"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 5 dicembre 2015

Oltrelenews. 73 “QE&Ttip”.



Da “Cosa è il QE e perché (forse) ci salverà” di Angelo Bogliani – laurea presso l’Università Bocconi di Milano; Master in Economics presso la University of Pennsylvania; professore di “Economia politica” presso l'Università Cattolica di Milano; ha insegnato al Master in Economia e Banca presso la Facoltà di Economia R. M. Goodwin dell’Università di Siena; membro del Comitato direttivo e scientifico del Laboratorio di Analisi Monetaria (Università Cattolica di Milano e Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa); è stato economista presso l'Ufficio Studi della Banca Commerciale Italiana – sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 13 di novembre 2015: (…). …cos’è il Qe? È l’ultima spiaggia del banchiere centrale. Quando l’arma dei tassi d’interesse diventa una pallottola spuntata, bisogna inventarsi qualcos’altro. E allora si ricorre al cosiddetto “allentamento quantitativo”, che significa: aumentare la quantità di moneta in circolazione. In tempi normali, le banche centrali agiscono manovrando i tassi d’interesse. Quando la Banca centrale europea vuole dare una spinta all’economia, abbassa il tasso d’interesse al quale presta i soldi alle banche, in modo che queste a loro volta riducano il costo dei prestiti alle imprese e alle famiglie. Anche la Banca d’Italia agiva così prima dell’euro: qualcuno ricorderà il tasso ufficiale di sconto (Tus). Questa politica incontra però un limite naturale in un numero: zero. Quando il tasso d’interesse raggiunge il “pavimento”, lo zero appunto, è ben difficile ridurlo ancora. Ecco allora che la banca centrale è costretta ad abbandonare lo strumento abituale, cioè il prezzo del denaro (leggasi tasso d’interesse), e comincia a usare la quantità di moneta. È quello che è successo nell’area euro e prima ancora in altri paesi, come Stati Uniti e Inghilterra. La Bce ha raggiunto il pavimento nel settembre del 2014, quando ha portato il tasso d’interesse sulle sue operazioni di prestito alle banche al livello di 5 centesimi, cioè pressoché nullo. Non è bastato a risollevare una economia nel complesso assai debole, seppure con qualche differenza tra un paese e l’altro. La Bce ha quindi avviato all’inizio di quest’anno un massiccio programma di acquisto di obbligazioni, prevalentemente titoli di Stato. Alla Bce li vendono le banche, che ricevono in cambio moneta, nella forma di depositi presso la Bce stessa. E così i depositi che le banche detengono presso la Bce aumentano. Perché operazioni simili dovrebbero giovare all’economia?
L’intento della Bce è di indurre le banche ad aumentare la quantità di prestiti alle imprese e alle famiglie. Trovandosi inondate di soldi, dovrebbero essere spinte a prestarne almeno una parte al resto dell’economia. È vero però che prestare soldi è un’attività particolarmente rischiosa in un periodo di crisi economica: la prospettiva di non riaverli più indietro è più concreta che in altri tempi. Quindi, una banca può scegliere di “parcheggiare” i soldi ricevuti in attesa di tempi migliori, tenendoli presso la Bce stessa o investendoli in titoli a breve termine (come i Bot). Ciò spiega perché, da quando la Bce ha iniziato il Qe, l’offerta di prestiti da parte delle banche sia migliorata, ma non in misura tale da imprimere una svolta all’economia. L’altro canale attraverso il quale il Qe sostiene l’economia è il tasso di cambio. Coloro che si trovano in mano tutta questa moneta immessa nel sistema, che siano banche o altri soggetti, decidono di investirne una parte in valuta estera, che comprano vendendo euro. Facendo così, fanno diminuire il valore dell’euro nei confronti delle altre valute. Da un anno a questa parte, l’euro si è svalutato del 12 per cento nei confronti del dollaro. Parte della svalutazione è avvenuta prima che il Qe avesse inizio, grazie al classico effetto creato dalle aspettative. Prevedendo l’introduzione del Qe e la conseguente svalutazione dell’euro, qualcuno ha pensato bene di comprare in anticipo valuta estera, destinata a rivalutarsi rispetto all’euro; il risultato è stato una immediata svalutazione della moneta europea. A sua volta, la svalutazione rende più convenienti le nostre esportazioni verso gli altri paesi: se un americano paga di meno un euro, vuole dire che paga di meno le merci prodotte da noi, il cui prezzo è fissato in euro. Ma serve davvero il Qe? Guardando alla debolezza della ripresa in atto, sarebbe fin troppo facile criticare la Bce dicendo che serve a poco. In realtà, il 2015 è il primo anno, dopo molti di crisi, nel corso del quale le previsioni di crescita vengono periodicamente riviste al rialzo, seppure di poco, anziché al ribasso. Va anche detto che la Bce è un po’ isolata, visto che i governi europei si sono vincolati a una politica fiscale restrittiva, al fine di perseguire il pareggio di bilancio: è il risultato del fiscal compact. In presenza di tagli di spesa pubblica o di aumenti di tasse, la politica monetaria può fare poco per fare ripartire l’economia. Il rifiuto della Germania, che ha un bilancio pubblico più solido di altri, di realizzare una politica fiscale espansiva, costringe altri paesi con alto debito ad aumentare il loro disavanzo. L’Italia sta facendo così con la legge di bilancio per il 2016. In ogni caso, la Bce sembra intenzionata ad aumentare la sua potenza di fuoco. Il piano già avviato prevede acquisti di titoli per 60 miliardi al mese, dal febbraio 2015 al settembre 2016, per un totale di 1.140 miliardi. È un programma aggressivo, destinato a fare aumentare la dimensione del bilancio della Bce di circa il 50 per cento.(…). …Mario Draghi hanno lasciato intendere che la Bce ne sta studiando un ampliamento, nella sua dimensione e nella sua durata. (…). L’ampliamento del Qe potrebbe essere accompagnato da una riduzione del tasso d’interesse sui depositi che le banche tengono presso la Bce. In realtà, questi sono già sotto zero, seppure di poco (20 centesimi): per un verso, quindi, la Bce ha già rotto il tabù dei tassi d’interesse negativi. Potrebbe decidere di andare oltre, nell’intento di indurre le banche a impiegare i loro soldi in prestiti e in valuta estera (anziché “parcheggiarli”), favorendo così una ulteriore svalutazione dell’euro. Il fenomeno dei tassi d’interesse negativi, impensabile fino a poco tempo fa, è quindi destinato ad ampliarsi. Sono i paradossi di una politica monetaria lasciata sola.

Da “Perché il Ttip è un attacco alle democrazie europee” di Slavoj Zizek, sul quotidiano la Repubblica del 19 di ottobre 2015: Accade che talvolta le facce diventino simboli, ma non della forte personalità del loro proprietario, bensì delle forze anonime che stanno dietro di loro. Negli ultimi tempi, il Ttip (Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti) ha acquisito un nuovo simbolo, il glaciale volto di Cecilia Malmström, commissaria al Commercio dell’Ue. A un giornalista che le chiedeva come riuscisse a continuare a promuovere il Ttip a fronte dell’enorme opposizione dell’opinione pubblica, senza alcun pudore ha risposto: «Il mandato non mi è stato conferito dal popolo europeo». Paradossalmente, il suo cognome è una variante di “maelstrom”, che in inglese significa vortice… Lo scenario generale dell’impatto sociale del Ttip è chiaro a sufficienza ed equivale a niente di meno di un assalto selvaggio alla democrazia. Lo si evince più chiaramente che mai nel caso delle cosiddette “Risoluzioni delle controversie tra investitori e Stato” (Isds) che autorizzano le aziende a querelare i governi nel caso in cui le loro politiche determinassero una perdita dei loro guadagni. Ciò significa che società multinazionali non elette possono imporre le loro politiche a governi democraticamente eletti. Questi tipi di risoluzione sono già in atto in alcuni accordi commerciali bilaterali e possiamo ben vedere come funzionano. La società energetica svedese Vattenfall ha citato per svariati miliardi di dollari il governo tedesco dopo che ha deciso di eliminare gradualmente le centrali nucleari dopo il disastro di Fukushima: una politica di salute pubblica approvata da un governo eletto con un processo democratico è messa a rischio da un colosso energetico a causa di una possibile perdita di introiti. Ma lasciamo perdere per un momento il quadro generale e cerchiamo di concentrare la nostra attenzione su un interrogativo più specifico: che cosa comporterà il Ttip per la produzione culturale europea? In Una discesa nel Maelström , racconto del 1841 di Edgan Allan Poe, un sopravvissuto a un naufragio narra in che modo avesse evitato di essere risucchiato da un immenso vortice. Si era reso conto che quanto più grandi erano i corpi tanto prima erano risucchiati e che gli oggetti sferici erano attratti dal vortice con la massima rapidità. Di conseguenza, abbandonata la nave, si era aggrappato a un barile cilindrico e aveva atteso di essere soccorso. I sostenitori della cosiddetta “eccezione culturale” hanno forse in mente qualcosa di simile? Stanno forse pensando di lasciare che le grandi aziende si dibattano nel vortice del mercato globale, cercando però — se non altro — di salvare alcuni prodotti culturali secondari e marginali? E come? È semplice: esonerando i prodotti culturali dalle regole del libero mercato, autorizzando gli stati a concedere sussidi alla loro produzione artistica (con aiuti statali, tasse ridotte, e così via), anche se ciò equivale di fatto a una “concorrenza sleale” nei confronti degli altri paesi. La Francia, una per tutte, insiste che questo è l’unico modo per il suo cinema nazionale di sopravvivere all’assalto furioso dei film di Hollywood campioni di incasso. Un tale sistema può funzionare? Se è vero che misure di questo tipo possono avere un limitato ruolo positivo, tuttavia io intravedo due problemi. Il primo è che, nell’odierno capitalismo globale, la cultura non è più soltanto un’eccezione, una sorta di fragile sovrastruttura che si erge al di sopra dell’infrastruttura economica “reale”: essa è sempre più spesso una componente fondamentale della nostra economia “reale” mainstream. (…). Il secondo problema è questo: anche se l’Europa avesse successo nell’imporre al Ttip “eccezioni culturali”, che tipo d’Europa sopravvivrà al dominio del Ttip? Non diventerà poco alla volta ciò che l’Antica Grecia diventò per la Roma imperiale, un luogo prediletto da turisti americani e cinesi, la meta del nostalgico turismo culturale, senza più alcuna importanza effettiva? Si rendono indispensabili misure più radicali. Invece di eccezioni culturali, ci occorrono eccezioni economiche. Ma potremo coprirne i costi? Le nostri crescenti spese militari e il nostro sostegno economico a istituzioni scientifiche straordinarie come il Cern dimostrano che possiamo permetterci investimenti rilevanti senza fiaccare in alcun modo la nostra economia.

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