"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 6 agosto 2016

Doveravatetutti. 16 “Il populismo che si nutre di ignoranza”.



Scrivevo in un post del 20 di ottobre dell’anno 2003: Letta in un’intervista di Andrea Camilleri: - Sa qual è la disgrazia di essere morti? È che non si ha diritto di replica. E De Gasperi purtroppo non può rispondere. Noto, comunque, un certo progresso in Berlusconi, che da “unto del signore”’, una sorta di messia, ora si proclama un uomo normale, un uomo politico. Quest’atteggiamento è una sorta di rientro nella normalità. Forse per chi studia questi passaggi mentali, la cosa può avere un certo interesse. Mi auguro solo, e lo auspico per lui, che non prenda la parola in una commemorazione di Napoleone. (…). - Zelig, chi era costui? Uno, nessuno e centomila; proteiforme, di una mutevolezza estrema, un…blob insomma. Innocuo, però. Un nuovo Zelig si aggira nelle nostre contrade con grandi responsabilità, non più innocuo però. E nella sua sorprendente mutevolezza te lo ritrovi dinnanzi nella forme le più imprecisate, che tu stesso strabuzzi gli occhi, non ti rendi conto di tanta rapida mutevolezza, una cosa sovrumana, ma tanto è, e si presenta e lo vedi come “(…) il milanese alla mano, il self-made man, l’imprenditore di successo stratosferico, il collega di partita Iva, il presidente operaio, il muratore, anzi il magutt, con la cazzuola e la bustina di carta da giornale in testa, il cantante confidenziale, il paroliere, il barzellettiere da convention, il venditore tutto sorrisi inesorabilmente persuasivi, il buon padre di famiglia, lo sposo esemplare, il figlio sicuramente prediletto dalla cara mamma, e poi l’uomo che dà del tu ai Grandi eppure non disdegna di discutere di calcio con l’autista, lui, il padrone del Milan, , il maestro di tattica, l’eversore politico-calcistico del ‘cretino’ Dino Zoff che non ha fatto marcare Zidane, il compratore di Nesta…(…).” (da “Post-italiani” di Edmondo Berselli – pag. 92). È una vertigine, e nella limitatezza di ciascun essere umano stenti a capire ed alla fine ti arrendi e ci rinunci proprio a penetrare il sacro mistero”.
Serve a qualcosa oggigiorno il “doveravatetutti”? Serve se con esso riuscissimo ad interrogarci del perché, del per come tutto sia stato possibile. Iniziava l’illusionismo al potere. Iniziava la diffusione e l’incoraggiamento dell’”ignoranza” come nuovo tratto etico, antropologico, di un popolo tutto in preda alle ossessioni di un non-politico che ha fatto poi della politica il suo “teatrino” personale, a colpi di danaro suo, dilatato sull’intero globo terracqueo. “Caduto” lui, dicevano i beoti prezzolati della sua parte, non avremmo più avuto di cosa scrivere e pensare? E quando mai una simile fandonia se non detta da perfetti beoti? Passata la “cronaca” quotidiana con le barzellette da bar-sport rientra nella quotidianità l’esercizio della memoria, l’esercizio di capire i fatti affinché si possano apprestare le opportune difese scrutando all’orizzonte lontano il possibile ritorno dei “tartari”, appena “licenziati” dalle stanze del potere, così come nella Fortezza Bastiani, come tanti novelli Drogo. Del nuovo tratto etico ed antropologico il nuovo corso se ne vestì sin dal suo apparire; il “tunnel” – scavato tra Ginevra ed il Gran Sasso - della Gelmini ha rappresentato solamente il punto massimo della riflessione populistica di quel potere inconsistente. Ne ha scritto, come sempre magistralmente, Barbara Spinelli sul quotidiano “la Repubblica” del 27 di aprile dell’anno 2011. Titolo della Sua riflessione: “Il populismo che si nutre di ignoranza”. Di seguito la trascrivo in parte: (…). All’origine c’è una volontà ripetitiva, sistematica, di non sapere, non vedere la Grande Trasformazione in cui stiamo entrando comunque. C’è una strategia dell’ignoranza, come sostiene il professore di linguistica Robin Lakoff, un desiderio di fermare il tempo: «L’attrattiva dei populisti scaturisce da un affastellarsi di ignoranze:ignoranza della Costituzione, ignoranza dei benefici che nascono dall’unirsi in sindacato, ignoranza della scienza nel mondo moderno, ignoranza della propria ignoranza» (Huffington Post, 30 marzo 2011). II vero nemico dei nuovi populismi è la democrazia parlamentare, con il suo Stato sociale e la sua stampa indipendente. (…). Di qui il diffuso fastidio per la stampa indipendente, quando più ci sarebbe bisogno di cittadini responsabili, quindi bene informati. A tutti costoro i populisti regalano illusioni, cioè il veleno stesso che quattro anni fa generò la crisi. Ai drogati si restituisce la droga. Cos’è d’altronde l’illusione, se non un gioco (un ludus) che dissolve la realtà nelle barzellette sconce quotidianamente distillate dal capo? Cos’è il fastidio per la stampa indipendente, se non strategia che azzera la conoscenza dei fatti? Meglio una barzelletta del potente che una notizia vera sul potente. L’Italia è all’avanguardia anche in questo campo: la concentrazione dell’informazione televisiva nelle mani di uno solo è strumento principe dell’ignoranza militante, e distraente. (…). Anche lo straniero come capro espiatorio è gioco d’illusione, feroce, con la realtà multietnica in cui già da tempo viviamo. Il fenomeno non è nuovo. Negli anni ’20-’30, la Germania pre-nazista esaltò il Blut und Boden, il sangue e la terra, come fonte di legittimazione politica ben più forte della democrazia. Oggi lo slogan è imbellito - si parla di radicamento territoriale, davanti a una sinistra intimidita e plaudente - ma la sostanza non cambia. La brama di radici, ancora una volta, impedisce il camminare dell’uomo e lo sguardo oltre la propria persona, il proprio recinto. Consanguineità e territorio divengono fonti di legittimazione più forti della Resistenza. Helsinki ladrona, Roma ladrona, Washington ladrona: si capisce da questo slogan (lo stesso in Finlandia, Italia, America) come l’anti-statalismo sia centrale. Come la xenofobia sia il sintomo più che la causa del male. Vedendo che la crisi perdura, le popolazioni hanno cominciato a nutrire un’avversione radicale verso l’idea stessa di uno spazio pubblico dove la collettività, tassandosi, difende i più deboli, i più esposti. I populisti non temono di contraddirsi, anzi. D’un sol fiato si dicono antistatalisti e promettono uno Stato controllore, tutore dell’etnia pura, normalizzatore delle coscienze e delle conoscenze. (…). L’etica pubblica mette tutti davanti alla stessa legge, perché nessun interesse privato abbia la meglio. Lo Stato etico dei populisti impone il volere del più forte: Chiesa, lobby, etnia. Lo chiamano valore supremo, non negoziabile. In realtà è puro volere: suprema volontà di potenza. Come mai le cose sono andate così? (…). In parte perché i governi hanno sottovalutato l’enorme forza del risentimento. In parte perché non hanno spiegato quel che significa, nel mondo globalizzato, salvare il bene pubblico. Ma è soprattutto la verità che hanno mancato: sono quattro anni che descrivono la crisi come superabile presto, il tempo d’arrivare alle prossime elezioni. (…). Ma dopo quella immersione ed una navigazione in apnea durata giustappunto un ventennio pieno ci si è ritrovati dinnanzi alla svolta dell’oggi che di quel “populismo che si nutre di ignoranza”  si è fatto interprete eccellente. Del “populismo che si nutre di ignoranza” che è una cifra divenuta costante nella politica del bel paese ne ha scritto Dario Fo in “Le lacrime di B?” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 6 di agosto dell’anno 2013, tre anni appena addietro:  (…). Allora, Fo (…) . - C’è un’espressione napoletana che rende perfettamente l’idea: chiagni e fotti -. E non serve un traduttore… - Direi di no. L’immagine l’hanno vista tutti: un attore, un pessimo attore, che piange per fregare i semplici. Ma anche in questo caso, beninteso, nulla di originale -. In che senso? - Basta ricordarsi della Fornero, l’ex ministra del Lavoro. Annunciando che avrebbe tolto diritti e soldi ai pensionati si mise a piangere davanti alle telecamere. E andando indietro con la memoria potrei raccontare tanti altri esempi. Ma, insomma, credo che ci siamo capiti: il magone per fregare la gente è uno strumento che il potere usa da tempo. È lo strumento più semplice, più banale, dico di più: più volgare, per far breccia -. Ma onestamente: come le è sembrato Berlusconi come interprete? Mediocre. Molto, molto mediocre. - Una maschera da melodramma. Niente di più -. Perché la definizione di “attore melodrammatico” è di per sé negativa? - Assolutamente sì. Credo che si possa dire tranquillamente che il melodramma, e tanto più il melodramma berlusconiano, sia la forma più deteriore di spettacolo. Se immaginassimo una teorica graduatoria di spettacoli, penso proprio che il melodramma andrebbe collocato all’ultimo gradino… Davvero, nulla a che fare con la rappresentazione -. (…). L’ultima domanda: ma secondo lei, si può dire che le lacrime al comizio di domenica siano il suo spettacolo finale? Dopo, la condanna, insomma, lo possiamo dare per finito? - Sa come le rispondo? -. No, mi dica… - L’altro giorno, Grillo sul suo blog ha ripubblicato uno splendido scritto di Franca Rame, quando era senatrice. Scriveva di Mastella e di quella situazione politica ma si può benissimo riferire alla situazione attuale. Scriveva Franca: Quanti processi ha avuto, quanti ne ha in ballo? Certo, ha fatto leggi per salvarsi ad ogni capovolta. Ma non gli basta. Non lo fa tanto per accumular quattrini, ma perché è il rischio che gli piace e davanti al piacere del rischio non bada nemmeno più alla sua pelle. Si fa parrucche che incolla sul cranio, si mette il cerone sulla faccia come un clown, i rialzi alle scarpe come un’entreneuse, tutto per apparire meglio, senza età. Ahimè, senza età sono solo gli angeli, ma attento che anche loro spesso cascano”. C’è bisogno di aggiungere altro? -. Zelig, chi era costui? Oggi ha assunto le sembianze nuove dell’uomo venuto da Rignano sull’Arno.

Nessun commento:

Posta un commento