"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 21 aprile 2016

Storiedallitalia. 74 “Dialogo di un venditore di ciaoni e di un passeggere”.



Dialogo avvenuto – o solamente immaginato - in un qualsivoglia luogo ove si ritrovino specialissimi “Tic”, ovvero tipi italiani contemporanei:

Venditore di “ciaoni”. – O bella, s’è vinto -. (Altisonante risata).
Passeggere. - Buon signore, me ne compiaccio del suo buon umore. Ma per quale squadra tiene? -.
V. – O bella questa, ma non si ha mica a che fare con una partita di calcio! -.
P. – Ed allora, cosa ha vinto per renderla così euforico? -.
V. – Cosa ho vinto? Ho vinto al referendum -.
P. – Bene, buon uomo, me ne compiaccio ancor di più. È stato di quelli del “Si”? -.
V. – Fossi matto! -.
P. – Arguisco, buon uomo, che sia stato tra quelli del “No” -.
V. – E che, son grullo? -.
P. – Ed allora mi aiuti a capire come abbia fatto a vincere -.
V. – Ma semplicissimo, caro lei. È bastato che non andassi a votare. Ha capito ora? –
P. – Mi pare di non aver capito. Buon uomo, lei non è stato tra quelli del “si” né tanto meno tra quelli del no, vero? –
V. – Verissimo. Ed allora? -.
P. – Buon uomo, ma la contesa non era tra quelli del “Si” e quelli del “No”? -.
V. – Embé? -.
P. – Come sarebbe a dire embé. Lei nella contesa non ci è entrato per nulla, anzi si è dato alla fuga da ogni scelta e da ogni responsabilità -.
V. – Ma è giusto quello che volevo che accadesse, caro lei -.
P. – Ma se lei è stato solo un fuggiasco consapevole non faccia propria alcuna vittoria; mi pare bene che sia così -.
V. – E no che non va bene! -.
P. – E perché, buon uomo? -.
V. – Ma caro lei, non ha sentito la televisione? -.
P. – Certo che l’ho sentita, tanto che mi son fatto dovere d’andare al seggio -.
V. – Bella questa, e lei da che parte è stato? -.
P. – Buon uomo, perché ora le interessa tanto saperlo da quale parte io sia stato? -.
V. – Giusto per saperlo -.
P. – Giusto per saperlo, dice lei, ma non glielo rivelerò. Ma da qualsivoglia parte io sia stato al seggio ho sentito il dovere di confrontarmi con una parte che la pensasse diversamente da me -.
V. – E cosa gliene è venuto? -.
P. – Buon uomo, ma cosa mi aspettavo che me ne venisse. Nulla. Ho solo pensato che andando al seggio ed esprimendo la mia opinioni rendessi un servigio al mio Paese -.
V. – Ma allora lei non ha sentito la televisione? Ha detto che hanno vinto i lavoratori -.
P. – E come avrebbero vinto i lavoratori? Me lo spieghi -.
V. – Ma come, non afferra il senso? -.
P. – No, non lo afferro, per nulla. A meno che non voglia farmi credere che i lavoratori di questo Paese siano tutti dei fuggiaschi, come lo è stato lei -.
V. – Intanto la televisione ha detto che hanno vinto. E tanto basta -.
P. – Ma come sia possibile ciò mi risulta difficile da capire -.
V. – E perché poi tanta difficoltà a capire? –.
P. – Intanto, quelli del “Si” non hanno vinto, anzi se ne dolgono assai; quelli del “No”, quelli che coraggiosamente si sono misurati con quelli del “Si”, hanno ugualmente perso. A vincere ci è rimasto lei e quelli che come lei si sono dati alla fuga. Le sembra ragionevole tutto ciò? -.
V. – Embè? –
P. – Buon uomo, è inutile che noi si continui con questo dialogo. È tra sordi. Anzi tra chi vuol vedere le cose come realmente stanno e tra chi non vuol vedere come stanno le cose. Lei al seggio non c’è stato, poiché forse avrà frainteso le cose dette dalla televisione; ma dal sentirsi vincitore di non so cosa ce ne passa, caro lei! -.
V. – Ed allora, dei lavoratori che hanno vinto cosa mi dice? -.
P. – Spero proprio che i lavoratori di questo paese non siano tutti divenuti dei ributtanti e vigliacchi fuggiaschi. Sarebbe la nostra rovina. Ma giusto per essere dalla sua parte, convengo che anch’io l’ho sentito dire alla televisione -.
V. – Ed allora? -.
P. – Buon uomo, le dico che se fossimo stati in altri tempi, forse più magri ma più onesti e puliti, i lavoratori di questo Paese si sarebbero adontati per essere stati iscritti tutti quanti nel registro dei fuggiaschi -.
V. – Sa cosa le dico? Che a me sta bene così come è andata? -.
P. – Buon uomo, avrei voluto dirle della democrazia, ma me ne guardo bene -.
V. – E bene ha fatto -.
P. – Bene perché? Lei ha avuto il potere immenso ed unilaterale d’annullare d’un colpo le ragioni di tutti quelli del “Si” e di tutti quelli del “No”, fuggendo, come ha fatto, dal confronto che la democrazia le richiedeva -.
V. – Democrazia! A me sta bene così. Un “ciaone” a lei ed a tutti quelli del “Si” ed a tutti quelli del “No” -.
P. – Se ne stia bene, buon uomo -.

Ha scritto Francesco Merlo sul quotidiano la Repubblica del 19 di aprile 2016 - “La politica del ciaone” -: Dice “ciaone” il vincitore renziano che non sa vincere, risponde “irresponsabile cialtrone” lo sconfitto antirenziano che non sa perdere. (…). …di questo referendum sulle trivelle e del dibattito sulla legittimità costituzionale del non voto, della dialettica tra il diritto all’ambiente e il diritto al lavoro, e della legittima contesa sulla natura, il costo e la durata delle concessioni, rimane solo la guerra del ciaone nel Pd. E’ vero infatti che quella della sinistra italiana è una lunga e ricca storia di divisioni feroci con sconfitte trasformate in vittorie, dispetti, duelli, lacrime e passioni. Ma la deriva del ‘ciaone’ è una novità che né Marx né Weber avevano previsto, è il grado zero della scrittura politica profetizzato da Barthes, un imprevedbile lessico tutto romano e dunque di Palazzo. Ed è ovviamente orecchiato perché – mi spiegano i filologi – ‘ciaone’ è dialetto bimbominkia, che non esiste né al Sud né al Nord, nonostante l’assonanza con il piemontese “ciao neh”. Insomma è italiano de Roma più che romanesco. Avesse usato il romanesco storico popolare e non fighettaro da T-shrt, il cosentino Carbone avrebbe detto “ciao core” a Gotor, a Emiliano e a tutti gli altri. Il significato ovviamente è lo stesso. Ciaone è il vaffa aggravato dal sentimento, l’impossibile addio a qualcuno che ti sta a cuore, ai compagni appunto, che hanno litigato per la scala mobile, per il nome della Cosa e per la scelta tra la lotta ed il governo, ma non si erano mai guastati così stizzosamente, così inutilmente. Antiche solidarietà si ruppero per l’Ungheria, per la Nato,per la guerra umanitaria, per i genocidi etnici. E ancora oggi non si sa se contro Berlusconi avessero ragione i resistenti girotondini di Moretti o la realpolitik dei baffi di D’Alema. E si sono scontrati per la falce e il martello, per la Quercia, per il palazzo di Botteghe Oscure sostituito con un loft, per il destino dei giornali di partito … Sempre quelle epiche battaglie si concludevano con qualche scissione, perché i legami in politica si sciolgono anche se, come diceva Nenni , “ogni volta è un grande dolore la separazione fra compagni che hanno sulle spalle un comune bagaglio di sacrifici e di lotte”. Ma sempre separarsi è il modo più civile di liberarsi. Ciaone, invece, è l’incapacità di lasciarsi, di “dire addio al cortile / e andarsene sognando” come cantava Luigi Tenco. Non inganni dunque il rafforzativo. Tutti questi litigiosissimi ciaone non valgono un ciao. Somigliano agli spintoni e agli sputacchi.

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