"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 29 ottobre 2016

Paginatre. 55 “Supercazzole&Politica”.



Da “Supercazzola. Dal conte Mascetti a Renzi: la supercazzola è più viva che mai” di Nanni Delbecchi, su “il Fatto Quotidiano” del 31 di luglio dell’anno 2015: “Guardi, guardi… Lo vede il dito che stuzzica? E brematura anche? Come se fosse antani”. Il conte Nello Mascetti con il suo cappotto di cammello arringa il vigile urbano di Firenze in difesa degli amici sorpresi a strombazzare nel centro città di prima mattina. Da una parte il codice della strada, dall’altra la supercazzola brematurata. Sono passati quarant’anni esatti, ma sembra ieri. Ma che ieri, sembra oggi, e domani lo sembrerà anche di più. La supercazzola vive e lotta insieme a noi, a riprova che non tutta l’eredità del passato è destinata all’oblio. Come Venere nasce dalle acque, la supercazzola di Ugo Tognazzi alias Nello Mascetti nasce il 15 agosto 1975 da Amici miei atto primo (l’atto secondo rimarrà a grandi livelli, il terzo sarà un mesto epilogo, il remake vanziniano una volgare imitazione), uno dei capolavori della commedia all’italiana. Da allora, quattro dei cinque protagonisti, irriducibili inventori di burle e di zingarate, non ci sono più, la commedia all’italiana non si sente tanto bene, l’amicizia si dà su Facebook e le zingarate si fanno su Blablacar. Il mondo è cambiato, però la supercazzola vive e lotta insieme a noi più bella e più forte che pria, come se nella sua fiamma ardesse il vero spirito dei nostri tempi. E dire che sembrava venire da lontano, vantava una discendenza nobile, come i non-sense di Edwadr Bond, gli anacoluti di Petrolini o il grammelot di Dario Fo. Sembrava l’ennesimo pezzo di bravura teatrale o esercizio di stile letterario. E invece no. La supercazzola del conte Mascetti era qualcosa di molto concreto, che anticipava i tempi essendo (citiamo dalla voce che si è conquistata a furor di popolo su Wikipedia) “una frase priva di senso logico esposta in modo ingannevolmente forbito e sicuro a interlocutori che pur non capendo alla fine la accettano come corretta”. Insomma, l’arte di non dire niente, ma di dirlo così bene che sembra a te di aver capito male. L’arte di gabbare il prossimo dandogli l’impressione di fargli un piacere. Un giorno qualche storico ci spiegherà com’è che siamo passati dalla politica delle ideologie a quella alle supercazzole; ma per constatarlo, basta sfogliare i quotidiani.
Da quelli di ieri apprendiamo che il capogruppo del Pd Luigi Zanda aveva lasciato ai suoi senatori libertà di supercazzola, e loro ne hanno fatto subito ottimo uso. “I senatori hanno fatto una scelta dopo aver letto le carte”, spiega il vicesegretatio Guerini, come se fosse Antani. Ma durante il dibattito il senatore Ncd Nico d’Ascola è stato anche più perentorio: “La legge dice che la custodia cautelare può disporsi solo se le esigenze cautelari sono attuali”. Cautelari, attuali, e soprattutto brematurate. Voltiamo pagina, e troviamo Denis Verdini che spiega così la rottura con Forza Italia e l’appoggio al governo da non confondersi però con l’ingresso nel Pd: “Quando da ragazzi eravamo al bar, i comunisti facevano il tifo per Borzov, ma io per Mennea”. Scappellamento a destra, scappellamento a sinistra e un po’ anche al centro. Per farsi poi un’idea del trionfo della supercazzola negli ultimi otto lustri, basta andare su Google e digitare la parola magica. Saremo inondati da cronache e filmati d’autore, un’appassionante gara all’ultima tapioca tapioca. Il sindaco Marino sull’affittopoli del comune (“care jene voi dormivate, è grazie alla mia giunta che lo avete scoperto”), il ministro Alfano che discetta “sul potere caducatorio dei prefetti”, Formigoni al processo Maugeri meglio di Aldo Giovanni e Giacomo (“Sono vittima di uno scenario kafkiano”), Beppe Grillo e l’algoritmo globale mondiale Cround sourcing “in grado di intersecare tutti i dati delle banche e delle dichiarazioni fiscali”, il monito di Giorgio Napolitano all’Accademia dei Lincei su come “la critica della politica e dei partiti, preziosa e feconda nel suo rigore, è degenerata in anti-politica”. Di Nichi Vendola c’è addirittura un narcotizzante “supercazzola remix” che mitraglia tra “l’impudicizia, il senso preminente, la militanza militare, indubitabilmente”. E non può essere un caso che i due leader di maggior consenso popolare, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, siano anche i massimi esponenti dello scappellamento. “Ho scelto di scendere in campo perché questo è il paese che amo”; uno che si presenta scandendo una simile supercazzola da dietro una calza da donna e per vent’anni non abbassa il livello tra milioni di posti di lavoro, contratti con gli italiani, ponti sullo stretto, persecuzioni dei comunisti, sembrava insuperabile. Eppure Renzi con le sue riforme, le volte buone, le svolte ottime, i calzini rivoltati, i gufi, i rosiconi, e addirittura le supercazzole bilingui, in inglese con testo a fronte, potrebbe farcela. No, quarant’anni non sono passati invano. Se Calamandrei era il padre della prima Repubblica, si potrebbe ben candidare il conte Mascetti a padre della seconda. Si scrive storytelling, ma si pronuncia supercazzola.

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