"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 8 gennaio 2017

Lalinguabatte. 30 “Previsioni: #ripartelitalia”.



Otto giorni del novello anno. Spericolatamente vissuti. Eppure sono mancate sinora quelle che un tempo venivano definite le “previsioni” degli esperti. Esperti di cosa? Boh! Le loro “previsioni” avevano l’ardire d’essere la parola definitiva, tombale si potrebbe dire se non trasmettesse un senso lugubre che non si confà proprio all’arrivo dell’anno giovincello, parola definitiva in qualsivoglia campo dello scibile umano. E “solonando” a sproposito e di continuo menavano i can per l’aia, ovvero noialtri del cosiddetto popolo minuto. Scriveva per l’appunto Vittorio Zucconi in “Previsione sicura per l'anno nuovo: gli indovini sbagliano”, pubblicato sul settimanale “D” del 9 di gennaio dell’anno appena dipartito che, sempre in fatto di “previsioni” azzeccate, “anche in materia di economia, è inutile arrovellarci troppo, visto che nelle fabbriche del futuro lavoreranno solo un uomo e un cane, disse il futurologo americano Warren Bennis: «L'uomo per dar da mangiare al cane, il cane per impedire all'uomo di toccare le macchine». Forse sbagliava anche lui, ma, per prudenza, auguri a tutti e soprattutto al cane”. Figuriamoci poi se a far previsioni ci provano non solamente gli esperti, ma puranco i politici tout court, ovvero quelli che stanno al mondo senza arte né parte. Un disastro. MPS, che sta per “Monte dei Paschi di Siena”, è l’esempio più prossimo e lampante che mi viene in mente. Per non dire poi di quegli espertissimi in hashtag, tipo la “#” valorizzata politicamente dall’uomo venuto da Rignano sull’Arno, di quello o quegli altri per intenderci che twittano o twittavano ad ogni pie’ sospinto #ripartelitalia. Per dove? Che disastro! Ma state pur certi che non scorrerà molta, moltissima acqua sotto i ponti, che ritorneranno, tanto la memoria del bel paese è corta, anzi cortissima. È interessante a questo punto leggere quanto e cosa ha scritto Bruno Manfellotto sul numero del 31 di dicembre sul settimanale l’Espresso - “Siamo un po’ più poveri non saremo più ricchi”:
(…). …è tornata nelle statistiche una parola che pensavamo cancellata per sempre: povertà. Numeri sui quali riflettere, se non altro perché è su questi che necessariamente si formerà l’agenda 2017. Una ricerca recente è per esempio quella condotta dalla Community Media Research, con la collaborazione di Intesa-San Paolo, per la “Stampa”. Ne emergono pessimismo e rassegnazione. Solo il 12,8 per cento degli intervistati ritiene che il 2016 abbia portato qualche miglioramento; gli altri si dividono esattamente a metà tra quanti pensano che non sia cambiato niente per quanto riguarda sicurezza, reddito personale ed evasione fiscale e quanti sono convinti che le cose siano addirittura peggiorate. Un anno buttato. E quello che verrà? Per la metà degli intervistati non cambierà niente; per tre su dieci le cose peggioreranno sia in politica che in economia. Ma ancora più interessante è il dettaglio. I più scettici appartengono per la stragrande maggioranza al ceto medio, spina dorsale del Paese: il 68,4 per cento di professionisti e dirigenti scommettono che nulla cambierà; i più pessimisti militano invece nel grande esercito degli esclusi (operai, precari, disoccupati) e pensano che la loro marginalità si acuirà ancora; chi vive al Nord non crede a ulteriori scossoni, chi sta al Sud è molto più pessimista. Un’Italia a due facce. E con divari sempre più ampi. Segnala l’Istat che in pochi anni gli italiani in stato di povertà assoluta, che non sono cioè in grado di pagarsi le necessità della vita quotidiana - cibo, casa, vestiario, trasporti - sono aumentati da 1,8 a 4,6 milioni. Otto su cento. Numeri da brividi. E non basta: le statistiche rivelano che vicino alla povertà o del tutto escluso dalla vita sociale sia addirittura il 30 per cento della popolazione, quasi un italiano su tre (28,7). E anche in questo caso è un Paese a due velocità: a rischio sono 15 trentini e 18 lombardi o toscani su cento; ma 30 in Abruzzo, 44 in Calabria, 46 in Campania, 55 in Sicilia. Numeri che fanno oggi dell’Italia il paese d’Europa con le più marcate disuguaglianze sociali e che hanno spinto una quarantina tra Comuni, sindacati e associazioni del terzo settore a fondare una Alleanza per la povertà che si batte per un sussidio statale a chi ne ha bisogno. (…). La miseria cresce. Ma anche l’evasione fiscale. E qui c’è solo l’imbarazzo della scelta. Per chi crede nella forza del dettaglio valgano per tutti i dati ministero delle Finanze-Aci raccolti da Federico Fubini per il “Corriere della Sera” sulle supercar da 100mila euro e più, molto più numerose dei redditi di pari entità dichiarati al fisco: in Puglia sono il doppio, in Calabria il triplo. Allegria. Chi invece preferisce il quadro d’insieme, si affidi alla commissione Giovannini sull’evasione fiscale che calcola in 211 miliardi il valore aggiunto prodotto dall’industria del nero e del sommerso, il 13 per cento del pil: qui non valgono né gelate né zero virgola. I governi si susseguono - cinque dall’inizio della Grande Crisi - ma la battaglia sembra persa e il recupero di evasione, per buona parte legato a errori e irregolarità nella dichiarazione, non è mai sufficiente a bilanciare ciò che sfugge del tutto al fisco: nel 2016 sono rientrati in casi 14 miliardi, nel 2017 bisognerà trovarne 27 per la manovra finanziaria… Con questi numeri, come essere ottimisti? Eppure bisogna riuscirci. (…). Bene. Il Manfellotto non ha di certo dovuto eviscerare animali per leggerne le loro frattaglie per stabilire l’avvenire triste che ci aspetta. Era già tutto scritto nelle opere di coloro che hanno retto la cosa pubblica appena qualche giorno o mese addietro. Semplice, ma vero. E di “profezie” sbagliate Zucconi ce ne elenca un buon numero. Leggere il resto della Sua gradevole e sorprendente corrispondenza: (…). Cominciamo da un classico, la "minaccia del treno". Appartiene a uno scrittore irlandese dell'800, Dionysius Lardner, grandissimo divulgatore di scienze e autore di una enciclopedia in 33 volumi. Nel 1830, il dottor Lardner avvertì il popolo che treni capaci di viaggiare oltre i 60 chilometri orari sarebbero stati impossibili, perché a quella velocità l'aria sarebbe stata risucchiata dai vagoni e i passeggeri sarebbero morti asfissiati. Con autorevolezza anche maggiore, Lord Kelvin, insigne scienziato, licenziò nel 1883 i raggi X definendoli «un trucco da baraccone». Albert Einstein, che pure qualche brillante idea nuova in materia di fisica aveva avuto, era certo nel 1932 che l'atomo «non sarebbe mai stato sfruttabile come fonte di energia» e ancora più netto nelle previsioni sarebbe stato il titano di Hollywood Darryl Zanuck, guardando il suo primo televisore, nel 1939: «Una moda passeggera della quale il pubblico si stancherà presto», sbuffò. E se i banchieri sono divenuti oggi tristemente famosi per la loro spregiudicatezza nel consigliare acquisti sbagliati, la storia ricorda anche banchieri divenuti celebri per avere invitato i clienti a non fare gli investimenti giusti: «Il cavallo è qui per restare, le automobili scompariranno presto, mi creda», disse il presidente della Michigan Savings Bank all'avvocato di Henry Ford, sconsigliandogli di comperare azioni della casa autombilistica. (…). Hiram Maxim, inventore della mitragliatrice che avrebbe falciato milioni di vite nei campi di battaglia, spiegò nel 1893 che la sua invenzione «avrebbe reso impensabile la guerra», proprio perché troppo micidiale. Il Presidente della IBM, Thomas Watson, calcolò che nel mondo ci sarebbe stato un mercato «per quattro o cinque computer al massimo». A sua giustificazione va detto che nel 1943, quando si espresse così, un calcolatore elettronico a valvole con una potenza infinitamente inferiore a quella dello smartphone che portiamo in tasca o in borsa, aveva le dimensioni di una palazzina. (…). La Decca, colosso della discografia, respinse i Beatles, perchè «il loro suono era banale e le chitarre avevano stancato», pochi anni dopo che Variety, il periodico letto come un vangelo dal mondo dello spettacolo, aveva sentenziato, all'inizio del 1955, che «il rock ‘n roll è destinato a tramontare prima delle fine dell'anno». (…).

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