"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

lunedì 30 maggio 2016

Oltrelenews. 91 “L’elisir di lunga vita a Expo”.



Da “Il papà del polo dopo-Expo promette l’elisir di lunga vita” di Gianni Barbacetto su “il Fatto Quotidiano” dell’8 di maggio 2016: Per capire che cosa sarà Human Technopole, la città della ricerca da costruire sull’area Expo, bisogna conoscere il papà di questo progetto: Pier Giuseppe Pelicci. (…). È lo scienziato che da anni promette l’elisir di lunga vita. È lui che ha convinto a entrare nella partita il finanziere Francesco Micheli, con cui ha fondato Genextra, holding specializzata in ricerca biofarmaceutica. Micheli ha poi coinvolto Marco Carrai, l’uomo d’affari più vicino a Renzi, che ha fatto da ponte con il presidente del Consiglio, il quale ha infine fatto suo e lanciato il progetto. Ricerche sul genoma, con la promessa di allungare la vita: è la fascinazione di Human Technopole, ma è anche da sempre il programma di Pelicci, lo scienziato che vuole portare la vita dell’uomo a 120 anni. Progetto affascinante. Ma perché è stato scelto proprio questo, senza una valutazione preventiva di altri temi, senza un confronto con altri programmi possibili? Per esempio la medicina rigenerativa e la terapia genica, in cui l’Italia è prima al mondo, grazie agli studi dell’università di Modena e Reggio Emilia e del San Raffaele di Milano. In questo campo, gli italiani Michele De Luca e Graziella Pellegrini hanno prodotto il primo farmaco al mondo a base di cellule staminali. Invece non c’è stata alcuna discussione, alcuna comparazione: a scegliere, senza aver ricevuto alcun incarico trasparente e senza aver messo in comune percorsi e motivazioni della scelta, è stato un gruppo informale di persone, tra cui il professor Pelicci; poi Renzi ha annunciato in pubblico l’ideona per salvare il dopo-Expo, con annessa promessa del tesoretto miliardario. Solo a cose fatte, e dopo le proteste di una parte del mondo scientifico, è stato coinvolto un gruppo di scienziati internazionali a cui è stato affidato il compito di elaborare una valutazione del programma: ma senza alternative, senza la possibilità di confrontare programmi diversi.
Pier Giuseppe Pelicci (…) (è) co-fondatore di Genextra, la holding di Micheli. Ha un curriculum scientifico lungo 27 pagine, ma riassumibile in quattro parole: elisir di lunga vita. È il 1999 quando pubblica sulla prestigiosa rivista Nature un articolo sulla proteina P66. È un gene che controlla il metabolismo. Pelicci sostiene che i ratti a cui viene tolto il P66 hanno una vita più lunga del 30 per cento. Senza alcun effetto collaterale. Senza alcuna variazione di peso. È una folgorazione. Negli anni seguenti, Pelicci spiega in interviste bombastiche che “spegnendo” il P66 nell’uomo si potrebbe prolungare la vita fino a 120 anni. (…). Con questo canto delle sirene, facile mettere in moto il meccanismo dei finanziamenti, pubblici e privati. La promessa è quella di trovare, prima o poi, qualcosa di molto simile alla “pillola” dell’eterna giovinezza. Da quell’annuncio del 1999, passa un decennio in cui il sogno dell’elisir di lunga vita rimbalza dalle riviste scientifiche a giornali e tv. La mirabolante scoperta viene citata e ripresa in centinaia di lavori specialistici, dando lustro (e carriera) a Pelicci, che accumula riconoscimenti, ottiene incarichi pubblici e privati, porta a casa finanziamenti. Dodici anni dopo, la promessa comincia a sfaldarsi. È Pelicci stesso, nel 2012, a mettere i puntini sulle i. Comunica in un altro articolo, pubblicato su Aging Cell, di aver verificato che se il P66 viene tolto a ratti che vivono non in laboratorio, ma in ambiente selvatico, il risultato è opposto: vivono non di più, ma di meno. Nella ricerca succede: si può anche sbagliare, si possono trovare nuove evidenze che smentiscono quelle precedenti. Ma in questo caso c’erano stati diversi segnali, negli anni precedenti, che avevano messo in dubbio la “scoperta” di Pelicci, mai presi però sul serio dallo scienziato. Già nel 2003 un gruppo di ricercatori del Texas, capitanati da Arlan Richardson, aveva obiettato che il campione di animali testati da Pelicci era troppo piccolo per avere valore statistico. Nel 2005 il team portoghese de Magalhães aveva sostenuto che i ratti utilizzati nello studio erano troppo pochi e che l’allungamento osservato nella vita degli animali senza P66 poteva essere un inganno statistico. Inoltre ipotizzava che non fossero i ratti senza P66 a vivere il 30 per cento in più, ma gli animali di controllo, quelli restati con il P66, a vivere il 30 per cento in meno, per le condizioni di vita in laboratorio. D’altra parte, anche in un convegno del 2004 due studiosi italiani, Stefano Salvioli e Claudio Franceschini, avevano raccontato che gli umani arrivati alla soglia dei cento anni, al contrario di quanto prevedeva Pelicci, avevano più P66 e non meno di quelli a cui sopravvivevano. Niente da fare: Pelicci per oltre un decennio tace sulle critiche dirette e indirette che vengono rivolte alla sua teoria. E solo nel 2012, quando evidentemente le sue promesse non possono più reggere, fa marcia indietro, dicendo che lo avevano ingannato i ratti in laboratorio. Càpita. I ricercatori possono sbagliare. Negli ultimi anni sono emersi molti casi di ricerche scientifiche sbagliate. Sono anche stati denunciati molti casi di ricerche addirittura taroccate. (…). Pelicci si è, se pur tardivamente, autocorretto. Continua a inseguire il sogno dell’elisir di lunga vita, ma ora lo declina, come progetto a breve termine, nella miracolosa dieta “Smartfood”; a lungo termine, invece, lo proietta nel dopo Expo di Human Technopole. “Smartfood” promette una vita più lunga grazie ai cibi che “dialogano con il nostro Dna”: dal cioccolato alla cipolla, dalle patate viola agli asparagi, dai frutti di bosco alla curcuma, (…). …Pelicci viene presentato (ancora) come “lo scienziato acclamato sulla rivista Nature per aver scoperto uno dei geni dell’invecchiamento”. E come il vero padre di Human Technopole: “I rumors raccontano che sia stata una sua relazione a Cernobbio, al Forum Ambrosetti, ad avere acceso una lampadina nella testa di Renzi”. Sì, l’uomo che accende le lampadine nella testa di Renzi è uno dei promotori della “medicina di precisione, che non propone terapie uguali per tutti, ma cure mirate alla persona”. Quest’anno, ci dicono le dure statistiche, l’età media degli italiani dopo molti anni di crescita torna a calare. (…). …venghino venghino, benvenuti nel meraviglioso mondo di Human Technopole Italy 2040.

Da “Elisir di lunga vita a Expo, 200 scienziati contro il Fatto” di Gianni Barbacetto”, su “il Fatto Quotidiano” del 29 di maggio 2016: Dalla lettera di Maria Pia Abbracchio e di 200 scienziati italiani del 29 di maggio 2016: Gentile direttore, il suo giornale ha pubblicato domenica 8 maggio un articolo di Gianni Barbacetto, contenente attacchi a Pier Giuseppe Pelicci, uno dei più importanti scienziati italiani in attività, noto principalmente per l’impatto del suo lavoro sulla cura delle leucemie. Questa lettera in sostegno del Professor Pelicci è sottoscritta da oltre 200 scienziati italiani, tra […]… Risponde Gianni Barbacetto: Siamo alla vigilia di una grande operazione che incrocia politica e scienza: l’avvio, sull’area Expo, di Human Technopole (Ht), polo di ricerca lanciato dal governo – senza confrontare tra loro proposte diverse – con la promessa di 1,5 miliardi – concessi senza garanzie di trasparenza e meritocrazia. Uno degli ideatori di questa operazione è il professor Pier Giuseppe Pelicci. È dunque giornalisticamente interessante, proprio alla vigilia di Ht, raccontare la vicenda del P66, che è l’anello che lega Pelicci a Human Technopol, presentato oggi all’opinione pubblica come il luogo dove potrà nascere “l’elisir di lunga vita”: “L’uomo di domani, quasi immortale, nascerà negli ex padiglioni di Expo. Ecco come 1.600 scienziati lo culleranno, tra mappature genetiche e cibi anti-malanni” (Sette, Corriere della sera, gennaio 2016). Il Fatto Quotidiano, l’8 maggio, ha raccontato Pelicci e la strana storia del P66, che forse gli scienziati conoscono bene, ma l’opinione pubblica no. Nel 1999 Pelicci annuncia che inibire il gene P66 significa allungare le vita del 30 per cento agli animali di laboratorio, e forse anche all’uomo. Dodici anni dopo si corregge, perché ulteriori esperimenti hanno invalidato il suo primo annuncio. Tutto a posto dal punto di vista del metodo scientifico, ci garantiscono autorevolmente 200 scienziati che hanno sottoscritto una lettera in sostegno di Pelicci e contro il Fatto. Fare ipotesi, verificarle, sbagliare e correggersi è la normalità del metodo scientifico. Ma dal punto di vista dell’opinione pubblica, la vicenda del P66 ha prodotto, e continua a produrre, effetti. Nella finanza, nella politica. Fino a oggi. Ha creato, per esempio, una realtà finanziaria e imprenditoriale come Genextra. Lo racconta nel 2015 il suo fondatore, il finanziere Francesco Micheli: “Umberto Veronesi mi raccontò che il direttore del suo centro di ricerca, Pier Giuseppe Pelicci, aveva scoperto e comunicato al mondo attraverso la rivista scientifica Nature come, togliendo a un topo il gene P66, l’animale vivesse il 30 per cento più a lungo e in buona salute. Una prospettiva esaltante (…). Siamo partiti da questa idea, con grande entusiasmo per trovare un elisir di lunga vita che annullasse l’effetto nefasto del P66 nell’uomo, cui non è possibile toglierlo fisicamente. (…) Con Veronesi e i suoi ricercatori abbiamo poi sviluppato altre linee di ricerca, una vera pipeline di molecole, anche se il P66 è tuttora in alto mare” (Capital, marzo 2015). Il P66 determina anche scelte politiche. Lo racconta il Corriere della Sera che nel gennaio 2016 presenta Pelicci come “lo scienziato acclamato sulla rivista Nature per aver scoperto uno dei geni dell’invecchiamento” e come il vero padre di Human Technopole: “I rumors raccontano che sia stata una sua relazione a Cernobbio, al Forum Ambrosetti, ad avere acceso una lampadina nella testa di Renzi”. Gli scienziati forse sì, ma Renzi non legge Nature. Il Fatto ha raccontato questa storia: con protagonisti che sulle riviste scientifiche ridimensionano le loro affermazioni precedenti, ma sui mass media continuano a promettere “l’elisir di lunga vita”. “Pier Giuseppe Pelicci all’Istituto europeo di oncologia ha scoperto che abbiamo un gene, il P66, che regola la durata della vita, e che, se questo viene inibito, la vita si allunga del 20 per cento (Umberto Veronesi, Panorama, agosto 2012). “Esiste un tasto On/Off per l’esistenza?. ‘Il gene della longevità! Quello che noi genetisti stiamo cercando da almeno 25 anni’, risponde Pier Giuseppe Pelicci, che uno di questi geni lo ha davvero identificato nei mammiferi. ‘Il primo è stato l’age-1 di Friedman, che una volta spento si è dimostrato capace di prolungare del 40% la vita dei lombrichi. Poi ne sono stati scoperti un’altra ventina tra cui il nostro, il P66, che allunga l’esistenza dei mammiferi se viene inattivato. Nell’uomo le cose non sono molto diverse’”. (Marie Claire, 26 ottobre 2013). Nessun “attacco”, dunque, del Fatto Quotidiano “a Pelicci e alla sua produzione scientifica”. Nessuna “disinformazione”. Non è “gogna mediatica” (orribile espressione di solito usata dai peggiori tra i politici quando non vogliono che siano raccontati i loro comportamenti) l’aver sottoposto l’attività di uno scienziato al controllo dell’opinione pubblica. Ad aver innescato Ht e i suoi cospicui finanziamenti non sono le ricerche sulle leucemie del professor Pelicci, ma la sua promessa di “elisir di lunga vita”. Il Fatto l’ha raccontato e nessuno l’ha smentito nel merito della vicenda P66, confermata dallo stesso Pelicci (vedi www.scienzainrete.it e vedi anche la ricostruzione di tutta la storia scientifica di P66 su www.roars.it: “L’uomo (quasi) immortale di Human Technopole: scienza o bufala?”). Abbiamo la colpa di voler spiegare cose complesse in maniera semplice, e soprattutto di voler capire gli effetti politici della scienza. Il Fatto sa bene che difendere la scienza è difendere la democrazia. Ma per difendere la scienza e il metodo scientifico si possono e si devono discutere gli scienziati, specialmente quelli potenti che indirizzano investimenti e determinano scelte economiche e politiche. (Ps. Piccolo giallo: nella versione messa in rete dai promotori manca una delle 200 firme. C’è qualcuno inserito a sua insaputa?)

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