"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 25 luglio 2016

Cronachebarbare. 39 “#italiaripartestaisereno”.



Interessante corrispondenza che la dice lunga per come vanno le cose nel mondo dell’1% vs il 99%: (…). Stiamo chiacchierando su un prato all'inglese, all'ora del cocktail, in mezzo a un andirivieni di camerieri in livrea che servono caviale e champagne. Un centinaio di persone attorno a noi, in un parco meraviglioso, con vegetazione lussureggiante e curatissima, più spiaggia privata su una laguna di Southampton. (…). Gli Hamptons al plurale sono ex villaggi di pescatori situati sulla punta nord di Long Island e da oltre mezzo secolo sono diventati la Portofino o la Costa Smeralda o la Capri dei ricchi newyorchesi. Siamo a 80 miglia di distanza da Manhattan, circondati da grandi spiagge di dune sull'Atlantico, una natura selvaggia a perdita d'occhio. Per i comuni mortali che arrivano in macchina, il traffico della metropoli impone quasi tre ore di tragitto. I veri abitanti degli Hamptons usano per lo più l'elicottero. Nel cuore di Southampton li incontri dal Sant Ambroeus milanese, dove un caffè costa cinque dollari e le auto più comuni sono Ferrari e Bentley. Insieme all'ex direttore dell'Economist sono ospite per il weekend da un amico che ha una proprietà quasi modesta per gli standard degli Hamptons: comunque ha un vasto parco privato, camere degli ospiti che non riesco neppure a contare, una piscina, due giardinieri e una governante. Ma a fianco alla sua ci sono ville che vogliono rivaleggiare con il castello di Versailles. Ogni tanto, da queste parti si affacciano anche i coniugi Clinton, agli Hamptons trovano un pubblico amico, organizzano cene per la raccolta di fondi elettorali. La maggior parte sono progressisti alla Bill Gates o George Soros. (…). L'amico che mi ospita mi accompagna in una lunga passeggiata sulla spiaggia dove il paesaggio naturale è stato preservato bene, con qualche eccezione. Mi indica un complesso di costruzioni modernissime, eleganti ma in stridente contrasto con le dune. Un pugno nell'occhio, un mostro dal punto di vista paesaggistico. Mi fa il nome del miliardario che l'ha edificato di recente. Piscine multiple, case degli ospiti separate da quella padronale. Un design da vascello spaziale, ancorché attenuato dall'uso di materiali edili molto naturali, "sostenibili". «Abbiamo provato a opporci», mi spiega il mio amico. «Si era formato un comitato locale per la tutela paesaggistica. Ma lui ha opposto questo argomento: "Ho comprato il terreno e quindi decido io cosa farci. Se cominciamo a porre dei limiti alla proprietà, si finisce nel dirigismo di Stato, o nel socialismo"». (…). L’io narrante è un affermato opinionista ed affermato saggista sui temi vari della finanza e dell’economia. Svolge il suo mestiere con perizia e cura. Non sta a lui decidere da quale parte si debba stare. Ma è quella parte che oggi interessa maggiormente ed esclusivamente ai protagonisti della politica che osano ancora definirsi della “sinistra”. Mentendo. Il loro obiettivo è divenire un invitato degli Hamptons, della gente che è riuscita, come e perché non conta. Poiché quel mondo rampante e vincente è il modello politico e sociale da perseguire, anche se porta inevitabilmente a quell’1% che decide le sorti del restante 99% degli esseri umani. È in questa condizione di minorità che la “sinistra” si è cacciata, accettando ed imponendo come inevitabile al pari di una calamità o di una punizione divina che i poveri continuino ad essere poveri, che quelli del ceto che fu medio vengano risucchiati negli strati sociali più bassi e meno fortunati. Un arresto di quell’ascensore sociale che negli anni d’oro del secolo ventesimo aveva consentito l’allargamento in misura soddisfacente del nuovo ceto medio. In quello scontro di “classi” fatto passare come inevitabile calamità i politici della cosiddetta “sinistra” hanno scelto di stare con quelli degli Hamptons. Al diavolo tutto il restante genere umano.
Sostiene Fabrizio Barca nella intervista concessa a “il Fatto Quotidiano” del 18 di luglio - “Nel Pd fa carriera chi è fedele. E la minoranza è uguale a Renzi” – a firma di Tommaso Rodano che “le masse popolari impoverite hanno visto scomparire completamente la parola lavoro. I cittadini ai margini avvertono l’impotenza di chi governa e cercano il nuovo, qualunque esso sia. Hanno trovato il nuovo due anni fa in Renzi. Ora ne cercano un altro. È un’eterna rincorsa”. Scusi, Barca: negli anni in cui è “scomparsa la parola lavoro” lei ha fatto il ministro nel governo Monti e ha militato nel Pd. Nessuna autocritica? “Quello di Monti era un governo d’emergenza nazionale, aveva lo scopo di non farci finire come la Grecia. Era l’ultimo governo al mondo a cui si potesse chiedere di rimettere al centro il lavoro”. E il Pd? “Il Pd ha sempre avuto questo problema. Già con Veltroni, D’Alema, Bersani. Ha rimosso dalla sua coscienza la centralità del lavoro. Dall’inizio”. E più avanti dell’intervista: Conosce bene Padoan e De Vincenti: erano economisti del Pci, giovani comunisti. Oggi lavorano a fianco di Renzi. Com’è successo? “Hanno aderito al modello unico, all’idea che il mondo non possa essere diverso da com’è. Un’errata posizione riformista, nel senso peggiore. Non hanno capito che il capitalismo stava subendo delle trasformazioni radicali che lo portavano alla crisi drammatica di oggi. Sono persone che lavorano tanto, con convinzione, in modo onesto. Ma a un certo punto si sono convinti che le loro idee fossero utopie”. La “morte” delle utopie è stata la conseguenza di quella scelta degli Hamptons da parte di una cosiddetta “sinistra” irresponsabile ed impresentabile.“#italiaripartestaisereno”. Delle fanfaluche dell’uomo venuto da Rignano sull’Arno se ne hanno fin sopra i capelli. Un imbonitore, come un venditore di piatti nelle antiche feste paesane. Un nulla, insomma. Interessante leggere quanto ha scritto Giuseppe Travaglini – “L’ascensore sociale va solo in discesa” – sul settimanale A&F dell’11 di luglio: (…). Può apparire anacronistico parlare di classi sociali, ma si contrae quel ceto medio che condensa le tensioni della società italiana. Parimenti torna a crescere la classe operaia. È in questa trasformazione che vanno ricercate le difficoltà e le più forti capacità di condizionare le scelte politiche. È perciò necessario individuare segni e dimensioni del mutamento. (…). Può essere utile seguire la lezione di Sylos Labini e tentare di individuare le trasformazioni della società italiana a partire dalla variazione di alcuni indici economici. Negli ultimi decenni, quanto a la distribuzione del reddito nazionale tra lavoro e capitale. Si è ridimensionata la quota dei redditi da lavoro, mentre quella dei profitti e delle rendite è tornata a crescere. Seppure in un contesto di recessione economica. Ampliando le disuguaglianze e alimentando la povertà. Questa tendenza ha investito tutte le categorie. Non solo la classe operaia (o popolare) che ha subito uno netto scivolamento delle condizioni ma i ceti medi dell’amministrazione impiegatizia, degli artigiani, dei commercianti, delle partite Iva. La “società di mezzo” è andata assottigliandosi e assimilandosi, nei comportamenti e nelle paure, a quella “operaia”. Il mutamento della distribuzione del reddito ha fatto da volano. Secondo Eurostat, nel 1992 il 59% del reddito nazionale andava al lavoro. La quota scendeva al 51% nel 2000. Risaliva al 53% nel 2015, ma solo per effetto della recessione che faceva contrarre il Pil più della quota delle retribuzioni. In quest’arco di tempo l’occupazione cresceva fino al 2006 per poi crollare bruscamente con la crisi del 2007. Ma in questo sali e scendi, il cambiamento della distribuzione del reddito ha sfavorito il lavoro con uno spostamento medio annuo di 6,5 punti percentuali di Pil verso i redditi da capitale (ben 100 miliardi di euro in media annua). Questa tendenza ha interrotto la cosiddetta epoca della “cetomedizzazione”. Un cambiamento reale e percepito delle condizioni reddituali e sociali della maggioranza degli italiani. Ovviamente, anche la frenata delle retribuzioni medie per occupato ha alimentato lo scivolamento verso il basso. Il declino ha peggiorato le condizioni dei ceti medi e popolari che diventano sempre più simili. Le retribuzioni nominali di fatto sono ferme da un decennio. Quelle medie reali per occupato sono oggi pari a quelle del 2010 e il loro ritmo di crescita si è più che dimezzato dall’inizio degli anni 90. Le retribuzioni reali medie italiane paragonate a quelle dei 24 paesi Ocse più industrializzati mostrano una perdita eccezionale: in numero da 110 del 1990 a 93 del 2015. Insomma, un peggioramento concreto delle condizioni retributive e lavorative che ha accresciuto il senso di precarietà (pensiamo anche agli effetti delle riforme del mercato del lavoro), amplificato la percezione della discesa sociale e modificato sensibilmente le abitudini di consumo e di risparmio dei cittadini, e il loro modo di percepire e di rappresentare se stessi. Le proprie speranze e le aspettative. Se l’ascensore sociale si blocca, ed anzi si avvia un processo inverso di discesa dei ceti medi verso le posizioni di partenza, con un parallelo rafforzamento delle elite, e con un inasprimento della “competizione” tra gli esclusi del mercato del lavoro e un crescente disagio sociale tra i giovani, sovente fuori dal mondo del lavoro e messi in concorrenza con le coorti anziane della popolazione o con gli immigrati, la coesione del Paese si sgretola, si deteriora ulteriormente il rapporto tra cittadini, politica e partiti. Diviene più difficile riformare il Paese perché più alti sono i costi sociali da sostenere per riuscire nella trasformazione. E più alte le resistenze. La questione delle riforme tratteggiata 40 anni fa da Sylos Labini è ancora attuale. Le riforme richiedono una condivisione politica che non può prescindere dalla struttura sociale, e dal suo ricomporsi nel tempo insieme a quella economica e produttiva, alla distribuzione dei redditi e alla rimozione degli ostacoli che impediscono la mobilità sociale. Perciò, per riformare il Paese è più che mai necessaria una riflessione sul mutamento delle classi sociali e della distribuzione del reddito, e di come questi cambiamenti incidono sulla rappresentanza politica, per comprendere la natura degli ostacoli e che in gran parte impediscono oggi l’attuazione di un piano di riforme e il riavvio dell’economia del Paese. L’interessante iniziale corrispondenza è a firma di Federico Rampini ed è stata pubblicata sul settimanale “D” del 16 di luglio ultimo scorso col titolo “Com’è lontana la Terra vista dagli Hamptons”. “#italiaripartestaisereno”.

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