"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 20 gennaio 2016

Oltrelenews. 76 “In Europa, col cappello in mano”.



Da “Altro che gufi, è la politica del suo esecutivo che rischia di affossarci” di Mario Seminerio, su “il Fatto Quotidiano” del 30 di dicembre dell’anno 2015: (…). La Renzinomics veicola un messaggio tanto semplice quanto rozzo: siate sereni e spendete. Per Renzi, ogni aumento del tasso di risparmio è quindi da combattere in quanto spia di paura e dell’azione di sabotaggio di gufi disfattisti. A conferma di questa visione, il premier si è spinto ad affermare che gli italiani avrebbero “nascosto i risparmi in banca”, manco si trattasse di un nuovo tipo di materasso. Parliamo dello stesso Renzi che lo scorso anno ha colpito i risparmiatori col 26 per cento di aliquota sulle “rendite finanziarie pure”, mentre manteneva invariata al 12,5 per cento la tassazione di titoli di Stato e risparmio postale, con evidente discriminazione a danno del settore privato dell’economia. Nella predicazione renziana il deficit ha cessato di essere un problema: conta la rassicurazione che “comunque siamo sotto il 3 per cento di Maastricht”: come se fosse l’unico parametro e come se non stessimo comunque producendo nuovo debito.
Il problema non è l’eventuale aumento del deficit, che tuttavia dovrebbe avvenire in modo anticiclico, quindi opposto a quanto sta facendo Renzi oggi: il problema è che il deficit aggiuntivo deve avere un ampio impatto positivo sulla crescita, affinché il gioco valga la candela. Invece, abbiamo miliardi immolati a sussidi per contratti di lavoro che sarebbero stati comunque attivati, al netto delle stabilizzazioni di quelli a tempo determinato, ed abbiamo l’iniqua e inefficiente eliminazione della tassazione sulla prima casa presentata come rivoluzionario catalizzatore di fiducia (e quindi di consumi) a un paese di proprietari della casa di abitazione. Questi sono solo due esempi di spesa pubblica di qualità scadente e dall’elevato costo opportunità, destinati ad ingessare il bilancio pubblico, che vanno ad aggiungersi ai dieci miliardi annui del bonus da 80 euro, sulle cui virtù taumaturgiche di stimolo ai consumi il dibattito è ancora in corso. Renzi pare essere riuscito ad “anestetizzare” i timori degli italiani per il deficit presentandosi come il “grande neutralizzatore” delle temute clausole di salvaguardia, che egli stesso l’anno scorso ha creato in quantità industriale. Sfortunatamente, tali clausole sono solo state spinte più in là, al prossimo anno, con un tratto di penna. Allo stesso modo, il governo presenta come fatto compiuto e pietra miliare la flessione del rapporto debito-Pil prevista per il 2016 che in realtà è tutta da raggiungere, e che è subordinata al conseguimento di una crescita del Pil nominale che oggi appare tutt’altro che scontata. Ma la vera minaccia al futuro del Paese verrà dalla gestione di eventuali nuovi dissesti bancari e dalla mina innescata dei crediti in sofferenza. Il consolidamento del settore del credito cooperativo, deciso da Renzi, servirà anche e soprattutto a quello ma i miracoli non esistono ed il reale e realistico valore di recupero delle sofferenze, al di là di quanto scritto nei bilanci, appare la maggiore incognita per la stabilità finanziaria del Paese, soprattutto se lo scenario di crescita attesa dovesse svanire.

Da “Italia e UE: un duello a colpi di ammuine e di facce feroci” di Alberto Statera, sul settimanale “Affari&Finnaza” dell’11 di gennaio 2016: «Facite ‘a faccia feroce» ordinavano i sergenti borbonici del Regno delle Due Sicilie alle reclute un po’ fiacche e rincaravano: «Chiu feroce». Più o meno la stessa direttiva che, pur con fonetica toscana, Matteo Renzi ha dato ai suoi nei confronti dell’Unione Europea. Ha dato il via lui stesso, quando ha punzeccchiato Angela Merkel al Consiglio dei capi di governo del 17 dicembre scorso sulla politica energetica della Germania verso la Russia, ottenendo reazioni positive di molti altri paesi. Da allora ha via via accentuato i toni con varie pubbliche intemerate piuttosto insolite nel vecchio galateo europeo. «L’Italia non andrà più a Bruxelles con il cappello in mano», ha proclamato. E poi: «Basta con l’Europa guidata da un solo partito», cioè la Cdu della Merkel, anche perché «questo Pd può guidare l’Europa». Quindi il nemico con cui duellare nel 2016, di cui il presidente del Consiglio aveva bisogno, è stato scelto: un conflitto continentale con un occhio ai fini interni elettorali volti a frenare l’ascesa nei sondaggi di grillini e leghisti. La truppa si è subito adeguata al verbo muscolare del premier. Sandro Gozi, abitualmente pacato sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega agli Affari Europei, ha lamentato che «finora la discrezionalità politica è andata a svantaggio nostro e a vantaggio di altri: chiediamo maggior rispetto». Appena più garbato, per il ruolo, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni: «Difendere gli interessi nazionali è doveroso, tutti lo fanno. Ma rispetto ad altri il governo Renzi coltiva un’ambizione in più: contribuire al rilancio dell’Europa in un passaggio tra i più delicati della sua storia». A Bruxelles si sente dire «i soliti italiani» e le annunciate incursioni italiche vengono considerate alquanto velleitarie: «La flessibilità – ha detto il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem – è un margine, si può usare una volta sola, non si può esagerare». E gli eurofalchi pensano che l’Italia abbia già esagerato con tutti i dossier controversi aperti: le riforme, gli investimenti, i migranti, le banche, l’Ilva, il gasdotto dalla Russia. E i numeri non ci aiutano se dal 2007 al 2014 il debito pubblico italiano è schizzato dal 99,7 al 132,3. Ma le contromisure al misirizzi italiano sono già partite, come dimostra il caso di Carlo Zadra, coordinatore giuridico tra l’altro di migrazioni, giustizia, affari interni, l’unico italiano nella squadra del presidente Jean-Claude Junker. Lo ha fatto fuori senza colpo ferire il capo di gabinetto tedesco Martin Selmayr, descritto come dispotico, iracondo e potentissimo al punto di condizionare il presidente. Visti i precedenti, non si può escludere che il fastidio palpabile per l’irrequietezza dell’Italia sfoci in una guerriglia politico-burocratica di Bruxelles per spingerci ai margini, segnando un destino avverso per i caldi dossier aperti con l’Unione Europea e una serie di procedure d’infrazione. Ma a favore di Renzi gioca in questo momento il fatto che le attuali leadership europee sono in una fase di crescente debolezza, a cominciare da quella della Merkel. Altrimenti Renzi dovrà ricorrere ancora al borbonico «facite ammuina”». Cioè «tutti chilli che stanno a prora vanno a poppa e chilli che stanno a poppa vanno a prora».

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