"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 13 settembre 2016

Sfogliature. 68 "Il vuoto di un ventennio”.



La “sfogliatura” di oggi risale al mercoledì 28 di settembre 2011. Scrivevo a quel tempo: Sapete di già che l’intestazione di questa sezione del blog (“doveravatetutti” intestazione ripresa per questo blog approdato successivamente alla data del 28 di settembre 2011 su di un’altra piattaforma n.d.r.) è presa di peso dal volume che ha per titolo “Dove eravate tutti” di Paolo Di Paolo di recente pubblicazione presso Feltrinelli (2011) – pagg. 224 € 15,00 -. Ho avuto modo di leggere sul quotidiano “la Repubblica” una intervista dell’Autore rilasciata ad Antonio Tabucchi, quello di “Sostiene Pereira” e tanto altro ancora. Titolo dell’intervista, che di seguito trascrivo in parte:”Quel che resta del Paese di colpo grosso". Paolo Di Paolo è uno scrittore giovanissimo essendo nato nell’anno 1983. Al tempo della “discesa in campo” dell’unto Paolo Di Paolo è grosso modo un ragazzetto che ha avuto però tutto il tempo per assorbire, subendolo, il “potere” instaurato nel bel paese. Dove eravate tutti? L’interrogativo manca nel bel libro di Paolo Di Paolo. È mio. Ed è la domanda che dovremmo cominciare a porci ed a porre ora che l’avventura dell’unto sembra volgere al termine. Oggigiorno è tutto un innalzare al cielo altissimi lai e reprimende severe. Da parte di chi? Da parte di tutti quelli dai quali sarebbe interessante sapere “dove eravate” negli anni del tempo dell’unto? Che è ancora il tempo dell’unto. È ancora lì a dimenarsi come un mostro in agonia. E così quelli della Confindustria; e così quelli della chiesa di Roma. È tutto un susseguirsi di sdegnate prese di posizione contro quel mondo senza onore e carità creato nel bel paese da tristi personaggi simili in tutto a quei personaggi della celluloide che il grande regista russo Aleksandr Nikolayevič Sokurov – “Leone d’oro” a Venezia 2011 con il Film “Faust” – rappresenta magistralmente nella Sua memorabile opera “Moloch”. Il “moloch” de’ noantri. Afferma Paolo Di Paolo:
“l'Italia, per vent'anni, è stata una nave da crociera”. Come non dargli ragione? Ed i crocieristi? Imbesuiti “sulla nave da crociera, abbiamo preso il largo. Diretti dove? Era impossibile capirlo. Ma siamo rimasti a bordo per vent'anni”. Scrivevo in uno dei primissimi post di questo blog, il 27 di giugno dell’anno 2003: A seguito delle singolari vicende parlamentari che hanno portato il Paese a dotarsi di una "legge" tutta speciale che vale solo per cinque persone. Stiamo smarrendo la nostra identità e con essa anche la possibilità di costruire una sempre più civile convivenza. La civile convivenza di un Paese, di un qualsiasi Paese di questo pianeta, deve avere dei tratti fondamentali che ne impregnino tutto il tessuto civile, le istituzioni, il ragionare collettivo che, seppur diversificato, riconosce in quei tratti fondamentali il suo tratto caratteristico, il suo collante indiscutibile. Trovo allora confortante proporre una "spiga d'oro” di un altro "grande vecchio”, Paolo Sylos Labini, raccolta da una sua pubblicazione recente “Diario di un cittadino indignato”. Essa, in un momento così difficile per il nostro Paese, potrà essere memoria e guida per una pronta riscossa. “(...). La cultura è l'elemento unificante di una società e nella cultura rientra l'arte. (...). Ma, per la società, non meno importante è l'onestà civile della gente di ogni livello; è l'onestà civile diffusa che rende vivibile una società. L' autostima a livello popolare e la stima degli altri paesi sono la base dell'amor di patria e dell'orgoglio di appartenere ad una comunità. Esortazioni, gare sportive e festeggiamenti non sono inutili, ma senza quella base sono addirittura dannosi, perché pongono in risalto il contrasto fra l'apparire e l'essere, e l'amor di patria, quando c'è ipocrisia, invece di crescere diminuisce ulteriormente. (...)”. Mancano oggigiorno i grandi Maestri. Che si indignavano sin d’allora. Non è giunto ancora il tempo per stabilire primogeniture, per stabilire chi per primo abbia sentenziato “l’avevo detto”; non è giunto il tempo ancora per chiedere conto degli atteggiamenti e dei comportamenti di ciascuno e dei tanti. Ma la Storia è tutta lì. I conti bisognerà pur farli un giorno. (…). ‹‹Mi perdoni (è Paolo Di Paolo che colloquia con Antonio Tabucchi n.d.r.) se entro nel campo personalissimo delle mie visioni, se non addirittura delle mie allucinazioni. Mi creda, mi è sembrato di averla davanti agli occhi: una nave da crociera. Il pensiero mi ha accompagnato fino a notte e non mi ha ancora lasciato: l'Italia, per vent'anni, è stata una nave da crociera. Non le pare? Con i campi da golf, le balere, le discoteche, le piscine, il cinema, il piano-bar. La vacanza dev’essere cominciata con una cosa che, per età, non riesco a ricordare per memoria diretta. Ne hanno mandati in onda alcuni passaggi l'altra sera. Si chiamava Colpo grosso, lo trasmettevano su Italia 7, gestione Fininvest››. Con questa citazione, che è a p. 136, credo di aver toccato il cuore del romanzo di Paolo Di Paolo, Dove eravate tutti,(…). L'autore appartiene a quella generazione che dall'infanzia a oggi in Italia non ha conosciuto altro che il sistema tolemaico di quell'imprenditore brianzolo proveniente da un’associazione eversiva che la stampa italiana, con un anglicismo fuori luogo definisce il premier. E che ha come seconders (a questo punto ci sta bene) boss mafiosi, corruttori di giudici, sub-agenti dei servizi segreti, giornalisti al soldo, sicari, cardinali, magnaccia e cocainomani. Un tipetto che di quella nave da crociera, dove dapprima faceva l'intrattenitore, è divenuto il capitano. ‹‹Saliti sulla nave da crociera, abbiamo preso il largo. Diretti dove? Era impossibile capirlo. Ma siamo rimasti a bordo per vent'anni. Le vacanze erano finite, veniva da piangere a tutti, come in una pubblicità. Però qualcuno deve aver detto che si poteva restare. Si poteva non scendere più. Lui avrebbe continuato a intrattenere, a sorridere, a cantare. Un giorno, quando sembrava che tutto sarebbe durato così per sempre, il Capo sarebbe sceso›› (p. 137). Ecco per dove era partita la nave da crociera su cui si era imbarcata l'Italia: verso presunte ‹‹donne di sogno, banane e lamponi›› che l'intrattenitore, Joker di un fumetto scadente, aveva promesso a tutti, ma proprio a tutti, firmando un contratto televisivo seduto a una scrivania di ciliegio di fronte a un presentatore che fingeva di essere il notaio. Il ventennio berlusconiano, mascherato di pinzillacchere televisive, di bandane in ville cafone, di dittatori russi che venivano dall'amico in Sardegna con un incrociatore militare, di dittatori libici che venivano dall'amico a Roma con le loro amazzoni, di partouzes con minorenni – se tutto questo è sembrato uno spettacolo di circo o un brutto sogno, in realtà è successo davvero: è stata un'epoca truce e funebre che ha scavato gallerie oscure nelle coscienze degli italiani. (…). ‹‹L'aria era cambiata. Sulla nave da crociera, le luci erano rimaste accese. E attivi i campi da golf, le balere, le discoteche, le piscine, il cinema, il piano-bar. Ma c'era come un senso di smarrimento. Un'ansia strana si sarebbe comunicata di passeggero in passeggero. L'equipaggio non era in grado di fornire alcuna indicazione. Le luci restavano accese, notte dopo notte. Ma i campi da golf, le balere, le discoteche, le piscine, il cinema, il piano-bar sembravano più tristi e cominciavano a svuotarsi. Le feste c'erano ancora, ma come svogliate. A muoversi – in modo scomposto e con le camicie sudate e le pance e i sorrisi un po' ebeti – erano ormai quasi solo alcuni vecchi amici del Capo. I passeggeri, loro cominciavano ad annoiarsi›› (p. 137). (…). La verità è che il berlusconismo è un vuoto, (…): esso non è interpretabile, sfugge all'esegesi. Dove eravate tutti (…) è la tesi sul vuoto di un ventennio (…). Il “ventennio” risulta essere un termine del trascorrere del tempo infausto e presàgo di sventure e malanimo diffuso per il bel paese. Ora come allora.

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