"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 23 aprile 2017

Primapagina. 36 “Ma Donald non lo sa”.



Dal nuovo “impero del bene” la corrispondenza “Scusi presidente, dov'è il dottore?” di Vittorio Zucconi, pubblicata sul settimanale “D” del 15 di aprile 2017: (…). Alaa al Nufa, così si chiama, uno sciamano lo è per davvero ma moderno, con una laurea in Medicina conseguita a Damasco e una specialità in endocrinologia pediatrica che era andato a prendere nella Università del Sud Dakota. Si era sposato, cinque anni or sono,con una ragazza del posto. Aveva avuto una bambina e aveva preso un impegno solenne al momento di partire dalla Siria: aveva promesso alla madre vedova e alla sorella più grande, che avevano dedicato la vita a lui per permettergli di studiare, di andarle a prendere e portarle a vivere in America,magari in una zona un po' meno gelida della Grande Prateria dei Sioux. Invece oggi Alaa il Siriano ad appena 32 anni è in trappola. Le speranze di procurare un visto alla madre e alla sorella sono pari alla temperatura media di gennaio a Sioux Falls, meno di zero. L'ipotesi di andare lui a Damasco per far conoscere la moglie e la nipotina alla sua famiglia è da scartare, perché il pericolo di restare bloccato è troppo alto per un musulmano di ritorno da un viaggio in Siria. Il rischio più grave non è neppure al rientro, ma all'uscita, perché lui è l'unico endocrinologo per centinaia di chilometri di prateria specializzato nel trattamento di un male che affligge sproporzionatamente i bambini e soprattutto i bambini delle riserve indiane: il diabete. Attorno al suo studio, madri di varia carnagione formano circoli di preghiera, ciascuna a divinità con nomi diversi, portano coperte e amuleti, firmano petizioni per trattenerlo. Se lui se ne andasse o non potesse tornare, migliaia di pazienti resterebbero privi di assistenza, perché i medici specialisti disposti a vivere e ad esercitare la professione in uno Stato dove il reddito medio è di un quinto inferiore alla media americana, e la pratica della medicina ancora una vocazione missionaria, sono pochi. Come quei bambini diabetici del South Dakota, così milioni di altri americani, grandi o piccini, dipendono ormai per la loro salute da medici, infermieri, personale tecnico venuto da lontano. Un medico generalista su tre non è nato in Usa e senza quei dottori asiatici, africani, indiani, cinesi, europei, la prima linea di difesa della salute, quella che accoglie l'80 per cento dei pazienti prima di smistarli a specialisti o di mandarli a casa rassicurati con una pacca sulla spalla e una ricetta, sarebbe sguarnita. Il 90 per cento dei piccoli ospedali di campagna, quelli che offrono assistenza primaria, dai parti ai piccoli interventi chirurghici, sparpargliati nell'immensità del grande ventre americano, non potrebbe funzionare senza immigrati. E chi ha un bambino con le coliche o un anziano caduto dalle scale non chiede a quale religione appartenga il medico del pronto soccorso. Alaa al Nufa lo sa, come sa che probabilmente non rivedrà mai più la madre, che ha 82 anni e, ironia crudele, soffre di diabete, visto che difficilmente lei sopravviverà ai quattro o otto anni dell'amministrazione in carica a Washington. Un medico islamico siriano resterà per curare i bambini Sioux. Perché questa è la realtà del mondo di oggi.

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