"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 26 dicembre 2015

Paginatre. 15 “Il Natale non è dei poveri del mondo”.



Da “Aylan commuove solo d’estate” di Silvia Truzzi, su “il Fatto Quotidiano” del 10 di dicembre 2015: (…). Era settembre. E allora eravamo tutti ancora molto attenti a cosa succede nel Mediterraneo. Perché eravamo appena tornati dalla vacanze e al mare ci andiamo a fare il bagno. Ci avete fatto caso? D’estate l’emergenza migranti è sulle prime pagine, d’inverno miracolosamente sparisce. Certo, è vero. D’inverno ci sono meno barconi in arrivo. Ma i bambini muoiono lo stesso. Ieri, solo per fare un esempio, un altro barcone carico di migranti è affondato nelle acque dell’isola greca di Farmakonissi. Sono morte almeno 11 persone, e di queste, 5 erano bambini. Farmakonissi? Dov’è? Boh. Chi lo sa. Non si sa. E chissenefrega. E poi fa freddo, tra un po’ è Natale, si aspettano renne e neve, si guarda più alla montagna, che al mare. Eppure ieri la Fondazione Migrantes ha diffuso dati agghiaccianti. I morti sono più che raddoppiati nel 2015 rispetto al 2014, passando da 1.600 a oltre 3.200. E di queste morti dimenticate, ci sono oltre 700 bambini. Solo dall’inizio dell’anno. Sì, avete letto bene. Significa più di due bambini al giorno. Due piccoli Aylan al giorno, che però non hanno trovato spazio sui giornali e tantomeno nei cuori di chi allora si era strappato i capelli per il povero bambino con al T-Shirt rossa. Si dirà, che era stata proprio la potenza di quell’immagine a creare il trambusto di allora. Ma non è vero. Ce ne sono state tante altre di foto di bambini morti in mare. Neonati addirittura. Bambini recuperati dai barconi, inutilmente avvolti nelle coperte termiche, perché erano già morti. Ma la nostra commozione, come quella del pubblico e dei lettori, è destinata a durare il tempo di uno scatto fotografico. E la legge del giornalismo, bellezza. E tu non puoi farci niente, direbbe chi sa di queste cose. È vero. Il giornalismo è fatto così. È stretto tra il cinismo e la retorica. Ricordo come imparai da un vecchio capocronista come si decide il rilievo da dare a un morto. Nero, marocchino o cinese, una breve (se ci sta). Vecchio, taglio basso, a meno che non sia famoso. Giovane, apertura. E se è donna, cercare di mettere una foto dove si vedono le tette. Non so se questo cinismo sia peggiore della retorica. Probabilmente no. A settembre, ai tempi di Aylan, su Internet divenne virale l’hashtag ‪#‎KiyiyaVuranInsanlik (l’umanità che si è schiantata contro gli scogli). A quanto pare si è schiantata e lì è rimasta.

Da “La scomunica Dc, Bose e la lezione dei poveri. Che si ribelleranno”, intervista ad Enzo Bianchi – priore di Bose – di Silvia Truzzi, su “il Fatto Quotidiano” del 24 di dicembre 2015: (…). Quante persone passano da Bose? - Quindici-diciassettemila all’anno, più o meno. C’è chi viene per pregare, chi per pensare, chi per parlare perché è in difficoltà, chi cerca il silenzio. E poi ci sono anche quelli che vengono a chiedere da mangiare. Ormai ci chiedono pasta, pane, olio perché non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese. Una volta venivano più zingari e girovaghi, senza casa. Dal 2000 hanno cominciato a bussare gli extracomunitari e adesso – da circa cinque anni – si sono aggiunte povere famiglie e pensionati che non ce la fanno. Arrivano da Biella, Vercelli, Ivrea. Da settembre abbiamo quattro migranti dall’Africa. Gli abbiamo dato una casa e li stiamo aiutando a imparare l’italiano: ci sembra giusto condividere con loro. Se non lo facciamo noi qui, chi lo deve fare? -. (…).
Adesso c’è paura per il rischio terrorismo. - Ma è esagerata, esasperata dagli imprenditori della paura. Forze politiche che da un lato istigano la paura, dall’altro aumentano il risentimento dei migranti e dei popoli arabi verso di noi. Anche loro sono responsabili della violenza, che è una risposta – ingiusta perché contro gli innocenti – ad altra violenza -.
L’emergenza “sicurezza” è più generale. A Vaprio d’Adda un pensionato ha ucciso un ladro che era entrato, disarmato, nella sua abitazione. E sarà candidato con Forza Italia. - La paura va presa sul serio: nei paesi qui intorno sono tutti vecchi, che spesso abitano da soli. Ma bisogna anche aiutare a razionalizzare. Le forze sociali dovrebbero contenere la paura, non usarla come macchina macina voti. Spesso si esagera: allora ecco il giustificare sempre – a qualunque costo – chi si difende, a prescindere dalle situazioni. Ecco che s’invoca una maggiore diffusione delle armi: il far west porta alla barbarie, che è iniziata già da anni. Prima la gente non era così cattiva, adesso è solo diffidente, chiusa. La responsabilità se la devono prendere i coltivatori di odio. E attenzione: questi signori hanno quasi sempre la scorta, quasi sempre vivono protetti da sette cancelli, dieci telecamere di sicurezza e non hanno nulla da temere -.
Cosa manca ai nostri governanti, secondo lei? - Una vera politica dovrebbe prendersi cura degli ultimi, anche di quelli che arrivano alle nostre frontiere. Avere un atteggiamento oscillante, per cui ogni tanto bisogna mitragliare i barconi e ogni tanto si appare disposti all’accoglienza, mi sembra sia una manifestazione d’incapacità, una mancanza di visione. Anche a livello europeo. Bisogna sollecitare un’azione condivisa: ma se nessuno alza la voce, continua tutto come adesso
-.
La politica è subordinata al potere finanziario? - Il grande idolo è il mercato. Tutti i governi sono inginocchiati di fronte a questo potere idolatrico. Non c’è un governo, uno, che porti avanti un vero discorso di giustizia sociale, necessario in un momento in cui il divario tra i pochissimi che hanno tanto e i tantissimi che hanno poco o nulla è sempre, tragicamente, maggiore. La libertà e l’uguaglianza hanno bisogno della fraternità. Se prima non c’è il valore fondante della fraternità – tutti uguali, tutti fratelli, tutti con lo stesso diritto a una vita degna, a partecipare alla tavola del mondo – allora anche la libertà e l’uguaglianza sono deboli. Ogni uomo che viene al mondo ha diritto di vivere, di essere, per quanto possibile, felice e amato. Anche se per tutti la vita è un duro mestiere -.
È la prima parte della Costituzione. - La Costituzione non è mai stata completamente applicata. Negli ultimi vent’anni si è addirittura teorizzato di abbandonarla perché ‘invecchiata’. È stato possibile dirlo, e in parte farlo, senza la resistenza di nessuno. Nemmeno delle forze di sinistra che hanno sposato la peggior ideologia radicale, portandoci a una situazione d’illegalità diffusa in cui è sempre più difficile affermare i diritti. Ormai c’è un individualismo imperante, la parola d’ordine è meritocrazia. Non si tiene conto della realtà più semplice: la vita fa i disgraziati. La morte, la malattia, la miseria fanno gli ultimi. O a questi ci pensa lo Stato o sono persone perdute -.
Le reti sociali sono scomparse. - Si tratta di rifondare la grammatica umana nell’educazione. È un lavoro a lungo termine. Amartya Sen ha ragione quando rilegge la giustizia in termini nuovi: avere tutti gli stessi mezzi di sviluppo e affermazione. Non basta nemmeno una redistribuzione dei beni che tolga la fame. Su queste strade chi cammina? Le forze politiche sono sorde -.
Quando lei era ragazzo era diverso? - Una volta per le forze politiche – sia quelle socialiste-comuniste sia quelle cattoliche – la giustizia sociale era un valore fondante. Oggi non conta nulla, non c’è nessuna possibilità di affermarla. Contano la produzione, lo sviluppo economico e poi che la distribuzione avvenga secondo i meriti. Ma cos’è il merito? Per gli ultimi non c’è nessuna possibilità di attenzione. È una vertigine di egoismo, di filautia. Il benessere è solo personale, tutto è lasciato al gioco del mercato che da solo sarebbe in grado di calmierare le disuguaglianze. Ma guardi come abbiamo ridotto la Grecia, umiliata dall’Europa con l’aiuto dell’Italia. È più grave che un povero umili un altro povero, come ha fatto l’Italia in crisi con la Grecia, una terra dove abbiamo portato una vergognosa guerra nel 1940. Non hanno capito che dove c’è la guerra tra poveri, i più ricchi ne approfittano -. (…).
Ha delle speranze? - Ne avevo di grandi, fino alla fine degli anni Novanta. La caduta del Muro di Berlino ci aveva dato speranza… Invece guardiamo oggi, quanti muri continuano a essere eretti! -.
La sua fede nell’uomo ha mai vacillato? - Ho avuto una grande crisi quando l’Italia è andata a fare la guerra nell’ex Jugoslavia: una vergogna su cui tutti tacciono. È stata una resa alle ragioni delle armi, del potere, del denaro. Ho capito che l’Europa non mi dava più speranze: a otto anni mi hanno dato la tessera dei ‘giovani per l’Europa’, per noi era un grande mito -.
Il futuro? - Per ora manca un’insurrezione delle coscienze. Ma non c’è più nessuna mobilitazione: dopo il G8 non c’è stato più nulla. Neanche tra i giovani c’è interesse a mobilitarsi per la pace, la giustizia sociale, il lavoro che non c’è. Questo è grave, si passerà subito all’insurrezione violenta. Prima o poi i poveri si ribelleranno -.

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