"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

domenica 13 settembre 2015

Oltrelenews. 62 “La Cancelliera”.


Da “La doppiezza di Angela Merkel” di Barbara Spinelli, sul quotidiano la Repubblica del 26 di settembre dell’anno 2013: (…). Ulrich Beck ha dato un nome a questa strategia che esalta l’insularità nazionale, che è del tutto priva di visione europea, e ha tramutato l’Unione in disunione: l’ha chiamata modello Merkiavelli. Il Principe deve scegliere: o farsi amare o farsi temere. La vincitrice delle elezioni si sdoppia: è amata in casa, e fuori incute paura. Se in questi anni ha eretto l’esitazione a norma, se un giorno apre all’unione federale e il giorno dopo s’avventa contro il rafforzamento del bilancio europeo, la mutualizzazione dei debiti, l’unione bancaria, è per meglio acquietare i propri elettori. «L’esitazione si fa strumento machiavellico di coercizione», anche se ogni volta lo sfascio dell’Europa è evitato in extremis, e ad alto prezzo. Beck è convinto che alla lunga la strategia non reggerà. Verrà il momento di decisioni più ardite, e la Merkel oserà l’integrazione europea che non ha davvero tentato. Non più allarmata dal voto, aspirerà a una grandezza meno provinciale: vorrà entrare nei libri di storia come vi sono entrati Brandt, Schmidt, Kohl. Non sarà disturbata oltremisura dal nuovo partito anti-europeo (Alternativa per la Germania), che farà sentire il suo peso ma non è ancora in Parlamento. Desidererà esser ricordata per la sua qualità di guida che accomuna gli europei, invece di spaventarli, soggiogarli, separarli. (...). La Germania è diventata troppo potente – conclude Beck – per permettersi il lusso dell’indecisione, dell’inattività. Né lei né i socialdemocratici possono continuare a sonnecchiare sull’orlo del vulcano, come la bella addormentata descritta da Jürgen Habermas. Per svegliarsi dal sonno non basta tuttavia liberarsi del machiavellismo: che è solo un metodo, utile a simulare l’assenza di ideologie. L’ideologia c’è, invece: la logica del recinto immunizzante presuppone la certezza di possedere una scienza infusa, un’ortodossia economica non confutabile, e di quest’ortodossia si nutre il neo-nazionalismo tedesco. Non è più l’aspirazione a un impero territoriale, ed è vero che Berlino non desidera restare sola al comando, come alcuni sostengono. È il nazionalismo di ricette economiche presentate come toccasana infallibili, e che può essere riassunto così: che ognuno «faccia i suoi compiti a casa» – dietro le rispettive palizzate, costi quel che costi – e solo dopo saranno possibili la cooperazione, la solidarietà, l’Europa politica di cui ci sarebbe subito bisogno. (…). La cancelliera non vuole comandare, ma soverchiatore è il dogma secondo cui l’ordine mondiale regnerà a condizione che ogni Stato faccia prima ordine economico in casa. (…). Ma il nazionalismo può anche indossare le vesti di una democrazia nazionale osservata con puntiglio: ma nell’isolamento, indifferente a quel che pensano e vivono le altre democrazie dell’Unione. (…). I tedeschi cercano rifugio nell’ortodossia nazional-liberista non perché felici, ma perché impauriti. Vogliono a ogni costo stabilità. (…). Non tutti i tedeschi in verità, perché c’è povertà anche in Germania e ben 7 milioni di precari lavorano per salari oscillanti fra 8 e 5 euro l’ora (meno dal salario minimo in Spagna). Ma i più si sentono confortati da un leader che non sembra chiedere granché ai concittadini, anche quando in realtà chiede. Bisogna che la crisi tocchi la pelle del paese, perché ci sia risveglio. (…). Ma la democrazia non si esaurisce tutta nella stabilità, nella continuità. Priva come la Merkel di forti visioni, la socialdemocrazia è rimasta intrappolata nello spirito dei tempi: «Non c’è alternativa alle cose come stanno». È un altro recinto da smantellare, se con la Germania crediamo non alle cose come stanno, ma alla possibilità di un’Europa diversa.

Da “Migrazioni” G.B. Zorzoli, sulla rivista on-line “alfabeta2” dell’8 di settembre 2015: Qualche numero aiuta a meglio interpretare le reazioni europee di fronte a quella che viene comunemente definita un’ondata migratoria; immagine, questa, dilatabile a piacere, fino a configurare il rischio di uno tsunami in grado di distruggere tutto sul suo percorso (è lo scenario, con parole più rozze e volgari, evocato da Salvini). La popolazione dell’Unione europea rasenta i 510 milioni: come numero di abitanti siamo terzi al mondo, dopo Cina e India. Supponiamo che in qualche anno gli immigrati accolti arrivino a 5 milioni: rappresenterebbero circa l’1% della popolazione già residente e, qualora ne accettassimo il doppio, si tratterebbe comunque di un numero agevolmente “digeribile” da un’area geografica ed economica come la nostra. In realtà, siamo in presenza di un’onda sulla quale un buon surfista riesce a praticare lo sport preferito senza mettere a repentaglio la propria vita. Solo che in Europa non tutti sono buoni surfisti. Le reazioni del governo ungherese che, come ogni fascismo, non rifugge dalle peggiori turpitudini, e quelle, solo leggermente più soft, delle autorità ceche ci colpiscono come un pugno allo stomaco, anche perché si tratta di paesi che dalla loro storia recente avrebbero dovuto imparare la differenza fra una vera invasione e l’arrivo di umiliati ed offesi, armati soltanto dal desiderio di trovare un luogo dove sia possibile vivere. Tuttavia, l’atteggiamento degli altri stati orientali, membri dell’UE, non è sostanzialmente diverso. Non si parla di loro semplicemente perché finora il flusso migratorio li ha toccati solo marginalmente. Sulle posizioni assunte dai paesi dell’est pesano indubbiamente i numeri delle loro economie (basta una rapida occhiata ai dati di Eurostat per rendersene conto), ma ancor più la non ancora esaurita reazione di rigetto dei decenni di retorica “socialista” e vuoto di progressi reali, che si manifesta in forme di egoismo individuale e collettivo senza se e senza ma. Altri numeri spiegano invece la posizione assunta dalla Merkel, dove di sorprendente c’è soltanto l’insolita rapidità con cui è stata presa. La Germania è il paese al mondo con la più bassa natalità: per ogni donna vengono alla luce 1,55 bambini, mentre, per conservare l’equilibrio tenendo conto dei casi di sterilità, dovrebbero essere 2,2. Oggi nel paese vivono 46 milioni di individui in età lavorativa. Senza immigrazione, in trent’anni scenderebbero a 29 (37% in meno): una situazione palesemente insostenibile, pur senza mettere nel conto anche i posti di lavoro tendenzialmente rifiutati dai nativi tedeschi. La Germania ha dunque bisogno di una quota sostenuta di immigrati, preferibilmente con professionalità e basi culturali che ne facilitino l’integrazione economica e civile. La Siria risponde a questi requisiti. Per decenni è stato un paese con una notevole stabilità politica ed economica, che ha consentito lo sviluppo di un ceto medio mediamente più istruito, più agiato, più colto e laico di quello presente negli altri paesi di provenienza dei migranti. Inoltre, la parte più povera della popolazione siriana ha potuto trovare rifugio in stati limitrofi a rischio relativamente contenuto, in primo luogo in Libano. Parliamo di 2 milioni di bambini, donne, uomini che, non avendo i soldi per pagare i servizi dei trafficanti di uomini e disponendo di alternative “sopportabili” vicino alla porta di casa, hanno per lo più evitato di percorrere le impervie vie per procurarseli. La selezione economico-sociale ha quindi notevolmente ridotto la presenza fra i migranti siriani di persone non rispondenti ai requisiti richiesti e la Merkel ha colto la palla al volo, dichiarandosi pronta a concedere asilo politico a tutti i siriani che ne faranno richiesta; per di più incassando un notevole dividendo politico. È bastato l’annuncio perché partisse un’operazione mediatica che ha sostituito il volto di una Germania arcigna ed egoista con quello della nazione portabandiera della solidarietà internazionale nei confronti di un’umanità in fuga dalla guerra. Gli altri paesi dell’UE sono stati presi in contropiede. Chiamata, come ormai accade da anni, a coprire il ruolo di finto partner, la Francia ha ringraziato, capovolgendo senza titubanze la posizione assunta fino a poche ore prima; l’Italia si è subito allineata. Anche il Regno Unito di Cameron si è visto costretto a modificare leggermente il proprio atteggiamento, con la promessa di ospitare alcune migliaia di migranti. Sul banco degli accusati sono finiti i paesi dell’est, minacciati di sanzioni se non si dimostreranno abbastanza “generosi”. Un Taillerand redivivo giudicherebbe la decisione della Merkel molto meglio di un atto umanitario: una scelta politica azzeccata.

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