"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 15 giugno 2016

Scriptamanent. 17 “Referendum e popolo sovrano”.



Un po’ di memoria. Correva l’anno 2011. A quel tempo, ordinato secondo i voleri del signore venuto da Arcore, la chiamata ai “comizi elettorali referendari” era stata fissata per i giorni 12 di giugno e 13 di giugno. Il referendum “abrogativo” riguardava ben quattro aspetti del vivere associato. Quesito primo: “Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rinomanza economica”. Quesito secondo: “Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato”. Quesito terzo. “Abrogazione delle norme che consentono la produzione nel territorio nazionale di energia elettrica nucleare”. Quesito quarto. “Abrogazione di norme in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio e dei Ministri a comparire in udienza penale”. Il referendum ebbe il “quorum” richiesto. Il “popolo sovrano” abrogò. Mercoledì 15 di giugno di quell’anno (2011), Barbara Spinelli sul quotidiano la Repubblica scriveva “L’irruzione del futuro”: (…). Il popolo incensato da Berlusconi, usato come scudo per proteggere i suoi interessi di manager privato, non è quello che si è espresso nelle urne. È quello, immaginario, che lui si proiettava sui suoi schermi casalinghi: un popolo divoratore di show, ammaliato dal successo del leader. (…). Nel popolo azzurro la libertà è regina, ma è tutta al negativo: non è padronanza di sé ma libertà da ogni interferenza, ogni contropotere. Ha come fondamento la disumanizzazione di chiunque si opponga, di chiunque incarni un contropotere. Di volta in volta sono “antropologicamente diversi” i magistrati, i giornalisti indipendenti, la Consulta, il Quirinale. Ora è antropologicamente diverso anche il popolo elettore, a meno di non disfarsi di lui come Brecht consigliò al potere senza più consensi. Era un Golem, il popolo – idolo d’argilla che il demiurgo esibiva come proprio manufatto – e il Golem osa vivere di vita propria. Il premier lo aveva messo davanti allo sfarfallio di teleschermi che le nuove generazioni guardano appena, perché la scatola tonta ti connette col nulla.(…). Il popolo magari si ricrederà, ma per il momento ha abolito il Truman Show. Ha deciso di occuparsi lui dei beni pubblici, visto che il governo non ne ha cura. Non sa che farsene del partito dell’amore, perché nella crisi che traversa non chiede amore ai politici ma rispetto, non chiede miraggi ottimisti ma verità. Accampa diritti, ma non si limita a questo. Pensare il bene pubblico in tempi di precarietà e disoccupazione vuol dire scoprire il dovere, la responsabilità. (…). Per questo si sfalda il dispositivo centrale del berlusconismo: la libertà da ogni vincolo è distruttiva per l’insieme della comunità.
Era ammaliante, ma lo si è visto: perché simile libertà cresca, è indispensabile che il popolo sia tenuto ai margini della res publica. Specialmente nei referendum, dove si vota non per i partiti ma per le politiche che essi faranno, il popolo prende in mano i tempi lunghi cui il governo non pensa, e gli rivolge la domanda cruciale: è al servizio del futuro, un presidente del Consiglio che ha paura dell’informazione indipendente, che ha paura di dover rispondere in tribunale, che elude la crisi iniziata nel 2007, che non medita la catastrofe di Fukushima e considera il no al nucleare un’effimera emozione? Pensa al domani o piuttosto a se stesso, chi sprezza la legalità pur di favorire piccole oligarchie, il cui interesse per le generazioni a venire è nullo? Ai referendum come nelle amministrative il tempo è tornato a essere lungo. Non a caso tanti dicono: si ricomincia a respirare. (…). Berlusconi si presentò come il Nuovo ed era invece custode di un disordine naufragato nel 2007. Non era Roosevelt o Eisenhower, non ha edificato infrastrutture per le generazioni che verranno. Ogni persona, dice Deleuze, è un “piccolo pacchetto di potere”, e l’etica la costruisce su tale potere. Berlusconi pensava – forse pensa ancora – che questo potere fosse suo: che non fosse così diffuso in pacchetti. Pensava che il cittadino non avesse bisogno di verità; che il coraggio te lo dai nascondendola. Pensava (pensa) che il coraggio consista nel ridurre le tasse, e chi se ne importa se l’Italia precipita come la Grecia o se pagheranno i nipoti. Pensava che, bocciato il legittimo impedimento, puoi farti una prescrizione breve, come se il popolo non avesse proscritto ogni legge ad personam. Il Cavaliere ha eredi nel Pdl. Ma all’eredità come bene consegnato al futuro non ha mai badato, convinto che la crisi sia come la morte (e lui come la vita) per Epicuro: “Finché Silvio c’è, la crisi non esiste. Quando la crisi arriva, Silvio non c’è”. Tanti ne sono convinti, e lo incitano a “tornare allo spirito del ’94″: dunque a mentire sulle tasse, di nuovo. Chi lo incita sa quello che dice? Ha un’idea di quel che è successo fra il 1994 e il 2011? Rifare il ’94 non è da servi liberi, ma da gente che ignora il mondo e ne inventa di falsi. Se fossero liberi e coraggiosi non sarebbero stupidi al punto di consigliare follie. Se insistono, vuol dire che sono servi soltanto. La loro retorica è così smisurata che neppure capiscono la nemesi, che s’è abbattuta sul loro padrone. Come è stato possibile che si sia spenta quasi sul nascere quella “irruzione del futuro” preconizzata dall’illustre opinionista?  

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