"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 9 febbraio 2016

Paginatre. 20 “Europa e sinistra”.



Da “Europa e sinistra” – con sottotitolo “Se l’Europa diventa un club per forti” - di Nadia Urbinati, sul quotidiano la Repubblica del 13 di luglio dell’anno 2015: Come una cartina di tornasole la Grecia mette in luce un sostrato di vecchie ruggini dentro il cuore dell’Europa. Divisioni che sotto un linguaggio economico all’apparenza neutro mostrano un grumo di radicati pregiudizi. Che si manifestano non solo come primato dell’interesse nazionale (dei forti) ma anche come superiorità culturale di un’area dell’Europa su un’altra. In questo inquietante ritorno all’antico si materializza la debolezza della sinistra europea, che non sa fare argine a questi pregiudizi ma, come nel caso della socialdemocrazia tedesca, li cavalca. Due sinistre, divise come l’Europa: una incerta e una vociante. La prima, che non riesce a prendere al volo il caso greco per rilanciare il progetto politico europeo ( un’occasione di leadership che la Francia e l’Italia hanno sciupato) e la sinistra austro-tedesca, molto arrogante e determinata a sostenere alleanze preferenziali con i Paesi vicini alla Germania, quelli del Nord e dell’Est. Una vecchia storia recitata da nuovi attori. La divisione delle sinistre corrisponde alla faglia che divide l’Europa in due, con la parte dominante che ha il suo rappresentante nel ministro tedesco delle Finanze, Wolfgang Schäuble, presentato come un figlio politico di Helmut Kohl e sincero europeista, e che ha tuttavia una visione decisamente centro-europea dell’Europa. Nel suo lobbismo per la Grexit ha messo in chiaro che egli non crede ad una integrazione europea, ma a un’Europa a diverse velocità e in sostanza gerachicamente strutturata in relazione alla vicinanza di interesse e di cultura con la Germania. È per questa ragione che egli ha sponsorizzato e messo in circolo una visione che sembrava fino a ieri un tabù: che l’appartenenza all’Europa è reversibile. Il che significa che l’Europa è a tutti gli effetti un club, anziché un’unione, nel quale per entrare e starci è necessario accettare alcune regole stabilite dalla Kerneuropa e non egualmente costruite da tutti i partner europei. L’Europa come club, ecco la visione tedesca di Kerneuropa : il nucleo europeo rispetto al quale gli altri popoli sono periferici. Parte del “cuore” europeo non sono necessariamente i Paesi fondatori (vi è di che dubitare che vi figuri l’Italia) ma i Paesi vicini per cultura e interesse al centro propulsore del continente, la Germania. Non è un caso se in questa drammatica vicenda greca, la Germania abbia goduto del sostegno dei suoi tradizionali Paesi di riferimento, satelliti o alleati: dalla Finlandia, le repubbliche baltiche e la Slovenia all’Olanda e all’Austra. Qui il Kerneuropa prende la configurazione geo-politica degli imperi centrali (non a caso il settimanale Bild ha recentemente definito Angela Merkel la “cancelliera di ferro”, il nuovo Bismark). Come hanno messo in evidenza diversi organi di informazione, da Foreing Affairs al Guardian , il pregiudizio anti- meridionale che l’ affaire greco ha scatenato si è già tradotto nei fatti. Il Land austriaco della Carinzia con un indebitamento da “caso Greco” ha chiesto e ottenuto dal governo federale austriaco lo stato di emergenza, condizione per l’accesso al finanziamento federale per ottenere prestiti a tasso agevolato, di fatto una ristrutturazione del debito. La Germania ha concesso questa condizione alla Carinzia. E ora l’Austria è l’alleato di ferro della soluzione Grexit. Perché questa differenza di trattamento?
La ragione l’ha fatta intuire Schäuble avanzando l’ipotesi di un Grexit per cinque anni: non c’è “fiducia” nella Grecia. La fiducia non è lo stesso di garanzia (una condizione accertabile e quantificabile) e diventa molto importante quando le garanzie sono labili. La fiducia è un’attitudine psicologica, sorretta da un sostrato di valori morali e etici condivisi: presume la messa in conto che gli stessi valori guidino i comportamenti dei partner. Dire che manca la fiducia verso la Grecia equivale a riconoscere che il partner ellenico non è un partner perché non condivide la stessa kultur . È nella stessa condizione dello straniero a tutti gli effetti: e incute diffidenza più che fiducia. Quali che siano le garanzie offerte dal governo di Atene, dunque, i tedeschi non si fidano nello stesso modo in cui si sono fidati della Carinzia. Qui siamo già fuori dell’Unione europea. (…). …l’Europa è ormai un concetto contestato, una figura retorica alla quale non corriponde una visione normativa comune. Una possibilità di risolvere questa diaspora sarebbe potuta venire dai partiti socialisti, sorti dopo tutto su principi non nazionalistici e internazional- solidaristici. Per la calorosa accoglienza tributata a Alexis Tsipras, il gruppo socialista del Parlamento europeo ha mostrato di essere ancora sensibile a questi principi. Ma i socialdemocratici tedeschi seguono tutt’altra strada. La Spd, ha scritto Jan-Werner Müeller su Foreign Affairs , ha abbandonato completamente il discorso degli “eurobond” per aiutare i Paesi economicamente in bisogno ed è diventata più merkeliana della Merkel. Il divorzio interno alla sinistra è anche in Europa un fatto reale e negativo. Dietro l’anti-ellenismo della Spd vi è il timore che Syriza metta in moto un movimento alla sua sinistra capace di erodere il consenso alla grande coalizione. Gli interessi della sinistra dell’establishment e quelli della sinistra non sono dunque gli stessi. Anche su questo conflitto dentro la sinistra sta il problema europeo, il declino di una visione unitaria.

Da “Il filo spezzato dell’Europa” di Stefano Rodotà, sul quotidiano la Repubblica del 16 di luglio dell’anno 2015: Non mi riconosco nell’Europa nata tra il 12 e il 13 luglio. Sembra che l’Unione abbia abbandonato l’ambizione di costruire il suo popolo. (…). Che altro poteva essere chiesto alla Grecia dopo tutto quello che le era stato imposto? E che altro poteva avvenire dopo la riduzione della Grecia a protettorato, (…)? La verità è che questa vicenda ha certificato anche la dissoluzione della socialdemocrazia europea. Nel vuoto così lasciato, da tempo hanno cominciato ad insediarsi i populismi antieuropeisti, ai quali i partiti socialisti o socialdemocratici non sono stati capaci di contrapporre alcuna plausibile strategia. L’ultimo spettacolo offerto dal partito socialdemocratico tedesco, attraverso le prese di posizione del suo vice-cancelliere e del presidente del Parlamento europeo, è a dir poco imbarazzante. Ma l’allineamento degli altri partiti dell’Internazionale socialista, a cominciare dalla Francia e dall’Italia, è stato nella sostanza così totale da rendere ormai indistinguibili i loro programmi da quelli degli schieramenti conservatori. Con le ultime, unanimi decisioni di Bruxelles siamo entrati palesemente nell’area del partito unico europeo. (…). Se l’Unione ha deciso di costruirsi come una organizzazione senza popolo, non vuol dire che il popolo sia cancellato. Con due effetti. I popoli si prendono le loro rivincite affidandosi a chi ne evoca una autonomia insidiata da Bruxelles. E si manifestano fenomeni di rinazionalizzazione, (…), che hanno altrettanto potenziale distruttivo. Non si può condannare il nazionalismo della decisione di Tsypras di indire un referendum, e poi distogliere lo sguardo da una politica tedesca condizionata evidentemente dalle dinamiche interne a questo Stato. Se, poi, si voleva colpire Tsypras per educare Podemos, si tratta davvero di una strategia senza sbocco o più precisamente di una strategia che, infiacchendo la democrazia, favorirà una sostanziale disgregazione dell’Europa. La questione della necessaria legittimazione dell’Unione europea attraverso meccanismi diversi da quelli puramente economici era stata ben colta nel giugno del 1999, quando il Consiglio dell’Unione europea decise di mettere in cantiere una Carta dei diritti fondamentali. Si giustificò questa iniziativa sottolineando esplicitamente che “ la tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell’Unione europea e il presupposto indispensabile della sua legittimità”. Non è un richiamo nostalgico. Quelle parole coglievano un punto nevralgico per lo sviluppo dell’Unione, essendo divenuto evidente che, per ottenere piena legittimazione da parte dei cittadini, all’integrazione economica e monetaria doveva essere affiancata, come passaggio ineludibile, l’integrazione attraverso i diritti. La Carta dei diritti fondamentali ha oggi lo stesso valore giuridico dei trattati, ma è stata cancellata dal quadro istituzionale europeo, sopraffatta dalla logica economica. Allo storico deficit di democrazia dell’Unione europea si è affiancato così un sempre più distruttivo deficit di legittimazione, che sconfina ormai nell’illegalità. Non è arbitrario, allora, prevedere che il “più politica”, continuamente invocato, altro non possa essere che l’istituzionalizzazione e la formalizzazione delle logiche anche violente che hanno caratterizzato l’ultima fase, con un esercizio impietoso del potere che ha prodotto esclusione delle persone e espropriazione dei diritti. Sempre più lontani dalle parole del Preambolo della Carta dei diritti dove si afferma che l’Unione “pone la persona al centro della sua azione”. E sempre più vicini ad una stretta istituzionale che, modificando i trattati, intende costruire il “fiscal compact” come essenziale punto di riferimento. L’Europa sociale, l’Europa del vivere in dignità e diritti, è dunque irrimediabilmente perduta? (…). …una conclusione così sconsolata – non per i sentimenti personali, ma per le sorti della democrazia – dovrebbe essere misurata attraverso una analisi che parta da una domanda diversa. Oltre al nuovo partito unico del rigore e ai diversi populismi si scorgono forze che possano riprendere il cammino dei diritti sociali non come rivendicazione egoistica contro “l’idraulico polacco”, ma come possibilità concreta di una azione statuale e sovranazionale che metta a frutto le analisi di tanti economisti e giuristi che hanno mostrato la forza distruttiva delle politiche finora seguite? Si consoliderà questa consapevolezza culturale, si tradurrà in iniziative concrete? Non dimentichiamo che la guerra fredda venne combattuta mostrando concretamente la superiorità di una democrazia innervata dai diritti delle persone. Non dovrebbe essere questo il modello da seguire nel nuovo conflitto con il totalitarismo economico?

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