"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 16 marzo 2017

Cronachebarbare. 43 “Quelli che si auto-sospendono”.



Quelli che si auto-sospendono. Quelli che rappresentano il distillato meglio riuscito di quella “casta” di politici che infestano, come la peggiore gramigna, le ubertose contrade del bel paese. Quelli che han perso il decoro della funzione e gettano a palate il discredito sulla politica “tout court”. Quelli che aggrappati ai loro scranni pensano di dover rispondere ai loro facilitatori. Quelli che del popolo sovrano se ne fanno, come suol dirsi, un baffo. Quelli che per i quali non ci sono risultati di elezioni o risultati di referendum che li faccia retrocedere dal loro mal-costume, tanto in essi risulta inveterata l’albagia dei potenti, degli arroganti per consolidato mestiere. Scriveva Francesco Merlo in “Dimissioni” pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 14 di febbraio dell’anno 2013: (…). Le dimissioni (…) salvaguardano l’Istituzione, stabiliscono la differenza tra l’Istituzione e il suo funzionario, tra la Chiesa e il papa, tra il Regno e il re, tra la Repubblica e il presidente, tra la Banca e il governatore, tra il generale e l’Esercito, tra il direttore e il Giornale, ed è la stessa differenza che c’è tra la Specie e l’individuo. “ Le dimissioni”: termine ignoto ai malmostosi della “casta”, putribondi figuri e figuranti del potere peggiore. Salvaguardare “l’Istituzione”? Non è nei loro propositi. E poi, a favore di chi? Si risponde unicamente al “capo” del momento. Tutto il resto sono inutilità, vetero-assembleariste sorpassate. Rottamate. Scriveva ancora Francesco Merlo: (…). Del resto si lascia non solo quando ci si sente ‘al di sotto, ma anche quando ci si sente ‘al di sopra’, (…). Ci sono lavori che sono svolti con spirito dimissionario. Gli insegnanti, per esempio, demotivati e maltrattati, non potendosi dimettere dal lavoro, si dimettono dall’attaccamento al lavoro. In questi casi le vere dimissioni suonano come il tributo della consapevolezza alla dignità. D’altra parte le dimissioni possono essere liberatorie e redditizie, perché l’ufficialità impedisce di coltivare l’ umanità. Ci si dimette per immettersi nella pienezza dei sentimenti, delle emozioni. Ci si può dimettere da manager per immettersi nel padre di famiglia, nell’amico. Ci si può dimettere dalla direzione di un giornale per curare se stessi, i parenti, gli amori, la scrittura, i viaggi, lo studio, gli affari. Francesco Giuseppe fingeva di essere sordo, si dimetteva cioè dalla acusticità, per non dover commerciare verbalmente e intellettualmente con i suoi cortigiani. E lo scrittore Guido Morselli, che morì suicida, vale a dire dimissionario dalla vita, raccontò nel romanzo ‘Divertimento 1889’ che Umberto I di tanto in tanto si ‘dimetteva’ da re e si mescolava alla gente. Ne 1900 fu poi assassinato, vale a dire ‘dimesso’, dall’ anarchico Bresci, il quale, a sua volta, l’anno dopo ‘si dimise’ togliendosi la vita in galera. (…). Del resto il prete può spogliarsi, mai dimettersi; ottiene la dispensa, non l’annullamento. E il Pontefice non può ‘dismettere’ i suoi ponti. Non è previsto  un Pontefice Cincinnato in ritiro operoso, in romitaggio tra gli amati libri  elevati a feticci. L’uomo di Dio deve pregare e non potrà più cedere alla vanità dello studioso, un Pontefice non può tornare professore, il suo unico privilegio sarà denudarsi sino a diventare la propria anima ben prima della morte del corpo e l’arrivo nel Paradiso dove Dante incontra Beatrice: <Avete il Nuovo e Vecchio Testamento / e il pastor della Chiesa che vi guida / questo vi basti a vostro salvamento>. (…). Persino Celestino V,  secondo i pettegolezzi d’epoca, veniva ossessionato durante la notte dai cardinali che, nascosti sotto il letto, gli mormoravano <dimettitti, dimettiti>. Fratello maggiore delle dimissioni è il suicidio, condannato dalla Chiesa con la dannazione eterna. E spesso le dimissioni, proprio come il suicidio, sono ricatti, minacce retoriche: <O fate così o me ne vado>. In Italia abbiamo inventato le ‘quasi dimissioni’ che, come il tentato suicidio, sono un imbroglio morale. C’è infatti una sola maniera, secca e definitiva, per uccidersi, come c’è una sola maniera per dimettersi: tornarsene a casa e farsi dimenticare. (…). Mi va di ricordare ancora una volta quel tale signore teutonico a nome Uli Hoeness che, condannato in primo grado per un reato tributario, non acconsentì al suo legale di intraprendere la via dell’appello e si “dimise” dalla “vita libera” presentandosi, all’indomani della condanna, dinnanzi il portone dell’istituto penitenziario di quel paese per scontare la pena inflittagli a nome del popolo tedesco derubato. Trascorrendo così ben quattro anni di “galera”, interamente scontati. Mentre nel bel paese della mala-politica si apprestava, ad un signore condannato per lo stesso reato, l’indecoroso palcoscenico di una dimora per anziani in quel di Cesano Boscone. Con tanto di telecamere e microfoni postati all’uscita della stessa dimora  pronti a carpire l’alto pensiero di un pubblico, riconosciuto tale da un legittimo tribunale, frodatore. Ignorato il termine “dimissioni” nell’era avvelenata della mala-politica è diventata diffusissima la “pratica” della “auto-sospensione”.
Un istituto giuridico mostruoso e forse in dottrina inesistente che ha il pregio di creare quel “limbo” di decantazione – come un “purgatorio” tanto caro nel paese cattolico per antonomasia – ove attendere che tutto si acquieti, svanisca dalla labile memoria di un paese “disossato”, come ebbe a sostenere, in una intervista, Giovanni Sartori sul quotidiano “la Repubblica” del 21 di febbraio dell’anno 2004: (…). Il nostro è un paese disossato, storicamente senza vertebre. Nel 1922 Ortega y Gasset scriveva della Spagna invertebrata. Ho sempre pensato che quel titolo fosse più calzante per l’Italia. (…). … al momento della prova, gli italiani non reagiscono, subiscono. (…). Siamo il paese forse più invaso e conquistato d’Europa. E con tutti i conquistatori siamo riusciti sempre a trovare un accordo, nel segno della sopravvivenza. (…). … anche ai tempi delle invasioni barbariche siamo stati capaci di soluzioni accomodanti. Con potenti e prepotenti possiamo esibire uno straordinario mestiere di navigazione. Che è anche rassegnazione e sottomissione. (…). E siamo così oggigiorno a quelli che non dimettendosi si “auto-sospendono”, ultima, famelica fauna dell’arroganza politica che avvelena il bel paese. Per interrompere a loro personale giudizio quando sia giunto il tempo della “sospensione” dell’”auto-sospensione”. E tutti intorno lì, a stare a guardare. Una “carrellata” di fantasiosi e molto creativi “auto-sospensionisti” ce la offre Marco Travaglio su “il Fatto Quotidiano” del 15 di marzo 2017 in un “pezzo” che ha per titolo “Gli autosospesi”: (…). La prima volta che questa supercazzola balza alle cronache è, se non andiamo errati, nel 1994, quando il presidente della Bnl Giampiero Cantoni viene arrestato per corruzione e bancarotta: anziché togliere il disturbo, si “autosospende” senza che a nessuno scappi da ridere. Nel 2002 l’italica ibernazione contagia pure il Vaticano: si autosospende da cardinale, ma solo per qualche mese, l’australiano George Pell, sospettato di insabbiare casi di pedofilia. Nel 2005 l’Italia si riprende il primato. Maurizio Gasparri, per protesta contro un articolo dell’Unità, si autosospende dall’Ordine dei Giornalisti, gettando nella costernazione la categoria: per la scoperta che ne faceva parte anche lui e per le irreparabili conseguenze di un’eventuale revoca dell’autosospensione, poi tragicamente avvenuta. Qualche mese dopo la Margherita chiede timidamente l’autosospensione a Mimmo Crea, assessore calabrese subentrato a Francesco Fortugno morto ammazzato: gli indiziati del delitto risultano in contatto con lui. Crea non fa una piega: “Un’eventuale ‘autosospensione’ appartiene etimologicamente, in via esclusiva, al soggetto che deve determinarsi o meno ad una segnata scelta”. Poi passa alla DcA di Rotondi. In ottobre è la volta di Fabrizio Del Noce, direttore di Rai1: siccome, dopo mesi di rinvii, parte Rockpolitik di Adriano Celentano, cui il dg della Rai Flavio Cattaneo ha garantito per contratto “totale autonomia editoriale” su argomenti e ospiti, e l’artista ha invitato Biagi, Santoro, Luttazzi, Grillo e altri epurati per ribaltare l’editto bulgaro, Noisette annuncia dolente: “Mi autosospenderò dai miei poteri e doveri editoriali per quello che riguarda questa trasmissione”: cioè non sarà direttore di Rai1 per la sola durata della puntata, dalle 21 alle 24. Alla fine partecipa Santoro e il programma sfiora il 50% di share, record per Rai1. Ma Del Noce, con l’unico trionfo della sua rete in otto anni di direzione, ha tenuto a precisare che lui non c’entra nulla. Nel 2010 il senatore Totò Cuffaro viene condannato in appello a 7 anni per favoreggiamento alla mafia e compie un estremo gesto inconsulto: si autosospende “dall’attività politica nell’Udc” (ma non dal Senato, mica è fesso). Per la sospensione definitiva, con trasloco a Rebibbia, bisognerà attendere la Cassazione. Nel 2011 si autosospende dal Pd (ma non dalla Regione Lombardia e dal relativo stipendio) Filippo Penati, indagato per tangenti a Sesto San Giovanni (verrà in parte assolto, in parte prescritto). Nel 2013, per la par condicio, tocca a Silvio B.: condannato in Cassazione per frode fiscale, decade da senatore e dovrebbe perdere pure i gradi di Cavaliere, ma scrive una “lettera di autosospensione” alla Federazione Cavalieri del Lavoro. Che prende atto, ma poi lo espelle. Nel 2014 Renzi rimpiazza due senatori Pd – Chiti e Mineo – che in commissione si oppongono alla controriforma Boschi con due soldatini obbedienti: per protesta 14 senatori si autosospendono dal partito, salvo poi rientrare alla chetichella. Poco dopo la Camera autorizza l’arresto del deputato Pd Francantonio Genovese: lui si autosospende dal partito e, appena esce di galera, passa a Forza Italia. A fine anno, prima retata di Mafia Capitale: il presidente-commissario Orfini twitta trionfalmente che tre compagni citati negli atti, “Ozzimo, Coratti e Patanè si sono autosospesi dal Pd”. Wow. Nel 2015 si autosospende il governatore siciliano Rosario Crocetta, ingiustamente tirato in ballo per una presunta telefonata intercettata col suo medico che offende Paolo Borsellino: la giunta, dice lui, passa sotto la guida dell’assessore alla Sanità, ma l’atto è nullo. Intanto, a Brindisi, viene arrestato per tangenti il sindaco Pd Cosimo Consales, indagato da anni: ma il Pd fa sapere che non c’entra, perché Consales si era “autosospeso”, anche se il partito continuava a sostenerlo. Nel 2016 Giuseppe Sala, indagato per due falsi nel più grande appalto di Expo, si autosospende da sindaco di Milano in attesa di imprecisate “notizie” dai pm: i quali non gliele possono dare, ma da allora finiscono sotto pressione. Sala-Findus viene implorato di autoscongelarsi da Renzi, da Gentiloni, da 140 sindaci e dai mejo giornaloni del bigoncio. Così, dopo tre giorni di macerazione nel freezer, autosospende l’autosospensione, con un annuncio sensazionale urbi et orbi alla cittadinanza in ambasce: “Torno a fare il Sindaco, certo della mia innocenza. Ho solo dovuto assentarmi per qualche giorno dal lavoro”: doveva scriversi la sentenza- Il 2017 non ha ancora tre mesi e già ha collezionato due indagati autosospesi illustri: Tiziano Renzi dal Pd di Rignano sull’Arno e Roberto Napoletano da direttore del Sole 24 Ore. Ma, a dar retta agli scissionisti ex Pd, potrebbe presto aggiungersi Luca Lotti. Mdp non gli vota la sfiducia, ma suggerisce a Gentiloni una versione 2.0 dell’autosospensione, cioè la revoca di due deleghe su tre: il Cipe e l’editoria, ma non lo Sport, altrimenti avremmo un ministro del Nulla. Con una delega su tre, invece, Lotti resterebbe ministro, ma su un piede solo. Lo famo strano.

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