissariato ma non da Tremonti o da qualche altro suo ministro. Nel caos mondiale compaiono due o tre centri di potere che fanno rete, sicuramente gli Stati Uniti di Obama, poi la Cina, a volte la Russia di Putin e in rappresentanza dell’Europa la Germania di Angela Merkel. Berlusconi è stato cancellato, sommerso dai problemi che non sa risolvere, problemi che si affrontano a livello mondiale e non certo nella logica locale di cui noi sentiamo dire. Non sanno che cosa farsene di lui. Stiamo assistendo a una sorta di 25 luglio senza congiurati e senza congiure, dettato da una politica mondiale, per la quale lui non ha niente da dire.
O.P. È d’accordo con chi ha scritto che quando cadrà Berlusconi, gli italiani diventeranno tutti antiberlusconiani, come divennero tutti antimussoliniani?
M.B. Gli italiani sono pronti ad autoassolversi, a non provar vergogna, sono pronti a cambiarsi d’abito. Proviamo a immaginare Bondi senza Berlusconi.
O.P. Chissà se tornerà comunista... Com’era stato in Lunigiana...
M.B. Bondi, come tanti al pari di lui, è frutto del risentimento. Della rivalsa. E la fonte del risentimento è l’invidia, come dicono gli psicologi. È la storiella della strega che chiede al contadino: dimmi quello che vuoi, ma sappi che quello che avrai tu lo darò raddoppiato al tuo vicino. Che cosa risponde il contadino? Risponde: cavami un occhio.
O.P. Che cosa pensa del linguaggio di Berlusconi?
M.B. Da bar sport. Non il bar sport di Benni, ma il bar nella versione depressa e deprimente. Però bisogna pure fargli qualche complimento: per il modo in cui sa intercettare il peggio. Se si pensa agli spiriti magni di questo paese, si dovrebbe definire Berlusconi l’antitaliano per eccellenza. Ma non ci si può illudere che non esista il peggio in noi e che non si sia tutti un po’ berlusconiani, un po’ fascisti e via....
O.P. Bocca ha sempre detto che il fascismo c’è rimasto addosso...
M.B. Nel senso della irresponsabilità, dell’ignavia. “

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