"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 5 giugno 2017

Sfogliature. 79 “Il motel sull’orlo dell’abisso”.


La “sfogliatura” proposta è del martedì 2 di agosto dell’anno 2011. Ritrovo in essa quel Goffredo Fofi che in “La vocazione minoritaria” - Laterza editore (2009), pagg. 165, € 12 –, ebbe a scrivere, sarcasticamente e magistralmente, che “una delle astuzie della società attuale – almeno in Italia – è di aver convinto i poveri ad amare i ricchi, a idolatrare la ricchezza e la volgarità. In passato i poveri solitamente non amavano i ricchi: li si convinceva, anche con la forza, a sopportare la loro condizione, si tollerava anche che peccassero di invidia, al più li si spaventava con la prospettiva delle pene dell’inferno. Negli anni Ottanta, negli anni di Craxi, è esplosa invece una cosa del tutto nuova: la tendenza a negare le differenze tra i ricchi e i non ricchi, a far sì che i non ricchi si pensino ricchi, che amino i ricchi come maestri di vita, come modelli assoluti di cui seguire ogni esempio”. Si legge in quella “sfogliatura” del 2 di agosto dell’anno 2011 che “(…). Il motel - o il circo - sull’orlo dell’abisso? Certamente il Paese non sembra ancora rendersi conto dei tempi che corrono, e il lungo trentennio 1980-2010 ha provocato un sonno/sogno collettivo che esclude nei più la capacità di rendersi conto e soprattutto di reagire. Si uscì da un altro e più pesante fascismo, il «ventennio» per definizione, grazie a una guerra mondiale e a due anni di guerra civile. Da questi 30 anni senza tragedia si esce castrati nelle nostre reazioni, e quand’anche qualcosa ce la faccia a muoversi, ecco che tutti i partiti e le istituzioni concordemente fanno quadrato e condannano senza discutere, sia che si tratti di un voto massiccio (il referendum, dei cui sbalorditivi risultati i partiti si sono serviti solo per aggiustare i rapporti tra loro: due cose in più a te e due in meno a me e sul fondo nulla che cambia), di una chiara manifestazione di disobbedienza civile o di una sassaiola – e in quest’ultimo caso il «sistema» si ricompatta con una rapidità supersonica. Ma è ben poco quel che si muove, anche se destinato ineluttabilmente a crescere, data la miseria della risposta istituzionale alla crisi. È chiaro - vedi gli Usa - che i super-ricchi rifiutano di essere loro a pagare per i guai che hanno combinato. È chiaro che coloro che sono preposti alla soluzione della crisi sono gli stessi che l’hanno provocata, e che i mezzi che usano sono gli stessi che hanno portato alla crisi. È chiaro che il loro ricatto è la parabola di Menenio Agrippa. Siamo sulla stessa barca, dicono i potenti, e invece no, siamo su due barche diverse, e loro faranno di tutto perché ad affondare per prima sia la nostra. (…)”.
Ho tratto il brano che avete appena letto, e che ho trascritto in parte, da un editoriale di Goffredo Fofi pubblicato sul quotidiano “l’Unità” col titolo “Il motel sull’orlo dell’abisso”. Si era alla vigilia, alla data di quella interessante pubblicazione, del primo di agosto e la trepidazione era tanta per il “default” prossimo venturo della più grande economia del pianeta. Mi chiedevo, nella circostanza, quanto di artatamente creato dai media ci fosse nella rappresentazione del novello mostro che avrebbe ingurgitato l’intero sistema delle economie occidentali. In verità, diffidavo assai di quella rappresentazione poiché, in mancanza dei soliti delitti efferati che avvengono con puntualità nel bel paese, e che catturano per mesi e mesi l’interesse e l’attenzione delle masse mediatizzate, ero più che convinto che quell’operazione fosse dovuta soltanto alla improvvisa mancanza di quegli stessi argomenti preziosi e soccorrevoli con i quali doviziosamente riempire paginate intere dei giornali quotidiani onde compiere, come avvenuto anche nel più recente passato, un’altra spericolata e colpevole operazione, nell’occasione estiva, di “distrazione di massa”. Quella stessa operazione di “distrazione di massa” messa in atto da un quindicennio abbondante a questa parte e molto ben riuscita  ai reggitori della cosa pubblica del bel paese tanto da consentire loro, nel bel mezzo proprio della tempesta economico-finanziaria perfetta, di rivincere le elezioni politiche nel bel paese e di continuare a negare l’evidenza dei fatti che di lì a poco avrebbero investito la vecchia Europa e segnatamente il paese tra i più sgangherati dell’intero globo terracqueo, l’Italia per l’appunto. Il nodo scorsoio, sempre negato da quei “lor signori” di melloniana memoria, ora stringe impietosamente la gola e non lascia più scampo alle solite fanfaluche ed alle colpevoli lusinghe degli imbonitori di turno. Il dramma sta tutto lì: che a pagarne pesantemente le conseguenze saranno soprattutto coloro che hanno prestato orecchio a quelle colpevoli lusinghe e che, da poco accorti navigatori della vita, non hanno provveduto negli anni a tapparsi le orecchie al pari di quell’astuto eroe che sopravvisse così alle lusinghe di ben altre sirene. E sì che le cassandre, così come venivano con disprezzo definiti analisti e commentatori di vaglia da quei “lor signori”, non avevano lesinato dal mettere in guardia dell’imminente affiorare del novello Leviatano affiorante dalle acque putride del malaffare e della speculazione più selvaggia; ma si godeva allora, e forse lo si continua a fare ancor’oggi, si godeva dicevo a predicare colpevolmente realtà illusorie affinché il popolo, reso beota dal piccolo mostro, avesse da riempire di nullità il suo immaginario e da appagare facilmente la predisposizione sua alla credulità sempre più pronta e irresponsabile. Ho ritrovato tra le mie carte un ritaglio, abbastanza recente, che è molto illuminante e che di seguito trascrivo in parte. È tratto da una interessante analisi di Furio Colombo su “il Fatto Quotidiano” del 19 di giugno che ha per titolo “Sei meno e così va il mondo”, ove l’illustre editorialista evidenzia come siano e saranno soprattutto i giovani e le “classi” lavoratrici a pagare il conto più salato per un dissesto che ben altri hanno concorso a creare nel sistema economico-finanziario “globalizzato”: “(…). - Dobbiamo rispondere alle sfide di un mondo globalizzato -, ti dicono. Il mondo globalizzato chiede sempre un’altra cosa, che non è quella che le persone, per l’esperienza fatta o il corso di studi e di specializzazione, sono in grado di offrire. Come nella messa in scena di un testo o di una partitura soggetti a diverse interpretazioni, c’è da aspettarsi una serie abbastanza vasta di alternative. A volte le spiegazioni sono costernate e gentili, si attengono al criterio della dura necessità che ha cambiato le carte in tavola. (…). Se ti fermi a pensarci un momento, ti rendi conto che una formula per definire il mondo in cui viviamo è la seguente: meno paga per chi lavora, meno fondi per chi produce, meno lavoro per chi lo chiede, meno sanità per gli ammalati, meno scuola per i più giovani, meno ricerca per i più preparati, meno risorse per gli Stati al punto da minacciare la bancarotta di interi Paesi. C’è una contraddizione: il mondo resta ricchissimo. Anzi, non è mai stato tanto ricco. Quello che conta è portare via i soldi, subito e tanti. La visione non sarà la stessa che sta pesantemente cambiando la concezione della vita e della convivenza nel mondo? I nuovo protagonisti sono piccoli e grandi Madoff, non quanto a tecnica, ma quanto a filosofia. Però che cosa sappiamo delle autorità monetarie e finanziarie del mondo che tutelano costantemente le ricchezze accumulate, spostando tutto il peso sulla massa di coloro che lavorano sempre di più e guadagnano sempre di meno in nome di non si sa quale penuria? Un giovane ingegnere appena assunto in Italia (dunque un miracolato) mi ha raccontato il colloquio con il manager delle risorse umane: - L’orario è di otto ore, come dice il contratto. Ma noi ci aspettiamo una presenza lavorativa di undici ore -. Racconta il felice neo assunto che nessuno, in quella impresa, resta sul posto meno di undici ore, e che la gara è lavorare di più per una paga minore. Eppure non sanno se stanno lavorando per il comune futuro di impresa e dipendenti o per un accumulo di ricchezza, a metà strada fra la siccità che si espande e l’abbondanza di paradisi terrestri, che sono altrove e non sono soggetti ai tagli. Sul New York Times del 13 giugno Paul Krugman, giornalista brillante e Nobel per l’economia, ha scritto con sarcasmo che esiste, da qualche parte, nel mondo dei grandi regolatori della finanza internazionale, un Pain Caucus o Comitato della Sofferenza. Decide di volta in volta dove cadrà il taglio, e come rendere più aspra la vita dei cittadini. - Sono molto fantasiosi i membri di questo comitato della sofferenza – sostiene Krugman – E trovano sempre un modo nuovo per infierire. Però una cosa è certa: si impegnano a tener fuori da preoccupazioni e fastidi la grande rendita -. In altre parole, Krugman propone una chiave di lettura: non c’è siccità di risorse. C’è una parte del mondo che mette al riparo enormi ricchezze, e autorità finanziarie e monetarie che ne proteggono il percorso imponendo politiche così dure sugli individui che lavorano, che possono abbattere un intero Paese (vedi la Grecia, che tutti ormai ci siamo abituati a considerare una pericolosa fuori legge). Se qualcuno dei lettori vorrà raccontare questa battuta di Krugman, ricordi che l’estroso commentatore del New York Times non frequenta i Centri sociali. Ha la cattedra di Economia all’Università di Princeton, Stati Uniti”.

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