"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 13 novembre 2015

Lalinguabatte. 4 “Ommini, omminicchi e piritolli”.



In un mio “post scriptum” al “pezzo” – di già passato nel layout - di Pietrangelo Buttafuoco che ha per titolo “L’Italia, l’italiano e i sentimenti al tempo nefasto del piritollo”, “pezzo” pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 19 di ottobre ultimo scorso, riportavo una precisazione filologica, fortunosamente reperita sul quotidiano “La Sicilia” del 10 di novembre 2014, a proposito dell’inconsueto, poco diffuso e quindi poco conosciuto lemma “piritollo”. Da quella dotta precisazione filologica sono venuto a conoscenza dell’esaustivo significato di “piritollo” che trascrivo: (…). «Vorrei smentire tutte le piritollate che circolano sulla parola piritollo. La parola piritollo è una cosa seria: (…) deriva addirittura dal greco “piritòllomai” che significava “camminare con i gomiti”, proprio dei bambini che gattonano. Quindi in senso esteso, come la filologia ci suggerisce, potremmo dire che “piritòllomai” significa sgomitare. Nel corso dei secoli questa parola ha trovato nuove accezioni e oggi, volendo fare una sintesi, significa che il piritollo è quello col ditino alzato, l’uomo di sinistra che cerca uno sfondamento sia a destra che a sinistra. Quello che si vuole far notare. Quindi, se vogliamo usare i canoni della retorica, è quello col ditino alzato con scappellamento sia a destra, sia a sinistra... Tutto chiaro?». (…). È questa l’insperata precisazione filologica che mi dischiude orizzonti lessicali nuovi ed imprevisti. E sì che leggendo Buttafuoco avevo prontamente fatto ricorso a persona di madre lingua di quella meravigliosa, quanto sfortunatissima terra, che è la Sicilia. Poiché, essendo le mie frequentazioni di quella assolata terra risalenti oramai ad un buon quarantennio ed oltre, non mi ero mai imbattuto nel termine “piritollo” magistralmente riportato alla luce dalla sagace scrittura del Buttafuoco, anch’egli fortunato figlio di quella antica madre lingua. A dire della persona da me prontamente interrogata “piritollo” veniva abitualmente utilizzato per indicare l’infante simpatico e svelto assai nonché il preadolescente furbo di sguardo e di azione e dallo sguardo sprizzante quell’intelligenza propria e pronta degli indigeni di quella solatia terra. Dopodiché mi sono imbattuto ieri nella lettura di “Leccare è un istinto primordiale” di Nanni Delbecchi pubblicato su “il Fatto Quotidiano” alla stessa data. Non volendo fare una impropria forzatura lessicale mi pare che quel “piritollo” del Buttafuoco possa avere una estensione del significato che ne includa anche di quel “leccare” così argutamente e dottamente rappresentato dal Delbecchi. E questa estensione del significato di “piritollo” viene ad essere giustificata dalla storia patria e suffragata da ben importanti scrittori ed opinionisti di tutte le epoche e di tutti gli orientamenti. Tanto per citare ed avere un riferimento a noi contemporaneo, mi soccorre nell’impresa quanto Michele Serra ha scritto sui “piritollesi” (?) del bel paese in quell’avvincente Suo scritto che ha per titolo “Confessioni” pubblicato sul quotidiano la Repubblica di immemorabile data:
(…). Questo paese pullula da sempre di spiriti liberi che praticano nella più facile indisciplina le loro personali secessioni da questo e quel potere, che modificano statuti e convenzioni solo nello scenario platonico del loro “carattere”. Di questi caratteristi è pieno ogni bar e ogni rione d’Italia, dove da sempre nessuno è disposto a “farsi fregare” da una qualsiasi costruzione normativa o culturale o ideale, e pare vile e debole acconciarsi a un qualche ordine. Gli italiani hanno quasi tutti facce da fuggiaschi. I loro sguardi intelligenti, la loro complice mimica paiono vibrare di un lunghissimo scampato pericolo, braccati per generazioni da ogni sorta di autorità e sempre imboscati. Logico che questa sola qualità largamente nazionale – sottrarsi a tutto – sia divenuta ragione di ostinata identità. E il peggio è che questo vizio atavico è in odore di virtù: lo si capisce dai sorrisi che si scambiano, gli italiani, quando si riconoscono nelle rispettive incapacità di compromettersi fino in fondo con un sistema di pensiero appena più complicato e arduo del loro così spontaneo adeguarsi alla vita. Sempre pronti a promuovere questa speciale inettitudine al rango nobile della ribellione come se avessero sperimentato fino in fondo, e quindi ripudiato, quei rischi intellettuali che invece non si sono mai sognati di affrontare. (…). Ora, sarà come sarà, ma sarebbe interessante ed importante una ricerca ben fatta ed un rigoroso dibattito a proposito del “piritollese” come esemplare socio-politico vincente, ma in attesa che tutto ciò avvenga sono convinto che “piritollo” possa avere – senza ombra di dubbio alcuno - un’estensione di significato che includa anche quelle valenze proprie del “leccare” che il Delbecchi ha illustrato molto sapientemente nel Suo scritto. Poiché quelle valenze, seppur universali è pur vero, e di tutti i tempi e di tutte le latitudini, è dimostrato che trovino nel bel paese, ed in questo frangente storico miserrimo, la loro massima espressività sociale ed una vitalità che era stata nel passato più prossimo come appannata, scalfita. Andiamo allora a leggere il Delbecchi. Ha scritto sulla mirabile arte del “leccare”: (…). Esiste una relazione diretta tra evoluzione della specie e rasposità della lingua. Non serve averla più lunga, altrimenti discenderemmo dai formichieri; serve saperla usare, come ci dimostrano i nostri progenitori, gli scimpanzé. La loro attività più frequente è il grooming, ossia la pulizia reciproca, con regole che presiedono al sistema sociale: “Tutti puliscono il maschio alfa, il re del branco, ma questi non spulcia mai nessuno”. E se leccare è un istinto primordiale, anche essere leccati non è da meno: “Quando funziona a dovere la piaggeria rende più felici la persona adulata e l’adulatore”. Per questo il leccaculismo non ha mai smesso di evolversi. Nelle civiltà arcaiche si tendeva a leccare più l’istituzione che l’individuo, poi i rapporti si invertono e nel Rinascimento la leccata di corte diventa un’arte teorizzata Baldassar Castiglione; (…). Adulazione e seduzione sono sorelle gemelle, tanto è vero che, assicura Giacomo Casanova, per sedurre si è sempre avuto bisogno di adulare, purché nel modo giusto: “Lodate i belli per la loro intelligenza e gli intelligenti per la loro bellezza”. E non bisogna aver paura di esagerare: “Non c’è nessuna donna al mondo che non apprezzi sopra ogni altra cosa al mondo gli elogi maschili, o non pensi che ogni parola detta su di lei non sia un elogio”, scrive Andrea Cappellano nel De amore. Un mito da sfatare è che più un individuo sale nella scala sociale e più diventa immune all’adulazione. In realtà è vero il contrario: poiché il successo aumenta l’autostima il vincente tende a interpretare gli elogi “non come lusinghe ma come dimostrazione di intelligenza da parte dell’autore: Com’è sagace il giovane Smith a capire il mio genio”. Di conseguenza, mai farsi troppi scrupoli di sincerità e nemmeno di misura di fronte alle natiche di un potente, al massimo una bella leccata al leccaculismo altrui, con un “Così fan tutti!”. Solo il vero amico potrà voltargli le spalle, in modo da farsi fuori da solo. Ma il leccaculo di livello no, gli luciderà gli stivali che comandi in modo saggio o dissennato (purché comandi), in presenza come in assenza (le leccate indirette sono le più raffinate), nella buona e nella cattiva sorte (non si sa mai, potrebbe sempre tornare in auge). E adesso? La situazione non è mai stata così complessa, la mobilità sociale è aumentata, si vive sempre più in funzione dell’opinione altrui ma al tempo stesso il relativismo impera e i potenti stessi sono delle banderuole al vento. Come dice Corrado Guzzanti, “non c’è nulla di più difficile che leccare culi in movimento”, (…). Eppure una via d’uscita c’è: leccare il popolo, che a differenza di quanto avveniva nell’antichità “in democrazia vuole e ha bisogno di essere elogiato, e l’adulazione è spesso il mezzo con cui i governi democratici ottengono il consenso”. A esserne capaci, il populismo è l’uovo di Colombo, massimo risultato col minimo sforzo, non siamo noi a strisciare, è “la gente” a ricambiare il nostro amore nella sua infinita saggezza. (…). …“Appellarsi alla virtù e alla saggezza della nazione; addolcire verità troppo sgradevoli; farsi passare per uno che ascolta molto attentamente: indicare col dito un amico fra il pubblico” (citazione dell’Autore tratta da “Il manuale del leccaculo” di Richard Stengel, Fazi Editore (2015), pagg. 381, € 14.50 n.d.r.). (…).

Nessun commento:

Posta un commento