"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 19 marzo 2017

Primapagina. 32 “Il caso Minzolini e le motivazioni farlocche”.



Da “Fumus eversionis” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 18 di marzo 2017: (…). …il voto su Minzolini va ben oltre la sua persona e il suo destino. Quello che l’altroieri hanno voluto affermare i senatori di Forza Pd, salvandolo dalle conseguenze di una legge che essi stessi avevano approvato nella stessa aula meno di cinque anni fa, è un principio che deve valere d’ora in poi per tutti i bramini della Casta: la legge è uguale per gli altri, ma non per noi; i tre gradi di giudizio valgono per gli altri, mentre noi ne abbiamo un quarto di giustizia domestica, nel senso che per noi non è definitiva neppure la condanna di Cassazione, perché poi ci giudichiamo da soli. (…). Il 31 luglio 2007, quando il centrodestra alzava le barricate per Previti, un certo onorevole Sergio Mattarella, che a occhio e croce dovrebbe essere l’attuale capo dello Stato, dichiarava alla Camera: “Quello che oggi in quest’aula celebriamo non è un giudizio nel merito delle accuse formulate nei processi all’on. Previti. Non ci compete. Siamo chiamati a prendere atto di una decisione formulata dalla magistratura in tre gradi di giudizio e passata in giudicato con la pronunzia della Corte di Cassazione. Ne dobbiamo prendere atto e assumerci la responsabilità delle conseguenti decisioni che competono soltanto a questa Camera. Non è possibile in alcun modo, con nessun argomento, complicare la realtà dei fatti che è, al contrario, estremamente semplice. Un cittadino interdetto in perpetuo dai pubblici uffici non è più titolare dei diritti elettorali, non può più votare e di conseguenza non può più essere eletto, e se è già stato eletto ed è parlamentare decade dal suo mandato ai sensi dell’art. 66 della Costituzione… sopra la quale non vi è null’altro, e sottolineo nulla… L’on. Previti è divenuto, dopo le elezioni, ineleggibile… È sempre la Costituzione all’articolo 56 che dispone che può essere deputato soltanto chi può votare, e ciò non è più consentito all’on. Previti per effetto di quella interdizione. La funzione di deputato è appunto indiscutibilmente un pubblico ufficio, e non gli è più consentito di ricoprirlo. Soltanto la Camera… può disporne la decadenza o accettarne le dimissioni, e noi siamo chiamati a farlo, salvo violare le regole della Costituzione e della legge, norme chiare e stringenti… Vi sono stati nel dibattito odierno alcuni abili, talvolta acrobatici tentativi di formulare argomentazioni volte a contestare la decadenza e le conclusioni della giunta, o addirittura a sostenere l’impossibilità di decadenza di un parlamentare, senza riflettere che ciò significherebbe che un parlamentare, qualunque colpa abbia commesso, qualunque fosse il reato da lui commesso, qualunque responsabilità abbia di qualunque natura, sarebbe comunque inamovibile: conclusione infondata, ma anche aberrante. Si tratta di tentativi che si infrangono contro la chiarezza di quelle due norme della Costituzione. Noi siamo chiamati a prendere atto semplicemente della verità dei fatti e ad adempiere al dovere di rispettare le regole poste dalla Costituzione e dalla legge”. Parole che, sostituendo Previti con Minzolini, Camera con Senato e interdizione perpetua con interdizione temporanea (di 2 anni e mezzo), si possono ripetere pari pari sul voto dell’altroieri in Senato, a beneficio di tutti i senatori paraculi che discutevano financo la fondatezza di una sentenza definitiva, farneticavano di f um us persecutionis (dopo la Cassazione!), tiravano in ballo la loro improbabilissima “coscienza” e contestavano la (loro) legge Severino senza peraltro abolirla (ma, se anche la abrogassero, Minzolini dovrebbe sloggiare comunque, essendo interdetto dai pubblici uffici). Mattarella ha per caso cambiato idea? (…).

Da “Fumus paraculonis” di Marco Travaglio, pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 19 di marzo 2017: (…). Luigi Zanda. “Abbiamo lasciato libertà di coscienza. È offensivo che chi ha votato per Minzolini sia additato come colpevole di voto di scambio dopo Lotti”. La coscienza non c’entra nulla: nel luglio scorso, in Giunta per le immunità, il gruppo Pd di cui Zanda è il capo stabilì unanime che Minzolini doveva decadere e “il tema del fumus persecutionis” sollevato da FI è “ultroneo” perché “la procedura è finalizzata ad accertare la sussistenza di una causa di incandidabilità”, cioè la presa d’atto della decadenza del senatore condannato a più di 2 anni. Giovedì in aula i senatori del Pd necessari a salvare Minzolini hanno cambiato idea all’indomani del salvataggio di Lotti con i voti decisivi di Ala e, per sicurezza, di FI. Scherzi della coscienza. Rosaria Capacchione. “Ieri abbiamo votato il ddl Penale che modifica le modalità dell’appello. Con quella modifica la Cassazione avrebbe avuto l’obbligo di annullare la sentenza di condanna per Minzolini, assolto in primo grado e condannato in appello, perché non c’è stato un rinnovato dibattimento”. Balla sesquipedale: la riforma penale non è ancora in vigore e, anche se e quando lo sarà, non varrà per i processi passati. Dunque la Cassazione non dovrà annullare un bel niente: sennò andrebbero scarcerati e riprocessati da capo migliaia di condannati per mafia e altri reati in secondo e terzo grado dopo l’assoluzione in primo. Un bel controesodo dalle patrie galere.
Luigi Manconi/1. “Stimo Sinisi perché ho collaborato proficuamente con lui quando è stato sottosegretario all’Interno dal 1996-‘99. Ma ritengo sbagliato che, dopo una lunga carriera politica nelle file del centrosinistra, non si sia astenuto quando si è ritrovato a far parte della Corte d’Appello chiamata a giudicare uno dello schieramento avversario”. Il giudice Giannicola Sinisi, ex deputato Ppi, è uno dei 3 giudici d’appello che hanno condannato Minzolini con una sentenza poi confermata da 5 giudici di Cassazione. In quel collegio d’appello non era né presidente né relatore della sentenza (scritta da un altro giudice). Il processo non era al senatore Minzolini, ma al direttore del Tg1 Minzolini per un banale scandalo di spese private (65 mila euro) pagate con la carta di credito della Rai. Se Minzolini e il suo avvocato Franco Coppi avessero dubitato dell’imparzialità di Sinisi gli avrebbero chiesto di astenersi o l’avrebbero ricusato: non l’hanno fatto. E la sentenza che ha fatto scattare la Severino non è quella d’appello, ma di Cassazione, che nessuno ha mai contestato. Luigi Manconi/2. “Lo so, l’umore popolare lo vede come un quarto grado di giudizio. Ma la politica non può essere subalterna al sentito dire: altrimenti forse dovremmo reintrodurre la pena di morte domattina”. Quindi una sentenza definitiva è un “sentito dire”? E 2 anni e mezzo per peculato sono come la pena di morte? Urge antidoping. Andrea Marcucci. “Minzolini ha avuto un iter giudiziario complicato. La giustizia penale l’ha condannato senza attenuanti nonostante avesse restituito il maltolto… L’odore di fumus persecutionis c’è… Mi domando se non l’abbiano condannato perché era in politica: il giudice era un suo avversario politico che fu sottosegretario di Prodi”. Ecco, bravo, ora domandati se non era in politica perché stavano per condannarlo. Poi informati meglio: Sinisi non è mai stato avversario politico di Minzolini, perché quand’era in politica l’altro era giornalista; Sinisi non ha scritto la sentenza e la condanna è stata firmata da 8 giudici; chi ruba 65 mila euro e, appena scoperto, li restituisce, non ha alcun diritto alle attenuanti; la legge non fa alcun cenno a “fumus persecutionis”, “iter giudiziario complicato”, “restituzione del maltolto”(sic) come impedimenti alla decadenza: i parlamentari condannati a più di 2 anni decadono. Punto. Giorgio Tonini/1. “La sentenza d’appello è stata particolarmente pesante. Non solo ha ribaltato l’assoluzione in primo grado e quella della Corte dei Conti, ma ha addirittura comminato una pena superiore a quella chiesta dall’accusa. Guarda caso, proprio in virtù di quell’inasprimento, è potuta scattare la Severino”. Che peraltro non è scattata grazie anche al voto di Tonini. Ma seguiamo il suo sragionamento: la Severino fissa un generoso tetto minimo di 2 anni, sotto cui il parlamentare pregiudicato resta al suo posto. Poi, se una Corte infligge una pena superiore ai 2 anni, salta su tal Tonini a dire che l’ha fatto apposta per far scattare la Severino. Ergo la Severino non scatta nemmeno sopra i 2 anni. E, di grazia, quanti giorni sarebbero congrui, secondo Tonini, per chi ruba 65 mila euro alla sua azienda? Giorgio Tonini/2. “Il percorso giudiziario che ha portato alla condanna di Minzolini non è scevro da dubbi di un uso politico della giustizia. Noi ci siamo limitati a riscontrare la presenza di fumus persecutionis. Il fumus non è arrostus. Basta il ragionevole dubbio di distorsione politica di una sentenza. Lo dicevano i Romani: in dubio pro reo”. Ma qui c’è un uso giudiziario della politica. La Severino non parla né di fumus persecutionis né di distorsione politica delle sentenze (altrimenti FI, che ritiene persecutorie e politicamente distorte tutte le condanne dei suoi, rimanderebbe in Parlamento Cuffaro, Dell’Utri, Previti, Matacena, Cosentino, Brancher, Galan e ovviamente B.). I Romani dicevano “in dubio pro reo” per gli imputati da giudicare, non per i pregiudicati con sentenza definitiva: quelli sono rei senza dubio. Ugo Sposetti. “Quando c’è un conflitto tra politica e magistratura io sto sempre dalla parte della politica”. Ma qui non c’è alcun conflitto. C’è una sentenza definitiva, che in base a una legge dello Stato produce un’inevitabile conseguenza, e c’è un Parlamento sedizioso che si ribella alla legge da esso approvata. Massimo Mucchetti. “Quella sentenza non sta né in cielo né in terra. È smodata, sia per l’entità della somma che sarebbe stata sottratta alla Rai – peraltro restituita – sia per le modalità con cui l’intera vicenda è stata sovraccaricata. Problemi del genere si risolvono in un processo amministrativo, non penale. Ho abbracciato Minzolini e lo farei anche con altri”. Se ne deduce che: il peculato, cioè il delitto del pubblico ufficiale che deruba l’azienda pubblica che lo stipendia, va depenalizzato (così i ladri di Stato se la caveranno con una multa); se un rapinatore svaligia casa Mucchetti portando via 65 mila euro e, quando lo arrestano, restituisce la refurtiva, non va processato ma abbracciato. Pietro Ichino.“Se, di fronte a un iter processuale anomalo come quello di Minzolini, il Parlamento chiudesse gli occhi, tanto varrebbe che la legge prevedesse la decadenza automatica del parlamentare. (…)”. Il senatore Ichino non lo sa (altrimenti non farebbe il senatore Pd), ma proprio questo stabilisce la Severino, da lui stesso approvata nel 2012: la decadenza automatica del parlamentare condannato a più di 2 anni. (…). …in Italia, per ora, i senatori si limitano a riscrivere le sentenze dei giudici che non obbediscono ai politici. Siamo ancora fortunati. (…).

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