"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 16 agosto 2016

Oltrelenews. 97 “#tuttobenestatesereni”.




Da “La povertà in aumento curata coi soldi falsi: Renzi vende il Sì” di Marco Palombi, su “il Fatto Quotidiano” dell'11 di agosto 2016:
(…). Partiamo dai soldi. Il problema è che i 500 milioni (che Renzi Matteo vuole devolvere in beneficienza pro-Sì al referendum novembrino n.d.r.) l’anno con cui Renzi vuole rimpinguare il Fondo per la lotta alla povertà non esistono. Va apprezzata, certo, la progressiva moderazione: si trovano ancora dichiarazioni in cui i risparmi della riforma erano quantificati in un miliardo. Durante l’ultimo anno qualcosa deve averli fatti dimezzare, ma sono ancora lontani dai risparmi veri. Quanto a quelli, c’è un documento del 18 novembre 2014 della Ragioneria generale dello Stato – cioè un dipartimento del Tesoro, cioè il governo – assai preciso. I risparmi preventivabili, secondo la Rgs, sono meno di 60 milioni. In generale, nel 2016 il Senato dovrebbe costare (da bilancio di previsione) circa 560 milioni: 330 milioni se ne andranno in pensioni degli ex senatori e degli ex dipendenti e in stipendi del personale (voci non tagliabili). Si risparmierà sulle indennità dei senatori, che sono state abolite: valgono 42,1 milioni. Tolti i 14 milioni che rientrano dall’Irpef, però, il minor costo per lo Stato sono 28 milioni. I vari rimborsi spese, invece, resteranno in vigore, ma solo per i 100 senatori scelti tra consiglieri comunali e sindaci (ora sono 315): i 37,2 milioni approntati quest’anno vanno dunque ridotti di due terzi. Il minor costo lordo è di circa 25 milioni, tolte le tasse 20: sempre che non esplodano i costi di vitto, alloggio, viaggi e segreteria dovuti al fatto che i senatori “dei territori” dovranno fare avanti e indietro da Roma. Sugli altri costi di funzionamento del Senato – circa 70 milioni – bisognerà vedere come ci si regolerà in futuro, ma è difficile immaginare meraviglie visto che Palazzo Madama resterà aperto. E ancora: l’abolizione del Cnel comporta, per la Ragioneria, risparmi pari a 8,7 milioni. Infine ci sono i costi delle province, che sono state abolite già una decina di volte ma continuano magicamente ogni volta a produrre risparmi. In realtà – stante che i dipendenti resteranno nella P.a. – è difficile ce ne siano: dal 2014 il personale politico non prende più stipendio. (…). Ora i risparmi falsi della riforma costituzionale il premier vorrebbe darli ai poveri (“sarebbe bello”). Curiosamente, questo governo si è finora disinteressato del problema, eppure le sue dimensioni sono cresciute durante l’èra Renzi a livelli mai visti. L’ultimo dato Istat, diffuso a fine luglio, ci dice che 4 milioni e 598 mila italiani vivono in “povertà assoluta”, il 7,6% della popolazione residente (1 milione e 582 mila famiglie): quella percentuale era al 6,8% nel 2014 (e al 7,3% nel 2013, dopo un anno e mezzo di governo Monti con annessi “salva-Italia”). Un dato semplicemente senza precedenti in tempo di pace: nel 2007 la percentuale di individui residenti in Italia in povertà assoluta era il 4,1% (2 milioni e 427 mila persone). A fronte di questi numeri preoccupanti, prima della propaganda fatta in una Festa dell’Unità in Emilia il governo Renzi aveva fatto poco e niente. I suoi provvedimenti fiscali sono stati gli 80 euro – da cui però sono esclusi gli incapienti (cioè chi guadagna meno di 8mila euro l’anno) – e una lunga serie di sgravi alle imprese (dalle assunzioni ai super-ammortamenti): l’obiettivo era rilanciare i consumi (è andata malino), gli investimenti (idem) e l’occupazione (poca roba). Agli incapienti zero, alle pensioni minime zero (“ma mi piacerebbe aumentarle”), l’unico parto del governo per chi è in grave difficoltà economica è il Fondo anti-povertà: 600 milioni quest’anno e un miliardo l’anno prossimo, in parte recuperati peraltro da fondi già esistenti. Siccome così fa la miseria di 217 euro a “povero assoluto”, si partirà dalle famiglie con minori o disabili gravi (280 mila in tutto). Nel frattempo, però, abbiamo buttato due anni. Ricorda l’ex ministro del Lavoro (con Letta) Enrico Giovannini: era stato predisposto un progetto organico chiamato SIA (sostegno all’inclusione attiva), che coinvolge Asl, scuole, centri per l’impiego e Comuni. La sperimentazione era stata avviata nel 2013, poi arrivò #enricostaisereno e “caduto il governo lo si è fatto due anni dopo”. Le stime del governo dicono che basterebbero poco più di 5 miliardi per debelalre la povertà assoluta. È la metà di quanto costano gli 80 euro. 

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