"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 13 febbraio 2017

Scriptamanent. 69 “Cosa desideri per tua figlia? Solidità e coraggio”.



Da “Felicità è sentirsi comodi nel mondo” di Claudia De Lillo – in arte “Elasti” – pubblicato sul settimanale “D” del 13 di febbraio dell’anno 2016: Quando ero piccola, stavo molto più scomoda di adesso. Ero troppo magra, troppo pallida, troppo normale, troppo fragile in mezzo ad altri, sempre più adeguati di me. Ero a disagio nei miei panni, ma soprattutto ero convinta che il mondo non fosse un posto per me. Era troppo grande, troppo infido, troppo spigoloso, troppo pauroso, troppo aggrovigliato perché potessi accomodarmici e rilassarmi. Come spesso, per fortuna, accade, le cose sono migliorate. Piano piano, ho imparato ad accettare me stessa, con i miei bianchi, i miei neri e i miei moltissimi grigi, e a nuotare nel mare che, da minaccioso e terrificante, è diventato casa. Stare comodi è una conquista, una vittoria e, nel mio caso, il frutto di un lavoro di squadra tra me e mia madre. Lei si era inventata una formula magica per cacciare i mostri, dentro e fuori. Mi guardava negli occhi e mi diceva: «Abbi fiducia». Ci sono anni in cui i genitori sono onnipotenti. In quegli anni, l'imperativo incantato di mia madre disintegrava, nello spazio di due parole, fantasmi, inettitudini, inadeguatezze e brutti pensieri. Credo che se allora qualcuno le avesse domandato: «Cosa desideri per tua figlia?», lei avrebbe risposto: «Solidità e coraggio». Perché, tra tutte le cose belle che un essere umano completo e rotondo deve possedere, erano quelle che più mi mancavano. Se, vari anni dopo, mi avessero chiesto, in quel tempo in cui portavo in giro una pancia smisurata, uno sguardo liquido e un sorriso ebete: «Cosa desideri per l'inquilino che domani diventerà tuo figlio?», avrei risposto, sprovveduta e leggera, senza alcuna esitazione: «La felicità, naturalmente». E avrei evaso, con un sostantivo sognante, semplice e terribilmente incompleto, un interrogativo smisurato che contiene ambizioni, bisogni, mancanze, proiezioni, modelli, visioni. Felicità era quello che volevo per loro, quando abitavano la mia pancia, quando erano piccoli, inconsapevoli e bisognosi di tutto, quando scoprivano il sapore della pizza o del cioccolato e si illuminavano di incredulo stupore, quando cadevano per terra, cento, mille volte, e si rialzavano immediatamente perché crescere è un'avventurosa necessità che richiede una tenacia ottusa e infaticabile. Poi, da quella prima pizza e da quei primi passi, sono cresciuti. E forse, con loro, sono cresciuta anch'io. E la felicità, come ambizione, non è stata più abbastanza. Cosa voglio, oggi, per il domani di un dodicenne ruvido e sornione, di un novenne eccentrico e sognatore, di un seienne torvo e seduttore? Vorrei che fossero uomini per bene, capaci di cucinare e cucire i bottoni, di chiedere scusa e accogliere, di abbassare la guardia e dire grazie, di essere se stessi sempre, di prendersi le proprie responsabilità, di guardare negli occhi, senza abbassarli né alzarli, di domandare permesso, di fare passi avanti e indietro, di ridere disarmati. Vorrei che fossero uomini capaci di rispetto e tenerezza, d'ironia e, soprattutto, di autoironia, d'integrità e coerenza, di generosità e tolleranza. E poi vorrei che trovassero una strada da seguire, una casa da costruire, un progetto più grande di loro su cui incaponirsi. Vorrei che potessero scegliere dove e con chi stare e che lì ci stessero comodi. Vorrei che non conoscessero l'inquietudine distruttiva di chi non sa chi è. Vorrei che avessero spalle larghe per offrire riparo a chi non le ha. Vorrei che scoprissero un talento, una passione, un amore e ci si dedicassero come a una missione vitale. Vorrei che un giorno, guardando indietro, sorridessero. E anche guardando avanti. E mentre penso a cosa desidero per loro, prendo coscienza che loro non sono solo quei tre buffi individui in evoluzione che ci somigliano ma non troppo. Prendo coscienza che i figli altro non sono che il domani. Perché i figli sono soprattutto questo: il futuro di tutti noi. E, per il futuro, dobbiamo avere sogni grandissimi.

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