"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 7 settembre 2016

Lavitadeglialtri. 11“Il talento di Ahmed ed i tristi figuri a Ventotene”.



Ha scritto Curzio Maltese sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 2 di settembre ultimo nel “pezzo” che ha per titolo “Ma quelli del manifesto di Ventotene oggi sarebbero manganellati in piazza”: (…). L'Europa che si è formata o deformata in questi anni è la  negazione assoluta del progetto originario, federale e socialista.  È una non federazione pensata e realizzata  per rendere più ricche le nazioni dominanti, la Germania in testa, e più povere le già povere (Grecia e tutto il Sud), per aumentare l'ingiustizia sociale all'interno delle nazioni  e per smantellare, insieme al welfare, un secolo di conquiste sindacali, in nome di un sacro credo liberista. Non si tratta di opinioni, ma di cifre e statistiche facilmente consultabili nella biblioteca del parlamento europeo a Bruxelles. Che cosa c'entra tutto questo col manifesto di Ventotene? Nulla. Ed è il nulla infatti che i tre spinelliani immaginari (Angela Merkel, Francois Hollande e l’uomo venuto da Rignano sull’Arno n.d.r.) hanno celebrato davanti alle telecamere, mentre dietro Hollande e Renzi trattavano piccoli favori con la Merkel, in cambio di grandi, per non perdere le prossime elezioni. Che è un po' come negoziare un posto più vicino all'orchestra sul Titanic. L'immagine dello show è un'Europa vecchia, stanca e cinica che corre a imbellettarsi per rispondere allo schiaffo terribile della Brexit, senza riuscire per questo a sembrare né più giovane né più attraente, ma al contrario ancora più decrepita. Per quanto può durare senza cambiare davvero nulla? Nessuno può saperlo, ma forse neppure un'altra legislatura europea. È solamente patetica ed al contempo tragica la politica seguita e messa in atto da quei figuri sulla tolda di una nave da guerra. Quegli stolti hanno dimenticato la lezione della Storia, hanno dimenticato quanto dolore e morte l’ottusità di una certa politica – magistralmente denunciata da Curzio Maltese - hanno portato nella culla della civiltà, l’Europa. Hanno dimenticato gli stolti quanto quell’immenso Bertold Brecht ci ha lasciato quale perenne memoria: “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c'era rimasto nessuno a protestare”.
Nell’Europa della cristianità, nell’Europa dei “lumi”, nell’Europa del più avanzato movimento operaio e di classe, in questa Europa di beceri politicanti, l’orrore denunciato da quell’immenso sembra non più essere ascoltato. Ma accade, come per un miracolo, nel mentre si è preda di tanta avanzante barbarie, che giunga nelle nostre vite una inattesa corrispondenza all’altra parte dell’Atlantico a firma di Federico Rampini, corrispondenza pubblicata sull’ultimo numero del settimanale “D” del 3 di settembre, corrispondenza che apre alla speranza affinché quella barbarie non abbia a compiere il suo mortale e nefasto percorso. Ha scritto Federico Rampini in “Il talento di Ahmed, che l’America non si sa meritare”: (…). Donald Trump non c'entra, stavolta. Ma i suoi ammiratori e seguaci sì. Sono loro ad avere avuto l'ultima parola, nella vicenda cominciata il 15 settembre dell'anno scorso. Quel giorno nel liceo di Irving, una cittadina del Texas vicino a Dallas, il 14enne Ahmed Mohamed arriva in classe portando il frutto di un suo progetto: appassionato di piccoli lavori ingegneristici, ha messo a punto da solo un orologio digitale. In una scatola a parte ha messo i cavetti che servono a collegarlo alla presa elettrica. Una prof d'inglese vede quei fili che escono dalla scatola, squadra Ahmed: bruno, capelli ricci nerissimi, le sue origini etniche sono inconfondibili (il padre è un arabo del Sudan, fuggito con la famiglia negli Stati Uniti per salvarsi dalle persecuzioni religiose). Altri prof di quella scuola conoscono le prodezze tecniche di Ahmed, spesso gli chiedono di aggiustargli computer e smartphone. Ma l'insegnante d'inglese non sa, e lancia l'allarme: bomba in classe. Arriva la polizia, Ahmed viene ammanettato e portato via. In commissariato lo interrogano senza la presenza di un legale. E anche se viene rilasciato dopo poche ore, arriva la sanzione dalla scuola: sospensione disciplinare. Della storia si accorge il quotidiano Dallas Morning News. Poi un blogger specializzato in tecnologia, Anil Dash. Il caso diventa virale, nelle prime 24 ore dalla notizia, un milione di americani esprimono la loro solidarietà con l'adolescente, twittando #IstandwithAhmed, "io sto con Ahmed". Fino ad attirare l'attenzione di Obama, di Zuckerberg, e di tanti altri. Il ragazzino geniale viene invitato alla Nasa. Partecipa a una conferenza dell'Onu al Palazzo di Vetro. Altro che ammanettarlo, l'America progressista ne vuol fare un modello per tanti suoi coetanei. Ma l'attenzione di quest'America si dilegua col passare dei mesi. Le subentra un'altra nazione, feroce e crudele, la sua gemella nemica. Razzista, islamofoba, in cerca di vendette contro il gesto pacificatore di Obama. Nei social media di destra cominciano le insinuazioni: Ahmed e la sua famiglia sarebbero degli imbroglioni in cerca di fama. Peggio, alcune teorie del complotto lo descrivono come un docile strumento nelle mani di gruppi islamici che vogliono screditare la polizia del Texas. Arrivano minacce, anche di morte. Via via che la storia di Ahmed sparisce dalle prime pagine dei giornali, altri media più discreti ma tenaci se ne impadroniscono. La trasformano in una controstoria. La notorietà diventa un pericolo. Il ragazzino non regge allo stress, il padre teme per il suo equilibrio. Arriva, benefica, l'offerta di una borsa di studio dalla Qatar Foundation. I legali di Ahmed convocano una conferenza stampa e annunciano: la famiglia si trasferisce a Doha. Trump non c'entra, col caso Ahmed, però ogni giorno sdogana il razzismo, la xenofobia, l'islamofobia. Invoca esami di religione alla frontiera Usa per tener fuori i musulmani. La fuga di Ahmed ci ricorda che quando vince il pregiudizio e diamo la caccia ai diversi, alla fine restiamo tutti un po' più poveri.

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