"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 1 marzo 2017

Sfogliature. 74 “Legge e consenso, legalità e democrazia”.



A lato: "La nave dei folli" di Sebastian Brant (frontespizio, edizione del 1549).
 La “sfogliatura” di oggi risale al lunedì 25 del mese di maggio dell’anno 2009. In pieno “mal-governo” dell’uomo venuto da Arcore. Si era ancora ben lontani dal pensare che una ripetitiva, fallimentare esperienza si potesse realizzare nel bel paese. Ed invece è accaduto, con gli accadimenti conclusivi di quella esperienza susseguenti al 4 di dicembre dell’anno 2016 che, come se nulla fosse accaduto, ripropongono gli stinti, “incolpevoli” personaggi che per un triennio hanno “mal-governato” l’esausto Paese. Scriveva Marina Valcarenghi – già magistrato – in “L'ingiustizia ci fa male ai pensieri” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 5 di maggio dell’anno 2014, ovvero in pieno nella “nuova era” dell’uomo venuto da Rignano sull’Arno: (…). Noi viviamo in un sistema che poggia su una quantità sterminata di leggi che nessun cittadino potrebbe mai conoscere, e che quindi amministra l'ingiustizia in ambito politico, sociale, economico, religioso e culturale in relativa tranquillità. Ma l'ingiustizia, di qualunque genere, (…), non è soltanto una violazione del diritto, non azzera solo l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, ma infligge anche una ferita all'anima collettiva e indebolisce il fondamento di un patto sociale. Ci sentiamo traditi e perdiamo fiducia nelle istituzioni, abbiamo paura, evitiamo di inimicarci i potenti, caso mai proviamo a imitarli, e rabbia, rassegnazione e malinconie depressive poco per volta si impadroniscono di noi. Ci si sente sempre più estranei alla macchina sociale e indifferenti al suo funzionamento difettoso, attenti solo a non cadere nei suoi ingranaggi; ognuno per sé e si salvi chi può. Così da cittadini sovrani ci trasformiamo in sudditi. Ma più diventiamo sudditi e più si estende l'ingiustizia e il circolo vizioso che si attiva è quello che oggi vediamo. Annotavo e scrivevo il lunedì 25 del mese di maggio dell’anno 2009:
“(…). Una classe dirigente di valore, di buone tradizioni, dotata di senso etico, diffonde le sue qualità nella popolazione: crea intorno a sé uno spirito diverso. (…). …privi di una guida efficiente, governati da gruppi che, comunque si rigirano, fra sistemi elettorali e partiti che in ogni forma e in ogni costellazione danno sempre lo stesso rendimento, gli italiani sono entrati anche loro nella nuova era politica, hanno archiviato le ideologie, si sono scelti il capo populista. E hanno scelto Berlusconi, il leader a loro immagine e somiglianza. Basta guardarlo, basta seguirlo nelle varie metamorfosi, nel bene e nel male, per avere un’immagine dell’italiano contemporaneo”. Avete appena letto il brano conclusivo dell’ultima fatica – tratto da “Italia mia”, pagg. 188/189, edizioni Longanesi (2009) - del giornalista Piero Ottone. Va sempre più diffondendosi la convinzione che “davvero non è lui il problema. Il problema siamo noi”. Non c’è bisogno di specificare il “lui” in questione. Lo ha scritto di recente Michele Serra, lo ha magistralmente rappresentato nel Suo lavoro Piero Ottone. Soprattutto in quel brano conclusivo. E se dovessimo – per ragioni coniugali almeno - dare credibilità alla Signora Lario, quale responsabilità dei suoi comportamenti potremmo fare ricadere sull’egoarca di Arcore?  Quindi, che è conclusivo, il cerchio è chiuso. Fin quando “noi” non riusciremo a liberarci dell’incantamento, vane saranno le speranze nostre per limitare i danni alla fragile costruzione della nostra democrazia. Più tardi sarà avviato il processo di rinsavimento collettivo, più difficile sarà uscirne con le poche ammaccature che di già si possono riscontrare nel corpo molliccio delle istituzioni. Dello stato allarmante e pre-comatoso della nostra democrazia ne ha scritto di recente il sociologo Aldo Schiavone nell’articolo “La democrazia stressata” pubblicato di recente sul quotidiano “la Repubblica”. Di seguito ne trascrivo le parti più salienti. Un’amara constatazione ripresa sempre dal pregevole lavoro di Piero Ottone: la mancata formazione nel bel paese di “una classe dirigente di valore, di buone tradizioni, dotata di senso etico” che “diffonde le sue qualità nella popolazione” e che per l’effetto alone tanto caro ai pedagogisti “crea intorno a sé uno spirito diverso”. E per questa mancanza penso proprio che non ci sia al momento nulla da fare. Il sociologo Aldo Schiavone scrive:(…). L´Italia incupita e sofferta del tardo berlusconismo ci restituisce l´immagine di una democrazia sottoposta da tempo a una pressione ostinata e potente, che tende deliberatamente a comprimere alcuni suoi caratteri storici fondamentali, fissati peraltro nella Costituzione, e a ridurla a un solo elemento: la persistente vibrazione di consenso (…) che continua a legare il popolo al suo leader. Se essa c´è, e se dura, il resto non conta. Anche se si tratta di un resto enorme, che comprende di tutto: dalle sentenze dei giudici ai comportamenti personali, dai giudizi sulla crisi economica («È finita, è finita; tutto è tornato come prima, meglio di prima» sembra abbia detto - e si stenta a crederlo - il nostro premier a Mosca) alle ingiurie a quella stampa, colpevole di fare solo il proprio dovere. Il pericolo sta nel fatto che questa idea impoverita fino all´estremo della democrazia - un´idea, per così dire, usa e getta: aderisci e dimentica - se ha modo di diffondersi e di radicarsi, può alla fine diventare senso comune (il senso comune non è sempre buon senso) di un Paese provato e distratto. Di un´Italia disposta a soddisfare il bisogno di un riferimento sicuro - l´esigenza fisiologica di leadership - con l´abbaglio tranquillizzante di aver trovato una guida che non impone la fatica di una valutazione quotidiana, ma che si può accettare, grazie alla forza carismatica del suo successo, una volta per tutte, senza più discuterne. Se questo accadesse - se un tale atteggiamento si consolidasse davvero - ci troveremmo di fronte a qualcosa di simile a un autentico sfondamento culturale del nostro sentire democratico, all´apertura di una falla rischiosa nel tessuto politico della Nazione, dalle conseguenze difficilmente calcolabili. (…). Il punto cruciale - depurato da ogni personalismo - attiene al rapporto fra legge e consenso: e dunque, se si vuole, al nesso fra legalità e democrazia. È una questione che tormenta da millenni il pensiero politico, e gli equilibri costituzionali contemporanei rispecchiano, nella loro delicatezza, questo lungo lavorio di esperienze e di elaborazioni. Essi ci dicono che la democrazia non è fatta solo di consenso, anche se non può assolutamente prescinderne, ma altresì di un insieme di regole, senza le quali il consenso non solo non basta, ma può trasformarsi in dispotismo e in sovversione. È accaduto molte volte nella storia. Ed è per questo che persino la sovranità popolare - che pure è il fondamento supremo e ultimo di ogni modello democratico - si può esercitare solo «nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione» (come dispone l´articolo 1 della nostra Carta). Il consenso perciò - per quanto vasto - non può essere usato come una purificazione, né come scudo rispetto alle leggi, e nemmeno per sfuggire alla critica che anche una minoranza minima ha il pieno diritto di sollevare. L´appello al popolo - cui si è fatto adirato ricorso anche in questi giorni - è dunque quanto meno improprio, e rivela una deriva che può solo gettarci in un mare in tempesta. Democrazia, significa anche primato della legge - nomos Basileus, la legge come (unico) sovrano. E significa divisione dei poteri, e soprattutto, nel messaggio delle origini, trasparenza del potere: il popolo riunito nelle piazze delle città inondate dal sole della Ionia o dell´Attica, con i governanti al centro, visibili da tutti e non più chiusi negli antichi palazzi persiani o micenei. È su queste idee fondative di divisione e di trasparenza che bisogna oggi insistere, in una grande campagna di responsabilità e di fermezza. Non c´è domanda a cui il potere non debba rispondere, se non nei casi in cui è la legge stessa che lo obbliga a tacere. (…). Nelle società fluide - attraversate da continue e incontrollabili onde mediatiche - il consenso carismatico, fondato sul prevalere di elementi prepolitici piuttosto che sulle articolazioni di una democrazia partecipata, è sempre assai labile. Il tardo berlusconismo ha oscura ma netta consapevolezza di questa friabilità, ed è perciò che comunica un senso di solitudine e di nervosismo, quanto più sembra arrivato al culmine della parabola. Non capisce la crisi, che tenta di esorcizzare con ottimismi gridati al vento, per la stessa ragione per cui non tollera di essere contraddetto: perché ormai è disposto ad accettare solo una realtà addomesticata, che corrisponda ai suoi desideri. Ma fuori c´è il mondo - o almeno, tutto il mondo che non ha comprato, dove è facile che l´ascendente del principe si rovesci di colpo nel suo contrario. Machiavelli vi ha scritto sopra pagine memorabili.

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