"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 28 gennaio 2017

Paginatre. 64 “McLuhan, Hugo, Bezos, Buffett e le tigri di carta”.



Da “Chi ha paura  delle tigri di carta?” di Umberto Eco, riportato in “Pape Satàn Aleppe” – “La nave di Teseo” Editrice (2016), pagg. 469, € 20 – alle pagine 374-376: Agli inizi degli anni Sessanta Marshall McLuhan aveva annunciato alcuni cambiamenti profondi nel nostro modo di pensare e di comunicare. Una delle sue intuizioni era che stavamo entrando in un villaggio globale e certamente nell’universo di Internet si sono avverate molte delle sue previsioni. Ma, dopo aver analizzato l’influenza della stampa sull’evoluzione della cultura e della nostra stessa sensibilità individuale con “La galassia Gutenberg”, McLuhan aveva annunciato, con “Understanding Media” e altre opere, il tramonto della linearità alfabetica e il predominio dell’immagine - ciò che, ipersemplificando, i mezzi di massa avevano tradotto come “non si leggerà più, si guarderà la tv (o le immagini stroboscopiche in discoteca)”. Mcluhan muore nel 1980, proprio mentre stanno facendo il loro ingresso nel mondo di tutti i giorni i personal computer (ne appaiono modelli poco più che sperimentali alla fine dei Settanta, ma il mercato di massa inizia nel 1981 con il Pc Ibm), e se fosse vissuto qualche anno in più avrebbe dovuto ammettere che, in un mondo apparentemente dominato dall’immagine, si stava affermando una nuova civiltà alfabetica: con un personal computer o sai leggere e scrivere, o non combini un gran che. È vero che i bambini d’oggi sanno usare un iPad anche in età prescolare, ma tutta l’informazione che riceviamo via Internet, e-mail e Sms, sono basati su conoscenze alfabetiche. Col computer si è perfezionata la situazione preconizzata nel “Nostra Signora di Parigi” di Hugo dal canonico Frollo il quale, indicando prima un libro e poi la cattedrale che vedeva dalla finestra, ricca di immagini e altri simboli visivi, diceva «questo ucciderà quello». Il computer certamente si è dimostrato strumento da villaggio globale con i suoi link multimediali, ed è capace di far rivivere anche il “quello” della cattedrale gotica, ma si regge fondamentalmente su principi neo-gutenberghiani. Ritornato l’alfabeto, con l’invenzione degli e-book si è però profilata la possibilità di leggere testi alfabetici non sulla carta ma su uno schermo; da cui una nuova serie di profezie sulla scomparsa del libro e del giornale (in parte suggerita da alcune flessioni nelle vendite). Così uno degli sport preferiti di ogni giornalista privo di fantasia è da anni domandare a uomini di penna come vedono la scomparsa del supporto cartaceo. E non basta sostenere che il libro riveste ancora un’importanza fondamentale per il trasporto e la conservazione dell’informazione, che abbiamo la prova scientifica che sono meravigliosamente sopravvissuti libri stampati cinquecento anni fa, mentre non abbiamo prove scientifiche per sostenere che i supporti magnetici attualmente in uso possano sopravvivere più di dieci anni (né possiamo verificarlo, dato che i computer di oggi non leggono più un floppy disk degli anni Ottanta). Ora però ecco alcuni avvenimenti sconcertanti di cui hanno dato notizia i giornali, ma di cui non abbiamo ancora colto il significato e le conseguenze. Ad agosto Jeff Bezos, quello di Amazon, si è comprato il “Washington Post” e, mentre si conclama il declino del quotidiano di carta, Warren Buffett di recente ha collezionato ben 63 quotidiani locali. Come osservava recentemente Federico Rampini su “Repubblica”, Buffett è un gigante della Old Economy e non è un innovatore, ma ha un acume raro per le opportunità d’investimento. E pare che verso i quotidiani si muovano anche altri pescecani della Silicon Valley. Rampini si chiedeva se il botto finale non lo faranno Bill Gates o Mark Zuckerberg comprandosi il “New York Times”. Anche se questo non avverrà, è chiaro che il mondo del digitale sta riscoprendo la carta. Calcolo commerciale, speculazione politica, desiderio di preservare la stampa come presidio democratico? Non mi sento ancora di tentare alcuna interpretazione del fatto. Mi pare però interessante che si assista a un altro ribaltamento delle profezie. Forse Mao aveva torto: prendete sul serio le tigri di carta.

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