"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 24 gennaio 2017

Scriptamanent. 65 “Sentimenti liquidi in tempi duri”.



Da “Sentimenti liquidi in tempi duri” di Umberto Galimberti, pubblicato sul settimanale “D” del 24 di gennaio dell’anno 2015: (...). Bauman definisce "liquida" la nostra società perché sono venuti meno i punti di riferimento fondamentali che le davano forma e struttura, e al loro posto è subentrata una totale libertà dell'individuo che può scegliere il proprio stile di vita a prescindere da usi, costumi e tradizioni, fino al nuovo modo di intendere la libertà come possibilità di revocare tutte le scelte, e di non attenersi ai valori alla base delle società tradizionali antecedenti alla globalizzazione. Quello che dice Bauman è vero solo perché il sociologo polacco "constata", senza chiedersi le ragioni di ciò che constata. Ebbene a mio parere la nostra società s'è fatta "liquida" perché, senza che nessuno se ne accorgesse, una massiccia colata di cemento ha imbrigliato tutta l'acqua in una diga, disseccando il letto del fiume in cui l'acqua scorreva. Questa colata di cemento si chiama "razionalità tecnica" che prevede si compiano solo azioni capaci di raggiungere lo scopo con l'impiego minimo dei mezzi. Tutto ciò che fuoriesce da questo tipo di razionalità è considerato superfluo, insignificante, improduttivo, inutile quando non fattore di intralcio, e quindi da contenere o, meglio sarebbe, eliminare. Lo constata chiunque lavori in un apparato sia pubblico che privato dove il mansionario fissa gli obiettivi, e ogni anno si alza l'asticella per raggiungere, come si diceva, il massimo dei risultati con l'impiego minimo dei tempi e dei mezzi. Regolati dalla razionalità tecnica, il nostro riconoscimento non è più affidato al nostro nome, ma alla nostra funzione, e la misura ci è data dall'avanzamento in carriera da cui dipende la stima che gli altri, ma soprattutto noi stessi finiamo per avere di noi. Il riconoscimento dell'apparato è il fondamento della nostra identità e anche della nostra libertà, che non è più una libertà personale, ma una libertà di ruolo. Siamo tanto più liberi quanti più ruoli sappiamo rivestire nello scenario lavorativo e produttivo che gli apparati hanno dispiegato per noi. La morale tradizionale che regolava i costumi dei nostri padri e dei nostri nonni non ha più ragione d'essere, perché è subentrata una regola ben più ferrea della morale, la regola della razionalità tecnica che, a differenza della morale tradizionale, non prevede il perdono per le deroghe e le trasgressioni, ma nel caso del lavoro il licenziamento, la perdita del ruolo, e alla fine l'emarginazione sociale. La chiamiamo "liquida", questa società dove ciascuno all'apparenza fa quel che "vuole", quando per cinque giorni alla settimana fa rigorosamente quel che "deve" e nei giorni festivi quel che "può"? La razionalità tecnica, che impone uno stile efficiente, produttivo, utilitaristico, ottimizzante nei suoi risultati, confligge radicalmente col mondo della vita che si nutre di azioni all'apparenza inutili ma gratificanti, al limite del superfluo ma ricche di godimento, sovrabbondanti nell'effusione del linguaggio, come accade nell'amore dove la razionalità tecnica si limiterebbe a dire "ti amo" e poi più nulla perché il resto sarebbe pura enfasi. E così, impoveriti nel linguaggio sempre più funzionale, nei gesti sempre più finalizzati, nelle emozioni da contenere come fattori di disturbo, nei sentimenti resi atrofici perché disturbano i processi razionali, dobbiamo dirci "liquidi" o, come diceva Max Weber già all'inizio del secolo scorso, imprigionati in una "gabbia d'acciaio", dove i giovani non a caso recalcitrano a entrare?

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