"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

martedì 10 novembre 2015

Oltrelenews. 68 “Luciano Gallino. Piccola antologia”.



Da “La differenza visibile tra destra e sinistra” di Luciano Gallino, sul quotidiano la Repubblica del 29 di ottobre dell’anno 2014: (…). Vi sono due condizioni che fanno, oggi come ieri, la differenza tra destra e sinistra. Una è la scelta della parte sociale da cui stare: in politica, nell’economia, nella cultura. Il che significa o sostenere che le disuguaglianze non hanno alcun peso nei rapporti sociali, o magari negare che esistano; oppure darvi il peso che moralmente e politicamente meritano, e adoperarsi per ridurle. L’altra condizione è la capacità di capire in che direzione si sta evolvendo la situazione economica e sociale del momento. Perché se non lo capisce uno sta uscendo, senza rendersene conto, dal corso della storia. (…). Alla manifestazione di Roma (una manifestazione politica a piazza San Giovanni che si contrapponeva alla “Leopolda” di Firenze n.d.r.) non c’erano (o erano poche) le persone che dovevano scegliere se stare o no dalla parte dei deboli, degli svantaggiati, delle classi inferiori di reddito, di quelli il cui destino dipende sempre da qualcun altro. Erano loro stessi, la massa dei partecipanti, a essere deboli, svantaggiati, poveri, perennemente in balia del parere e della volontà di qualcun altro. Collocati, in altre parole, al fondo delle classifiche delle disuguaglianze di reddito, di ricchezza, di potere politico ed economico; disuguaglianze il cui scandaloso aumento negli ultimi vent’anni, nel nostro paese come in altri, accompagnato dalla scomparsa del tema stesso nel discorso delle socialdemocrazie, ha fatto parlare più di uno studioso di nuovo feudalesimo. Invece nel garage semibuio di Firenze c’erano soprattutto persone a cui l’idea di stare dalla parte dei più deboli e magari di dichiararlo appariva semplicemente repellente, o quanto meno fastidiosa, non meno che mettersi a parlare “in un mondo che è cambiato” di lotta alle disuguaglianze. Al massimo i più deboli si possono aiutare a soffrire di meno, non certo a diventare meno deboli, o a salire un gradino nella scala delle disuguaglianze, grazie a un sindacato o un partito. Per non dire che la parola “partito” significa appunto “aver preso parte” — idea demolita a Firenze dall’idea di un partito-nazione (ma l’ha detto qualcuno a Renzi che la parola “nazione” o “nazionale” figuravano tempo addietro nel nome di un paio di partiti che molti guai procurarono all’Italia e all’Europa?). (…). Per i primi era evidente che quello che sta succedendo da parecchi anni è una “guerra dell’austerità”, per usare la dizione di un noto economista americano. Una guerra di classe in cui la destra si prefigge di distruggere le conquiste sociali degli anni 60 e 70, che furono un tentativo riuscito di sottoporre il capitalismo a una ragionevole dose di controllo democratico. Le misure imposte da Bruxelles, di cui il governo Renzi, a parte qualche battuta, è fedele esecutore, sono precisamente espressione di tale guerra o conflitto di classe, nella quale le classi dominanti hanno negli ultimi decenni conseguito una grande vittoria. Equivalente a una dolorosa sconfitta per i manifestanti romani. A Firenze l’interpretazione predominante della crisi è stata quella canonica delle destre europee: lo stato ha un debito troppo alto, dovuto all’eccesso di spesa; il problema è il costo eccessivo del lavoro; per rilanciare la crescita bisogna ridurre le tasse alle imprese; i dettati di Bruxelles sono onerosi, ma bisogna pur mantenere gli impegni, ecc. Ciascuno di questi slogan è falso quanto dannoso — e si noti che a dirlo sono ormai dozzine di economisti, compresi perfino alcuni esponenti delle dottrine neoliberali. A parte l’interpretazione ortodossa della crisi, che non sta in piedi, chi vi aderisce non si rende conto che ci si avvicina a un momento in cui o si modificano i trattati europei e si adottano politiche economiche opposte a quelle del governo Renzi (che sono poi quelle degli ultimi tre o quattro governi, prescritte dalla Troika e da noi passivamente messe in atto), o ci si avvia ad un lungo periodo di grave recessione e di rapporti intereuropei sempre più difficili, nonché dagli esiti imprevedibili. (…).

Da “Il danno del denaro creato dalle banche” di Luciano Gallino, sul quotidiano la Repubblica dell’11 di maggio dell’anno 2014: (…). Da anni vari gruppi di studiosi e associazioni in Usa come in Europa sostengono che se non si limita il potere delle banche private di creare denaro dal nulla la prossima crisi potrebbe essere anche più devastante della precedente. Il fatto nuovo è che a dirlo è il maggior quotidiano economico del mondo, da sempre pilastro (bisogna ammetterlo: con dosi di pensiero critico che di rado si ritrovano nei suoi confratelli) della cultura economica neoliberale. (…). Quando Mr. Jones o la Sig. ra Bianchi si vedono accreditare 100.000 sterline o euro sul proprio conto di deposito, grazie ai quali stipuleranno un mutuo, non un solo euro è stato tolto da altri depositi o dal capitale della banca. La somma è stata creata da un contabile con pochi tocchi sulla tastiera. Specifica Wolf: “Le banche creano depositi come sottoprodotto dei prestiti che concedono.” (…). Tanto per cominciare: “In pratica la creazione di denaro differisce da vari malintesi popolari: le banche non agiscono semplicemente da intermediari, dando in prestito i depositi effettuati presso di loro… Ogni qualvolta una banca fa un prestito, crea simultaneamente un corrispondente deposito sul conto del mutuatario, creando in tal modo nuovo denaro.” (Bank of England, “Quarterly Bulletin”, n. 1, 2014). C’è da sperare che gli economisti ortodossi i quali insegnano ancora ai loro studenti che le banche possono prestare soltanto il denaro che tengono in cassa, mostrando così di ignorare nel loro insegnamento il ruolo fondamentale che svolge nel sistema economico la creazione privata di denaro, trovino modo di dare una scorsa, oltre che all’articolo in parola, pure al bollettino della BoE. Il (…) chiodo su cui batte Wolf è il pesante ruolo negativo che la suddetta creazione di denaro svolge a danno dell’intera economia. “Il nostro sistema finanziario è palesemente instabile perché lo stato prima gli ha concesso di creare quasi tutto il denaro che circola nell’economia, poi si è visto costretto a sostenerlo nello svolgimento di tale funzione. Questo è un buco gigantesco nel cuore delle nostre economie di mercato.” L’autore avrebbe potuto aggiungere che oltre ai trilioni di dollari, sterline ed euro creati dal nulla dalle banche sotto forma di depositi, circolano nel mondo, al di fuori delle piattaforme regolamentate, centinaia di trilioni di derivati dalle innumeri denominazioni (ABCP, ABS, CDO, CLO, CDS, MBS…), pure essi creati dalle banche private. Poiché questi titoli hanno un valore di mercato, ciascuno può venire istantaneamente commutato in denaro contante, oppure versato come collaterale per garantire un prestito, o altro. Grosso modo, si tratta di una massa di denaro potenziale – potenziale, va notato, come la nitroglicerina – che gira per il mondo in quantità decine di volte superiori alle transazioni aventi per oggetto beni o servizi reali. (…). Il potere di creare denaro dovrebbe essere riservato esclusivamente allo stato. La funzione delle banche dovrebbe venire circoscritta alla intermediazione tra risparmiatori e investitori o mutuatari, alla effettuazione dei flussi di pagamento, e alla custodia dei depositi. Per appoggiare la sua proposta, che rientra nel quadro delle riforme le quali postulano un’attività delle banche “ristretta” o “limitata”, Wolf si richiama brevemente a studi degli anni 30 quale l’illustre Piano di Chicago. Esso prevedeva che una banca dovrebbe sempre disporre del 100 per cento di riserve per ogni soldo che ha in deposito e che presta a qualcuno, il che porrebbe definitivamente fine al suo potere di creare denaro dal nulla. Un piano rivisitato di recente da ricercatori del Fmi, i quali arrivano a concludere che esso potrebbe funzionare bene anche oggi. (…). …una riforma finanziaria la quale in qualche modo riduca drasticamente il potere delle banche private di creare denaro è la maggiore riforma politica di cui essi dovrebbero occuparsi per salvare l’Unione e i propri stessi paesi. Non importa se oggi questi appaiano far parte del gruppo dei più forti, oppure di quello dei più deboli. Al confronto le riforme bancarie di cui si parla nella Commissione (il rapporto Liikanen), nell’Ecofin (l’Unione Bancaria), in alcuni parlamenti (Regno Unito, Francia, Germania), sono acqua fresca. Soltanto una forte riduzione del potere “creativo” delle banche può fare uscire i governi Ue dal ruolo di burattini del potere finanziario che attualmente svolgono. Salvo che, naturalmente, in tale ruolo ci si trovino bene, per scelta o per incompetenza. Al riguardo, è ancora Martin Wolf che avverte: “Quando arriva la prossima crisi – e di sicuro arriverà – abbiamo bisogno di essere pronti.”

Da “La lezione di Atene per l’Italia” di Luciano Gallino, sul quotidiano la Repubblica del 26 di giugno 2015: Pochi giorni fa il Parlamento greco ha diffuso un rapporto del Comitato per la Verità sul Debito pubblico. Le conclusioni sono che per il modo in cui la Troika ha influito sul suo andamento, e per i disastrosi effetti che le politiche economiche e sociali da essa imposte hanno avuto sulla popolazione, il debito pubblico della Grecia è illegale, illegittimo e odioso. Pertanto il Paese avrebbe il diritto di non pagarlo. Il rapporto greco è fitto di riferimenti alle leggi e al diritto internazionali. E contiene, in modo abbastanza evidente, una lezione per l'Italia. Il rapporto distingue con cura tra illegalità, illegittimità e odiosità di un debito pubblico. Un debito è illegale se il prestito contravviene alle appropriate procedure previste dalle leggi esistenti. È illegittimo quando le condizioni sotto le quali viene concesso il prestito includono prescrizioni nei confronti del debitore che violano le leggi nazionali o i diritti umani tutelati da leggi internazionali. Infine è odioso quando il prestatore sapeva o avrebbe dovuto sapere che il prestito era stato concesso senza scrupoli, da cui sarebbe seguita la negazione alla popolazione interessata di fondamentali diritti civili, politici, sociali e culturali. Il Fmi è responsabile di tutt'e tre le infrazioni perché le condizioni imposte alla Grecia in relazione ai suoi prestiti hanno gravemente peggiorato le sue condizioni economiche e il suo sistema di protezione sociale. Da vari documenti interni del Fondo stesso, risalenti al periodo 2010-2012, appare evidente che perfino il suo staff, una parte consistente del consiglio direttivo formato da rappresentanti di vari paesi, e non pochi dirigenti sapevano benissimo quali sarebbero state le conseguenze negative a danno della popolazione greca. La Bce non è stata da meno, contribuendo ai programmi di aggiustamento macroeconomici della Troika e insistendo in special modo sulla de-regolazione del mercato del lavoro — violando in tal modo anche gli articoli del Trattato Ue che stabiliscono la sua indipendenza dagli stati membri. Con le sue manovre relative al commercio dei titoli sul mercato secondario ha reso possibile alle banche private greche di scaricare dal bilancio gran parte dei titoli di stato, peggiorando le condizioni del bilancio pubblico. Quanto al fondo Efsf, sebbene gestisca fondi pubblici europei, è stato costituito come società privata cui non si applicano le leggi Ue, persegue unicamente obbiettivi finanziari, e sapeva bene di imporre con i suoi prestiti costi abusivi alla Grecia, senza che essi recassero alcun beneficio al paese. Pertanto molte azioni svolte da Bce e Efsf nei confronti della Grecia nel periodo 2010-2015 sono classificabili come illegali, illegittime e odiose. (…).

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