"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 26 aprile 2016

Oltrelenews. 86 “Padri nobili”.



Da “Malcostume, mezzo gaudio” di Marco Travaglio, su “il Fatto Quotidiano” del 9 di agosto dell'anno 2013: “Riceviamo e volentieri pubblichiamo.” Ecco la lettera di un anonimo barista di Capri:

Caro Presidente Napolitano,
sono un barista di Capri multato e denunciato dall’Agenzia delle Entrate per qualche scontrino non battuto nell’ultimo blitz del 2 agosto. Mentre gli agenti del fisco irrompevano nel mio locale, stavo leggendo le cronache sulla condanna di Silvio Berlusconi per una frode fiscale da 7 milioni di euro, residuo di un’evasione da 360 milioni di dollari falcidiata dalla prescrizione. E ci sono rimasto male, per la condanna ma soprattutto per la denuncia: gli avvocati del condannato e alcuni ministri del governo che ha disposto il blitz sostenevano che non si condanna chi ha versato al-l’erario miliardi, al cui confronto i 7 milioni dimenticati sono bruscolini, dunque B. è innocente. Ho provato a difendermi allo stesso modo, rammentando agli agenti del fisco che nella mia vita ho battuto migliaia di scontrini, al cui confronto quei 10 o 12 dimenticati sono quisquilie, dunque sono innocente. Ma non hanno sentito ragioni. Uno ha pure fatto lo spiritoso: “Guardi che la modica quantità per uso personale vale solo per l’hashish e la marijuana, non per le tasse”. Però ho ripreso fiducia quando ho letto che Lei, appena condannato B., ha subito chiesto la riforma della giustizia (giusto: è scandaloso che qualche processo non vada in prescrizione). E che, appena Schifani e Brunetta sono saliti sul Colle a perorare l’“agibilità” del loro capo, s’è impegnato a “valutare e riflettere attentamente” come evitare che i gendarmi raggiungano pure lui per arrestarlo. Io sono un vecchio garantista e auguro al collega evasore tutto il bene possibile: se va bene a lui, buona evasione a tutti. Malcostume mezzo gaudio, diceva il nostro Totò. Però un filo di risentimento verso chi evade e poi manda i blitz ai colleghi confesso di nutrirlo: sono cose che non si fanno, dài. Non vorrei che alla fine l’unico evasore beccato con le mani nel sacco (e che sacco!) a farla franca fosse proprio lui. A quel punto m’incazzerei di brutto. Io non conosco Schifani e Brunetta e francamente non saprei chi mandarLe a perorare la mia agibilità. Posso chiedere a mio cognato di fare un salto al Quirinale. In alternativa Lei potrebbe passarmi il numero verde dell’Sos Colle per le vittime della malagiustizia: quello di Mancino, per capirci. L’importante è che Lei “valuti e rifletta attentamente” anche sulla condizione mia e di quanti, come me, evadono e vengono beccati. Perché, come dice il viceministro Fassina, lo faccio per sopravvivere; e soprattutto, come direbbero Scajola e Ghedini, a mia insaputa. Non le dico la faccia che han fatto gl’ispettori quando ho provato a convincerli che mi stavano denunciando in base al teorema del “non poteva non sapere” che tanto male ha fatto all’Italia con Mani Pulite cancellando un’intera classe politica. Ho buttato lì anche il caso Tortora, che si porta su tutto. E ho aggiunto che B. avrà pure avuto milioni di voti, ma anch’io mi sono candidato a presidente dell’assemblea del mio condominio e mi han votato tutti. Apriti cielo! C’è mancato poco che mi arrestassero: se non son finito subito al gabbio è solo perché li ho convinti – citando Corriere, Sole-24 ore e alcuni dirigenti Pd – che non è sportivo eliminare gli evasori per via giudiziaria: meglio batterli nelle urne. Infatti ho deciso di scendere in campo: tanto la legge Severino sull’ineleggibilità dei condannati era uno scherzo, vero? Non vorrei imbattermi in giudici come quell’Esposito che prima condanna Wanna Marchi e poi Berlusconi, dunque è prevenuto contro noi truffatori. Quello che legge il Fatto e Repubblica, e per giunta confessa di condannare i colpevoli: dove andremo a finire, roba da ricusazione immediata. Confido molto nel ritorno all’immunità parlamentare, voluta dai nostri padri costituenti per proteggere dallo strapotere delle toghe chi froda il fisco e si rifugia in Parlamento. Ora La saluto, perché qualche scontrino devo pur batterlo, ogni tanto. Ci vediamo alla Camera o al Senato: mi dicono che è pieno di colleghi.

Da “Padri nobili” di Marco Travaglio, su “il Fatto Quotidiano” del 21 di aprile 2016: (…). Questa frase (…) non può che averla pronunciata Giorgio Napolitano: “Vengono pubblicate intercettazioni manipolate, pezzi di conversazioni estrapolate dal contesto. Come è successo al mio consigliere Loris D’Ambrosio che ci ha rimesso la pelle con un attacco cardiaco. E io certe cose non le dimentico”. Forse non dimentica, certo ricorda male. Nell’estate 2012, quando gli atti dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia furono pubblici col deposito agli indagati, il Fatto, come altri giornali, pubblicò le intercettazioni fra D’Ambrosio e Mancino (indagato per falsa testimonianza). E non solo non “manipolò” un bel niente, ma per completezza riportò integralmente le conversazioni. A parte – s’intende – quelle tra Napolitano e Mancino, che la Procura di Palermo aveva stralciato e segretato per chiederne la distruzione al gip, sempreché gli avvocati fossero d’accordo. Non solo: il Fatto intervistò D’Ambrosio, che rispose alle domande, ma non a tutte: a quelle sugli ordini di Napolitano oppose il segreto, riservandosi di rispondere se il presidente l’avesse sciolto. Il che non avvenne. Così, tra le polemiche per i suoi tentativi di interferire nelle indagini per conto di Napolitano, il 18 giugno D’Ambrosio gli scrisse una lettera di dimissioni. E lì gli ricordò di avergli parlato di “episodi del 1989-‘93 che mi preoccupano” e “mi hanno portato a enucleare ipotesi… di cui ho detto anche ad altri”, nel “vivo timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”. Napolitano respinse le dimissioni e il 26 luglio D’Ambrosio morì d’infarto, anche se ora l’emerito vuol far credere che fu ucciso dalle intercettazioni. Cioè dalle sue testuali parole. Sentito dai pm dopo lunghe resistenze, Napolitano negò che D’Ambrosio gli avesse parlato degli indicibili accordi (quindi nella lettera mentiva? e a che scopo?), ma riconobbe che la frase era “drammatica”. Perché allora non chiese lumi al suo consigliere quando gliela scrisse? Preferiva non sapere? O già sapeva tutto? Mistero. La sola certezza è che Napolitano intimò alla Consulta di ordinare il falò delle sue telefonate con Mancino e fu prontamente accontentato. E ora, mentre invoca la legge bavaglio, piagnucola perché uscirono solo “pezzi” di intercettazioni. Una coerenza davvero emerita, di cui lo ringraziamo: le intercettazioni non devono uscire a pezzi, ma integrali; dunque niente bavaglio.(…).

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