"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 16 aprile 2017

Scriptamanent. 89 “Le leggi della natura non sono fatte per noi”.



Da Le leggi della natura non sono fatte per noi” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del 16 di aprile dell’anno 2016: L'umanità ha inventato la tecnica proprio per soddisfare quei desideri, progetti e sogni che giustificano la nostra esistenza, oltrepassando i limiti dell'ordine delle cose. (…), appellarsi alla natura offre quella serenità e quel senso d'innocenza, se non addirittura di giustizia, che accompagna chi, richiamandosi alla natura, pensa di ragionare senza essere condizionato da alcuna fede né ideologia. Non è così. Riferirsi alla natura come a un buon criterio per decidere sui nostri comportamenti, le nostre scelte, le nostre azioni, sottintende che la natura è "buona" e "giusta", come vuole la tradizione giudaico-cristiana che così la concepisce in quanto creatura di Dio: tutto ciò che Dio crea è buono, come sappiamo dal primo libro della Bibbia, il Genesi. Anche Leopardi, nonostante non credesse in Dio, soffriva di questa inconscia cultura cristiana, se è vero che nella lirica A Silvia scrive: «O natura, o natura,/ Perché non rendi poi/ Quel che prometti allor? perché di tanto/ Inganni i figli tuoi?». In realtà la natura non ha promesso proprio niente a nessuno. E solo l'ipotesi che sia "buona" consente di pensare, davanti a una disgrazia, che la natura ci abbia ingannato. La natura non è né buona né cattiva, è semplicemente indifferente alla vicenda umana. Fa nascere eterosessuali, omosessuali, bisessuali senza alcuna ragione, così come fa nascere sani e malati, belli e brutti, fa morire giovani e vecchi, nel suo ribollire senza scopo né perché fa tremare la terra, l'inonda di improvvise lave vulcaniche e onde tsunamiche che provocano sciagure non imputabili ad alcuno, né evitabili. La natura, come bene aveva visto Goethe, è caratterizzata da una crudeltà innocente perché, per il suo ricambio e la sua conservazione, non esita a far nascere e morire gli individui, che soggiacciono impotenti alla sua legge: «Senza farsi pregare e senza avvertire», scrive Goethe, «la natura ci rapisce nel vortice della sua danza e si lascia andare con noi, finché siamo stanchi e le cadiamo dalle braccia. Viviamo nel suo seno e le siamo estranei. Parla incessantemente con noi e non ci rivela il suo segreto. Sembra che abbia puntato tutto sull'individualità, eppure niente le importa degli individui. La vita è la sua invenzione più bella e la morte è il suo artificio per avere molta vita». Dalla natura, l'umanità si è difesa attraverso la scienza e la tecnica che hanno creato il mondo attuale in cui da occidentali viviamo, dove la natura, che un tempo ospitava la città come sua enclave, oggi è diventata lei stessa un'enclave della città, al cui interno si vive più comodamente di quanto non si vivesse allo "stato naturale". La nostra vita, che la natura aveva programmato di 40/50 anni, grazie alla scienza e alla tecnica, si è allungata quasi del doppio. In una parola, i limiti naturali sono stati oltrepassati in quella lotta che, non sappiamo quanto consapevolmente, l'umanità ha ingaggiato con la natura, interessata solo alla conservazione della specie e non alla felicità degli individui, ai loro desideri, ai loro progetti, ai loro sogni e a tutte quelle buone ragioni che gli individui, prima di sottostare alla legge della natura che inesorabile sancisce la morte, riescono a reperire per vivere. Tra queste buone ragioni c'è anche quella di generare e crescere con amore un figlio, se la tecnica, ideazione umana per contrastare l'indifferenza della natura per la sorte umana, lo consente.

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