"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 2 febbraio 2016

Oltrelenews. 78 “Lettere al premier”.



Da “La mamma di Vito e la promessa mancata del premier: verrò nella scuola di suo figlio”,  tratto dal volume “#lacattivascuola - Un’inchiesta senza peli sulla lingua -” di Alex Corlazzoli, su “il Fatto Quotidiano” del 9 di giugno dell’anno 2015: “Pronto sono Matteo, disturbo? ”. Dall’altra parte della cornetta, c’è Cinzia Caggiano, la mamma di Vito Scafidi morto a 17 anni per il crollo di un controsoffitto al liceo “Darwin” di Rivoli. “Matteo chi? ”, replica la donna confusa per quella telefonata alle dieci della sera. “Sono  Matteo Renzi,  il presidente del Consiglio”. Sono trascorsi poco più di quindici giorni dall’insediamento del nuovo governo alla guida dell’ex sindaco di Firenze. Cinzia, una donna dal fisico esile, ma dal carattere determinato, perennemente stravolta da quel 22 novembre 2008, quella sera decide di  scrivere una mail al nuovo inquilino di palazzo Chigi. “Buongiorno Presidente Renzi, sono Cinzia Caggiano e le scrivo per raccontarle la mia storia. Ho 44 anni e da cinque vivo in un incubo. È cominciato  il 22  novembre  2008. Un sabato mattina come tanti, in cui ero al mercato a fare la spesa. Quando è arrivata una telefonata che ha spezzato in due la mia vita. Pareva che mio figlio si fosse sentito male, a scuola, durante lezione. Solo dopo ho  capito veramente quello che era successo. Lascio che sia mio figlio Vito a raccontarglielo. “Mi chiamo Vito Scafidi, non amo parlare di me al passato quindi dico mi chiamo e non mi chiamavo. Sono un ragazzo normale, l’unica cosa che mi rende diverso da voi è che avrò 17 anni per sempre perché la mia vita è finita improvvisamente mentre cercavo di costruire al meglio il  mio futuro.  (…). Il  soffitto della mia aula scolastica mi è crollato addosso, spezzando la mia vita. ” (…). Tre ore dopo la chiamata di Renzi. Cinzia non si lascia intimidire dalla voce del primo ministro. Gli ricorda che dal 2008 ad oggi ha visto passare sotto i suoi occhi in lacrime, quattro governi, tante parole e pochi fatti. Ma stavolta si cambia. Renzi le annuncia che ha stanziato due miliardi per le ristrutturazioni delle scuole e che dedicherà questa misura proprio a Vito. Si lasciano con l’impegno di prendersi un caffè insieme perché quella  mamma non  è una parlamentare, non ha un ruolo politico ma conosce meglio di altri le aule del nostro Paese che ha visto girando l’Italia dal 2008 ad oggi. Non si vedranno mai. Anzi. Mamma Cinzia prova ad invitare il premier proprio  il 22  novembre del 2014, alla marcia che si tiene ogni anno per ricordare Vito. Ma nulla. Il presidente non risponde più alle mail della signora Caggiano. Il premier non si farà vedere. In compenso Renzi nel suo primo discorso al  Parlamento, il 24 febbraio 2014, aveva annunciato di continuare a  voler andare  nelle scuole proprio come quando era sindaco: “Da presidente del Consiglio io entrerò nelle scuole, una volta ottenuta – se così sarà – la fiducia del Senato  e della Camera. Mercoledì mattina, come faccio tutte  le  settimane, mi  recherò  in una scuola; la prima sarà un istituto di Treviso mentre  la  settimana prossima andrò in una scuola del Sud. E lo farò perché penso che sia fondamentale che il governo non stia soltanto a Roma e, quindi, mi recherò nelle scuole, come facevo da sindaco, per dare un segnale simbolico, se volete persino banale che da lì riparte il Paese”. (…).

Da “Bandi finti, baroni e tagli: io, precaria a vita negli atenei”, lettera aperta di Gilda Policastro – ricercatrice - su “il Fatto Quotidiano” del 2 di febbraio 2016: Caro Matteo Renzi, le scrivo perché ogni giorno sento lei e i suoi ministri parlare di cambiamento, di rinnovamento, di riforme. Soprattutto quest’ultima voce parrebbe potersi caricare di promesse e speranze al sapore di “realtà effettuale”, per dirla con Machiavelli: si sta riformando, a sentirvi, quest’Italia dei figli e dei nipoti le cui condizioni sociali ed economiche per una larga maggioranza degradano rispetto a quelle dei nonni e dei padri. Si stanno rinnovando, da quel che proclamano interviste e tweet quotidiani, la scuola e l’università, ovvero i settori su cui gli stati moderni hanno basato la loro crescita anche materiale, perché non può esserci sviluppo senza ricerca e senza avanzamento delle conoscenze. (…). Chi le scrive appartiene alla generazione dei nati negli anni Settanta, una generazione sciagurata che ha attraversato riforme della scuola e dell’università il cui esito non ha impedito il perpetuarsi, specie nella seconda, di un sistema di carriere baronale, in cui si procede per investitura e per feudi, deliberando su posti e avanzamenti attraverso veri e propri accordi e scambi tra potentati locali, laddove sarebbe legittimo attendersi liberi concorsi e pari condizioni di accesso (a parità di titoli, si capisce) sull’intero territorio nazionale. (…). I miei genitori, entrambi insegnanti di scuola, hanno investito nella mia formazione garantendomi la copertura economica di un alloggio nelle città in cui ho scelto di studiare e perfezionarmi, ma soprattutto di tasse maggiorate rispetto a quelle di studenti figli di imprenditori o liberi professionisti i quali, a differenza degli statali, potevano consentirsi qualche deroga o “autosgravio” fiscale (si chiamerebbe evasione, in uno Stato più equo, e sarebbe combattuta). (…). Ho cominciato il mio percorso lavorativo con il cosiddetto “assegno di ricerca”, che implicava, oltre alla ricerca propriamente detta, un consistente supporto alla didattica, attraverso lezioni, esami, ricevimento degli studenti, correlazione di tesi, per giunta in una sede diversa dalla città di residenza, perciò accollandomi le spese di spostamenti e alloggio, ove necessario. L’assegno mi è stato rinnovato per quattro anni, perciò un’università italiana ha avuto modo di verificare per un ampio arco temporale la mia attitudine alla ricerca e all’insegnamento, offrendomi oltretutto la possibilità di guadagnare 18 mila euro all’anno. Poi più nulla: il finanziamento con cui il mio assegno veniva richiesto e rinnovato ha avuto termine e dal 2010 al 2012 non ho avuto la possibilità di radicarmi in nessun contesto universitario perché nel frattempo i concorsi venivano banditi con sempre minor frequenza, e, soprattutto, già destinati in partenza a qualcuno, anche se naturalmente poteva darsi qualche circostanza particolare (sfortunata per il designato e fortunata per i suoi competitor) che scombinasse i piani al barone di turno, ma si trattava di situazioni rarissime e per lo più leggendarie. Nel frattempo ho chiesto all’Inps, a cui ero stata costretta a iscrivermi all’atto della stipula del primo contratto, un sussidio di disoccupazione (o “sostegno al reddito”, come si chiamava qualche anno fa), ma non ne avevo i requisiti: l’assegno di ricerca, che pure è retribuito, non è considerato un “lavoro”, ai fini previdenziali, e dunque se non hai mai lavorato non puoi nemmeno dichiararti disoccupato, a rigore. (…). Personalmente di abilitazioni (o idoneità che dir si voglia) ne ho avute due, nel macrosettore di Letteratura italiana (comprensivo di Critica letteraria e Letterature comparate) e in quello di Letteratura italiana contemporanea: sono trascorsi oramai due anni (…) durante i quali non è stato bandito nessun concorso aperto per la mia posizione (docente di seconda fascia, cioè Professore associato), in nessuno dei due settori. Alla reiterata richiesta di chiarimenti e consigli sul da farsi, i docenti con cui negli anni ho a vario titolo collaborato replicavano con una serie di informazioni per lo più vaghe e contraddittorie, da cui ricavavo un’unica certezza: non avrei mai avuto nessun posto, perché questo per un’università avrebbe implicato un investimento assolutamente improponibile, quantificato nei misteriosi “punti organico” (assegnati non si sa come non si sa da chi a ciascun ateneo e stimabili, nel caso di un non strutturato, attorno allo 0.70 sull’1 e qualcosa mediamente disponibile, a fronte dei soli 0.20 necessari per lo scatto di carriera di un interno). (…). Caro Renzi, lei a questo punto probabilmente si unirà al coro generale, chiedendomi come mai non abbia ancora pensato a cercarmi qualcos’altro, e ripetendomi che è necessario oggidì essere flessibili e adattarsi. Ma avete mai provato, voi che incoraggiate e sostenete la flessibilità, a fare dei colloqui di lavoro con un curriculum prevalentemente universitario? In qualunque ambito la preparazione “iperqualificata” è ritenuta un limite, non un potenziale, proprio perché di ostacolo alla cosiddetta flessibilità. Editoria, giornalismo culturale, siti web: nessuno è disposto a pagare un plurititolato per lavori “di basso profilo” (revisione di testi, traduzione, correzione di bozze, lavoro redazionale di qualsiasi genere) che peraltro nella gran parte dei casi nemmeno esistono più o vengono dati in appalto ai cosiddetti service, assimilabili ai call center di una volta nella funzione di calmierare i giovani laureati in cambio di pochi spiccioli e nessuna prospettiva. (…). Caro Renzi, noi siamo pressoché coetanei, perciò in zona congedo azzardo una maggior confidenza e ti domando: nei miei panni, tu, cosa faresti? (…). Con i miei più sinceri auguri.

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