"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 23 luglio 2016

Oltrelenews. 95 “#bailinstaisereno”.



Da “Quattro governi in cinque anni gli sbadati del bail in” di Alberto Statera, sul settimanale “A&F” del 18 di luglio 2016: Adesso tutti piangono sul latte versato per non aver approfittato degli aiuti di Stato alle banche italiane permessi fino all’anno scorso dall’Unione Europea e vietati dal 2016 dal cosiddetto bail in. Un caso che è difficile classificare come insipienza, velleità o persino albagia. E come al solito un rebus per trovare i responsabili diretti tra presidenti del Consiglio, ministri del Tesoro, Banca d’Italia, Parlamento, partiti, quasi tutti impegnati invece a magnificare la solidità del sistema bancario italiano, tolto quel “piccolo” inciampo del Monte dei Paschi di Siena. Quasi un senso di meraviglia ha colto chi ha scoperto tardivamente che dalla crisi del 2008 al 2015 in poi mezza Europa ha fatto ricorso a fondi pubblici per aiutare le proprie banche: 239 miliardi l’intransigente Germania, 162 e oltre il Regno Unito, più di 52 la Spagna, 42 l’Irlanda, 40 la Grecia, 36 i Paesi Bassi, 28 l’Austria e così via. E l’Italia? 1 miliardo (dicesi un miliardo di euro) mentre i crediti deteriorati (361) e le sofferenze delle nostre banche e crescevano silenziosamente verso 200 miliardi. Eppure, che il cappio per l’Italia sarebbe scattato nel 2016 avrebbero dovuto saperlo tutti. La direttiva 2014/59 (Brrd- Bank recovery and resolution dirictive) non spunta improvvisamente con il bail in, ma fu approvata il 15 aprile 2014 su mozione dello svedese Gunnar Mokmark dopo lunghi anni di discussioni con 584 voti favorevoli, 80 contrari e 10 astensioni del Parlamento europeo. Dove erano i parlamentari italiani? A passeggio per Bruxelles in attesa di tornarsene onorevoli nelle zone d’origine al prossimo giro? Il PPE votò sì, come Forza Italia, i socialisti europei e il Pd. Ma ogni tanto si ha la sensazione che i nostri parlamentari europei, sulle cui qualità personali preferiremmo non soffermarci, abbiano il voto facile su documenti di cui non conoscono o non capiscono il significato. E i governi? Sino a fine 2011 fu in carica Berlusconi, occupato negli affari suoi, a litigare con Tremonti che voleva soffiargli il posto e infine travolto dallo spread. A novembre entra in carica il governo Monti, che fa anche il ministro dell’Economia. E’ il governo che doveva salvare l’Italia, ma che si rivela ostaggio delle granitiche convinzioni di un premier incapace di quelle elasticità necessarie in un paese sull’orlo del baratro, in fondo al quale dovrebbe vedere, da grande economista, anche il nostro sistema bancario. Intanto, mezza Europa continua a erogare centinaia di miliardi di aiuti di Stato e a mettere in sicurezza non tutte ma un po’ delle sue banche. Quindi la meteora del governo Letta, con Fabrizio Saccomanni all’Economia, che resiste neanche dieci mesi scalzato dallo “stai sereno” di Matteo Renzi, con Pier Carlo Padoan all’Economia. Posto che a Renzi le banche non portano bene, la cabina di regia del premier è una specie di Babele dove regna la confusione, ma, volendo, in questi due anni e passa con una forte azione politica ci sarebbe stato tutto il tempo, salvo i vincoli esterni evidenti, nonostante la montagna del debito pubblico, per approfittare degli aiuti di Stato prima dell’entrata in funzione del bail in. Perchè non si è fatto, visto che il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ora sostiene che ci vuole l’intervento pubblico e il presidente dell’Abi che il bail in è incostituzionale? Viene da chiedersi: dov’erano finora tutti questi esimi signori?

Da “Chi affonda quando le banche vengono salvate” di Angelo Baglioni, sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 15 di gennaio 2016:
(…). …in Europa, le regole che riguardano i salvataggi bancari sono cambiate. A partire dall’inizio di quest’anno, è in vigore una nuova direttiva europea (Bank Recovery and Resolution Directive), i cui effetti erano stati in parte anticipati al 2013 dalla Commissione UE. La direttiva impone che, prima di utilizzare fondi pubblici per salvare una banca, una quota consistente delle perdite accumulate nella passata gestione venga addossata agli azionisti e ai creditori. Questi soggetti non sono tutti sullo stesso piano, anzi c’è un ordine preciso. I primi a essere colpiti sono gli azionisti. Se ciò non basta, si passa alle obbligazioni subordinate. Poi viene il turno delle obbligazioni ordinarie. Infine, potrebbero essere chiamati in causa anche i depositanti, per le somme che eccedono i 100mila euro: fino a questo limite i depositi sono protetti dalla assicurazione e sono esenti dal bail-in. Alla base di questa novità ci sono le ingenti somme spese da alcuni governi europei per salvare le banche dei loro paesi durante gli anni più neri della crisi finanziaria, dal 2008 al 2013. Quelli che hanno speso di più sono stati Germania e Regno Unito, seguiti da Irlanda, Spagna, Grecia, Belgio e Francia. La reazione dei governi, e dei loro elettorati, è stata: d’ora in poi, non si può addossare tutto il costo dei salvataggi bancari ai contribuenti. Per questo è stato introdotto il bail-in, che obbliga azionisti e creditori a contribuire al salvataggio di una banca in crisi. La parola stessa, bail-in, si contrappone al termine inglese bail-out, con il quale venivano chiamati i salvataggi vecchio stile, completamente a carico dello Stato. L’Italia era stata finora ai margini della vicenda. Negli anni bui della crisi finanziaria, il governo italiano ha speso somme insignificanti rispetto a quelle impiegate da altri paesi europei per sostenere il sistema bancario. Ciò è avvenuto grazie al fatto che le nostre banche erano molto meno esposte ai prodotti della cosiddetta finanza “tossica”, come i titoli derivati. Tuttavia, la crisi dell’economia reale si è poi fatta sentire anche sui bilanci delle banche italiane, che hanno accumulato una mole consistente di “sofferenze”, cioè di prestiti che (in parte) non verranno restituiti. Ora questo si riflette nella crisi di alcuni istituti di dimensione medio-piccola, che hanno la necessità di essere salvati con il contributo pubblico, dove “pubblico” vuole dire a carico del sistema bancario nel suo complesso ed eventualmente dello Stato. E qui interviene il bail-in: per ridurre al minimo possibile il contributo pubblico, gli azionisti e i creditori della banca “salvata” devono fare qualche sacrificio. Si dirà: prima gli altri governi europei hanno aiutato le loro banche, proteggendo completamente i risparmiatori; adesso che tocca a noi fare interventi di sostegno a qualche piccolo istituto, ci dicono che le regole sono cambiate e che i risparmiatori devono contribuire. È vero, però bisogna ricordare che le nuove regole europee le abbiamo approvate anche noi, o meglio i nostri rappresentanti nelle istituzioni europee: Commissione, Parlamento, Consiglio dei ministri. Le regole relative ai salvataggi bancari fanno parte del più ampio progetto di Unione bancaria, che ha avuto il pieno appoggio dell’Italia nelle trattative internazionali. Quindi i casi sono due: o i nostri rappresentanti non sapevano cosa stavano approvando, oppure lo sapevano, ma non hanno avuto la forza per opporsi all’introduzione di regole destinate ad avere pesanti ripercussioni sui risparmiatori italiani. E adesso? Ormai la frittata è fatta, e lanciare invettive contro l’Europa non serve a nulla, se non a screditare le istituzioni europee. Il principio del bail-in è stato incorporato nelle nostre leggi, e come tale va rispettato. Bisogna però informare i risparmiatori del nuovo regime e dei rischi che comporta. (…). La Commissione europea, in una sua comunicazione del luglio 2013, aveva sostanzialmente anticipato il principio del bail-in, limitatamente alle azioni e alle obbligazioni subordinate. Per capire cosa sono queste ultime bisogna ricordare che, in caso di fallimento di una banca, i detentori di obbligazioni subordinate vengono rimborsati solo dopo che le attività della banca stessa sono state usate per rimborsare tutti gli altri creditori. In altre parole, le obbligazioni subordinate sono una via di mezzo tra le azioni e i normali debiti di una banca. Ma soprattutto, dall’agosto del 2013, sono aggredibili in una procedure di salvataggio bancario. Quanti investitori tra quelli colpiti dal salvataggio delle quattro banche sapevano cosa sono le obbligazioni subordinate? Quanti sapevano dei rischi che comportano, non solo in caso di fallimento, ma anche di salvataggio? Individuare le responsabilità delle banche e delle autorità in questi casi specifici è doveroso. Tuttavia, per il futuro è ancora più importante che ci sia l’impegno a migliorare l’informazione che viene data ai clienti. Speriamo in bene.

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