"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 16 aprile 2016

Eventi. 20 “Referendum, morale e politica”.




Da “Morale e politica” di Umberto Galimberti, sul settimanale “D” del 14 di novembre dell’anno 2009: Non è possibile affrontare, e tanto meno risolvere un problema, se non si tiene conto del radicale mutamento del contesto in cui quel problema si pone. Del rapporto tra la morale e la politica si discute dal tempo di Platone, quando la filosofia greca ha inaugurato questi due scenari che nel corso della storia sono entrati spesso in conflitto fra loro. Per il mondo greco, morale e politica non potevano che coincidere, dal momento che, come scrive Aristotele nella Politica, "gli uomini hanno lo stesso fine sia collettivamente sia individualmente, e la stessa meta appartiene di necessità all'uomo migliore e alla costituzione migliore".
Con l'avvento del cristianesimo l'individuo si separa dalla società, perché alla sua individualità, alla sua "anima" si prospettano un destino ultraterreno in cui l'individuo, e non la comunità, trova la sua autorealizzazione. Alla vita collettiva, regolata dalla politica, è affidato il compito di creare le condizioni per la realizzazione del bene individuale, quindi il compito della limitazione del male. In questo modo la realizzazione individuale (la morale) viene separata dalla realizzazione sociale (la politica), e, in nome della sua interiorità e della sua destinazione ultraterrena, l'individuo cristiano prende a vivere, come scrive Agostino nel De civitate Dei, separato nel mondo, e poi dal mondo. Questa è anche la ragione per cui Rousseau scrive nel Contratto sociale che "il cristiano non é un buon cittadino": lo può essere di fatto, ma non a partire dalle sue credenze. La filosofia greca e la tradizione giudaico-cristiana, che sono le due radici dell'Occidente, hanno deciso di volta in volta, e con vicende alterne, di dare il primato alla morale o alla politica, fino al giorno in cui la tecnica, divenuta il vero soggetto della storia, ha subordinato a sé sia la morale, sia la politica, rendendo tutte le discussioni relative al primato dell'una o dell'altra questioni subordinate. Per quanto concerne la morale, come opportunamente scrive Emanuele Severino in Il destino della tecnica (Rizzoli): "Come fa la morale a impedire alla tecnica, che può, di fare ciò che può?" E ancora, aggiungo io: come può una morale, i cui princìpi discendono dalla natura concepita come immutabile, valere nell'età della tecnica che ha risolto la natura in materia prima, in ogni suo aspetto manipolabile? La politica, a sua volta, non è più il luogo della decisione, perché per decidere la politica guarda l'economia, e quest'ultima, per decidere i suoi investimenti, guarda le risorse tecnologiche. Per cui il luogo della decisione si è spostato dalla politica alla tecnica. Questo spiega tutte quelle scorribande in sede politica e in sede morale, che sempre più appaiono, purtroppo, luoghi inessenziali al corso della storia. Non dico queste cose con piacere, ma mi pare necessario segnalare il mutamento dello scenario in cui l'antico problema del rapporto tra morale e politica oggi si presenta: per evitare discussioni che diventano inutili se non si prende atto del mutamento radicale del contesto.

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