"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 13 aprile 2016

Eventi. 19 “Referendum e l'abdicazione della politica”.




Da “L'abdicazione della politica” di Ezio Mauro, sul quotidiano la Repubblica del 12 di aprile 2016: (…). Il referendum non è un disturbo, nel nobile procedere del cammino legislativo sovrano. È un'articolazione di quel potere, un suo completamento altrettanto nobile e legittimo e una sua integrazione attraverso la fonte popolare diretta, voluta dalla Costituzione proprio per consentire all'elettore di non essere soltanto un "designatore" ma di poter esercitare (oltre alla scelta dei suoi rappresentanti) lo ius activae civitatis, cioè il diritto di intervenire con la sua opinione su un tema controverso e dibattuto che riguarda la soddisfazione di un interesse pubblico. (…). Il potere dunque deve imparare, settant'anni dopo, che il "buon cittadino" è tale quando va alle urne per scegliere tra le proposte concorrenziali dei diversi partiti e dei loro rappresentanti (se possibile non con liste bloccate), ma anche quando usa la scheda referendaria per controllare-correggere-abrogare una scelta delle Camere, nel presupposto che esista un forte interesse popolare alla ri-discussione di quel tema e di quella legge: interesse certificato dalla soglia dei 500 mila elettori o dei 5 consigli regionali necessaria per chiedere il referendum, insieme con l'intervento di una minoranza parlamentare pari a un quinto.
La democrazia che ci siamo scelti si basa dunque sulla compresenza delle due potestà, diversamente regolate, concorrenti e tuttavia coerenti nel disegno costituzionale così com'è stato concepito. Non c'è dubbio (e da qui nascono ogni volta le riserve dei governi e dei capi-partito) che il referendum porta in sé (…) il principio di contraddizione democratica. Anzi i suoi critici condannano questa potestà suprema ma saltuaria, intermittente, il carattere occasionale e fluttuante delle maggioranze che ogni volta si formano nell'urna, la riduzione della politica ad una logica binaria tra il sì e il no, la semplificazione e la radicalità del contendere, la parzialità della consultazione, la disomogeneità territoriale nella sensibilità ai problemi che stanno alla base del quesito referendario, la mobilitazione in negativo che deriva necessariamente dal voto per abrogare. Ma al centro di tutto sta la questione fondamentale che si trovò davanti la Costituente e che rimane viva, vale a dire la tensione tra gli istituti di democrazia diretta e i loro titolari (i cittadini) e gli istituti che derivano dalla democrazia rappresentativa, cioè le Camere, il governo, i partiti costituiti in legittima maggioranza con la responsabilità dell'esecutivo da un lato, e di guidare il processo legislativo dall'altro. La risposta su questo punto non può che essere radicale, assumendo l'obiezione per rovesciarla in nome delle ragioni in base alle quali l'istituto referendario è entrato nell'ordinamento costituzionale: il referendum è programmaticamente - si potrebbe dire istituzionalmente - un elemento di disarmonia regolata e intenzionale del sistema, a controllo di se stesso. (…). Non si tratta di contrapporre popolo e Parlamento, rappresentanti e rappresentati. Ma di conservare coscienza di una costruzione del meccanismo democratico che prevede una funzione di controllo e di correzione dell'intervento legislativo sottoposta a specifiche condizioni e tuttavia costituzionalmente autorizzata, con il beneficio democratico di un occasionale trasferimento controllato di potere tra governati e governanti e con l'articolazione della competizione politica in forme diverse dalle elezioni generali: per temi specifici invece che su programmi generali, con l'intervento esplicito di gruppi di interesse e di pressione e di movimenti più che di partiti. Potremmo parlare di un'integrazione dell'offerta politica e dei processi decisionali, che in tempi di disaffezione non è poco. (…). Invitare a non votare è un'abdicazione della politica, come se non credesse in se stessa. Anche perché l'astensionismo invocato oggi rischia da domani di diventare la malattia senile di democrazie esauste, appagate dalla loro vacuità, incapaci di essere all'altezza delle premesse su cui sono nate.

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