"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 16 giugno 2016

Quellichelasinistra. 9 “La ricchezza giusta per la sinistra”.




A lato: Renato Guttuso "I funerali di Togliatti".
“Quellichelasinistra” d’oggi. Ha scritto Mariana Mazzuccato in “La ricchezza giusta per la sinistra” – sul quotidiano la Repubblica del 16 di giugno dell’anno 2015 -: (…). …il capitalismo produttivo è un capitalismo in cui le imprese, lo Stato e i lavoratori operano insieme per creare ricchezza. Sono cioè tutti potenziali creatori di ricchezza. Gli emblemi di ricchezza nella moderna economia della conoscenza, dall’iPhone alla Tesla S, hanno tutti fatto leva su un settore pubblico strategico, disposto a farsi carico dei rischi e delle incertezze maggiori lavorando fianco a fianco con un settore privato disposto a reinvestire i suoi profitti nelle aree «a valle», come ricerca e sviluppo o la formazione del capitale umano. Oggi sono a rischio entrambi. Da una parte un settore pubblico timoroso, che cede agli appelli a introdurre ancora più austerity, che discute delle dimensioni del disavanzo invece che della composizione del disavanzo, che parla solo di limiti allo spending e non di investimento strategico. E dall’altra un settore privato ultra-finanziarizzato, che spende più per riacquistare le proprie azioni che in ricerca e sviluppo e formazione del capitale umano. I lavoratori, naturalmente, sono anche loro creatori di ricchezza, non solo per il contributo che offrono, con il loro capitale umano, alla produzione di nuovi prodotti e servizi, ma anche perché, nel capitalismo moderno, si assumono a loro volta dei rischi, avendo scarse garanzie di un lavoro permanente e potendo trovarsi a fare molti sacrifici. La ricchezza è insomma frutto di un lavoro collettivo, decentralizzato, con diversi attori pubblici, privati, individui e organizzazioni. È l’assenza di questo punto di vista ad aver creato una relazione disfunzionale tra imprese e Stato. Le imprese, presentandosi come le (sole) creatrici di ricchezza, hanno convinto sia i tories che i laburisti a introdurre misure come la patent box (le agevolazioni fiscali sui guadagni legati ai brevetti, che si stanno diffondendo in quasi tutti i Paesi europei incluso l’Italia) che non accrescono in alcun modo l’innovazione (i brevetti sono già un monopolio garantito per 20 anni) ma servono solo a far diminuire il tax revenue pubblico ed aumentare la disuguaglianza. (…). Simili politiche disfunzionali sono spesso state motivate dal desiderio di rendere l’economia più innovativa e competitiva. Ma in pratica sia il Labour che i Tories si sono limitati ai soliti discorsi sul dare più risorse alle piccole imprese cosa che ha poco senso quando la maggior parte delle piccole imprese sono poco innovative, poco produttive e creano anche poco lavoro. Le poche piccole imprese di valore hanno bisogno di un enorme appoggio pubblico, come quello che ricevono negli Usa, ed anche di una relazione più simbiotica con le grandi imprese. La cosa migliore che qualsiasi governo potrebbe fare per le piccole imprese è insistere perché le grandi imprese comincino a investire di più, rendendo maggiormente dinamico e mutualistico il rapporto con le imprese più piccole loro fornitrici. Ma questo vuole dire appunto mettere pressione sane sulle imprese: non essere solo timidamente friendly. (…). …questa visione più coraggiosa — della ricchezza di una nazione creata da tutti, e non solo dalle imprese — può servire anche a costruire fondamenta più solide per lo Stato sociale (che storicamente ha aumentato le opportunità per tutti), finanziato non più solo dal contribuente volenteroso, ma anche attraverso i profitti condivisi delle fatiche di tutti i creatori di ricchezza.
“Quellichelasinistra” d’oggi guardano al mercato come dio assoluto, impossibile da contrastare nonché da indirizzare. “Quellichelasinistra” d’oggi che nel vuoto ideologico che li contraddistingue immaginano immutabili gli scenari della Storia, da prendere quelli, gli scenari della Storia, quali calamità discese dall’alto e mandate nell’inferno terrestre da un dio imperscrutabile e vendicativo che sembra abbia scelto da quale parte stare. “Quellichelasinistra” d’oggi che odiano il confronto dialettico, odiano la presenza dei necessari contrappesi al potere, che studiano leggi e regolamenti che, anziché incoraggiare e facilitare la partecipazione alla vita sociale e politica, allontanano sempre più le masse da una oligarchia che vede di buon occhio l’assottigliarsi del numero delle persone con voglia ed interesse ad impegnarsi in prima persona nell’agone politico. “Quellichelasinistra” d’oggi ignorano il mondo del lavoro, ne ignorano i bisogni e le aspettative in nome di un “capitalismo finanziario” che ha a cuore i suoi stratagemmi speculativi. Sostiene Alfredo Reichlin nell’intervista concessa ad Alessandro Ferrucci “Lo so noi di sinistra alla fine siamo stati sconfitti” su “il Fatto Quotidiano” del 2 di novembre dell’anno 2015: «La politica non è solo immanenza, è anche formazione di una soggettività, è visione del futuro; la politica deve leggere il presente con in testa un disegno per andare oltre l’interesse immediato».“Quellichelasinistra” d’oggi non vedono e non cercano quell’“andare oltre” indicato da un novantunenne; come dire, che nulla conta l’anagrafe di “quellichelasinistra” d’oggi. Che della “sinistra” hanno ben poco. Anzi il nulla. Trascrivo di seguito l’intervista: Lei ha detto: “Dietro a Renzi c’è un vuoto politico, non c’è alcuna cultura politica, non c’è un disegno del futuro”. «Questo è il punto. Attenzione: Renzi (…) non è un fondatore di partito, non è il fondatore di una cultura di partito».
E qual è la sua idea di partito? «È una parte di società che si organizza in nome di una visione della realtà e per consentire a pezzi del Paese di entrare in una dimensione statale. Il limite di Renzi è questo».
La visione odierna muta nell’arco di pochi mesi, come con la vicenda dei 3mila euro (la possibilità nelle transazioni commerciali di utilizzare 3.000 € introdotta dal governo di Renzi Matteo n.d.r.). «Eh, sì. Però la politica deve anche essere gestione dell’esistente e soluzione dei problemi, ma la questione è che oggi la politica non conta più nulla».
E chi comanda? «Il mio slogan sull’oggi è: i mercati governano, i tecnici amministrano, i politici vanno in televisione ad assolvere la funzione della gestione mediata e del simbolico».
Solo apparenza. «Forse esagero, ma le grandi decisioni non vengono più prese dalla politica, oramai messa in mora dall’economia».
Da quando? «Dalla grande svolta promossa da Reagan e dalla Thatcher, quando la finanzada infrastruttura dell’economia è diventata struttura a sé, finalizzata a produrre denaro e ai capitali è stata data la totale libertà di circolazione. Vede, a suo tempo Gianni Agnelli era una potenza, ma Luciano Lama (ex segretario della Cgil dal 1970 al 1986) aveva un esercito alle spalle; tu sei il grande banchiere ma lo Stato può prendere delle decisioni che ti condizionano».
Ma perché questa rottura degli equilibri? «L’economia si è mondializzata, la politica no, restano gli Stati nazione».
Noi siamo arrivati ad avere Monti presidente del Consiglio, e un governo di banchieri. «È evidente, ma le ripeto: le vere grandi decisioni sono altrove e la politica ha cessato di esprimere la funzione precedente, quella di manifestare un grande potere, attraverso la formazione di classi dirigenti all’altezza.
Il Pci era radicato sul territorio come pochi, una forma piramidale distrutta negli ultimi dieci anni. «È tutto lì, e l’ho detto anche alla commemorazione di Ingrao. Oggi il Parlamento non conta nulla, si governa solo con i decreti legge, il resto è chiasso».
Con Berlusconi si è rotto un argine... «Lui è stato il segnale che oramai vinceva questo indirizzo, ma qualcosa è iniziato anche con la fine del compromesso storico, ma nessuno ricorda bene su quali basi era nato... Nasceva da grandi preoccupazioni, tra doppio Stato, terrorismo, trame, crisi economica, inflazione: era un periodo di grandissime difficoltà, quindi alcuni, in primis Berlinguer, avevano avvertito la necessità di un accordo simile a quello del secondo dopoguerra tra due grandi forze popolari.
Perché la storia di cui lei è rappresentante e protagonista a un certo punto si è interrotta? «Semplice: siamo stati sconfitti. La sinistra ha inventato i sindacati, i partiti di massa, i diritti sociali, lo Stato sociale. Lo ha potuto fare perché questi poteri li ha esercitati, e poteva dire alla sua base ‘io ti conduco e ti apro un orizzonte’. Se lo Stato viene meno come soggetto in grado di gestire i poteri reali, va in crisi anche il ruolo della sinistra».
Renzi attacca continuamente i sindacati. «Ovvio, per lui sono solo un intralcio. Mentre Giolitti rivendicava la trattativa con i rappresentati dei lavoratori».
Qualcuno ha azzardato il paragone tra Craxi e Renzi. «Craxi ha inaugurato molto di questa fase, ha distrutto una grande forza come il Psi; il cerchio magico era suo, un cerchio che ha violato ogni regola».(…). “Quellichelasinistra” d’oggi, che si specchiano nelle parole di Alfredo Reichlin.

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