"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 11 luglio 2015

Oltrelenews. 51 “Dossier Europa”.



Da “L’identità greca contro il vuoto di questa Europa” di Oliviero Beha, su “il Fatto Quotidiano” dell’8 di luglio 2015: (…). …il senso di appartenenza a se stessi e alla propria storia: che cosa ci trovate di lontanamente simile a questo nelle vicende dell’Unione Europea di cui parliamo tutti i giorni? Per tacere di democrazia dal basso, di quell’Europa dei popoli e non delle banche e dei mercati della cui latitanza si lamentano tutte le persone di buona volontà, facciano il Papa o altro. C’è modo anche di parlare di noi, i prossimi della lista nella scia della debacle finanziaria greca, che ahinoi non dipende dai “no” di domenica (12 di luglio 2015, summit dei leader dei 28 stati dell’unione europea n.d.r.) ma da quindici anni di “sì” sbagliati ed equivoci. Dove siamo noi, dove ci collochiamo, qual’è la nostra identità, chi ce la dà? Assodata la pochezza quasi commovente di Renzi, che in mancanza di qualsivoglia statura politica bene fa a travestirsi da trainer di immagine e comunicazione con i tapini del Pd che gli sono rimasti, un giro d’orizzonte nelle nostre contrade ci dice che anche gli italiani, o soprattutto gli italiani nel contesto europeo, hanno smarrito qualunque particella d’identità, avendo dimenticato chi erano, non sapendo chi sono, non essendo in grado di figurarsi nel futuro. Forse anche noi avremmo bisogno del tizzone di un referendum per accenderci, andando oltre la peraltro sacrosanta preoccupazione del nostro precipizio finanziario accentuato dalla slavina greca. Il mercato della vita sembra aver preso il sopravvento sulla vita del mercato, e ne stiamo pagando un prezzo politico e civico da usurai. E questa dipendenza totale è semplicemente insensata e insopportabile. Dire “no” non è neppure una scelta, ma una necessità. 

Da “Debito uguale colpa quella parola unica che separa i tedeschi dal mondo greco” di Silvia Ronchey, sul quotidiano la Repubblica dell’8 di luglio 2015: Che cos’è il debito? In tedesco il sostantivo femminile Schuld designa insieme il debito e la colpa. «Il capitalismo è un culto che non consente espiazione, ma produce colpa e debito», scriveva già nel 1921 Walter Benjamin. (…). Le forme di consumo illimitato basate sull’indebitamento privato, partite dall’America, sono diventate, (…), il motore principale dell’economia. Dal 2009, con l’immediato globalizzarsi della crisi americana, l’aumento esponenziale del debito privato ha coinvolto il debito pubblico dei paesi economicamente avanzati fino ad arrivare ai debiti sovrani. La finanziarizzazione della vita quotidiana, la “democratizzazione del credito”, ha prodotto uno stato di indebitamento generalizzato in cui ognuno, sia come lavoratore sia come consumatore, è diventato per definizione anzitutto debitore. (…). …secondo Benjamin il capitalismo può considerarsi in sé una religione, il culto di un dio minore, privo di dogmi ma dalla legge implacabile. È proprio la connessione religiosa fra debito economico e colpa morale — attinta peraltro a un’intuizione degli scritti giovanili di Marx — che porta il povero insolvente, scriveva Benjamin, «a fare di sé una moneta falsa, a carpire il credito con inganno, a mentire, così che il rapporto di credito diventi oggetto di abuso reciproco». Se in tedesco i concetti di debito e colpa si stringono in uno stesso nodo lessicale, la lingua greca, che sta all’origine del nostro pensiero e della nostra sintassi filosofica, distingue nettamente tra l’uno e l’altra. Nel greco antico, come ancora oggi nel greco moderno, debito si dice chreos , un sostantivo che deriva dal verbo chraomai , “usare”, e dalla locuzione chre , “ciò che serve”, che si usa e di cui c’è bisogno; è inoltre connesso con chreia , la “mancanza”. Il termine chreos viene usato ampiamente dagli storici, come Tucidide, dai filosofi, come Platone, e dai giuristi, fino alle Novelle di Giustiniano e ai Basilika : il greco bizantino assicurerà la continuità e trasmetterà la certezza del diritto romano nel suo transito millenario dall’età antica a quella moderna, attraverso i secoli solo in occidente oscuri del cosiddetto medioevo dominato dal diritto barbarico. (…). …la prima attestazione della parola chreos nella letteratura greca è già nell’ottavo canto dell’ Odissea , nel passo in cui Efesto incatena Ares e Afrodite dopo averli colti in adulterio. Tutti gli dèi ridono tranne Poseidone, che gli intima di scioglierli. Efesto rifiuta perché, dice, se lo facesse Ares fuggirebbe eludendo insieme due vincoli, quello materiale della catena e quello morale, il chreos , che lo lega ormai a Efesto. Questo secondo legame non è una servitù, impossibile tra dèi, piuttosto una comunanza di destino, un pegno. Il dio della guerra si è indebitato con il dio del fuoco, dell’ingegneria, dei fabbri, di tutti gli artigiani: cedendo all’amore, condividendo il fascino della dea, si è sottomesso al vincolo di un reciproco scambio. (…). La distinzione tra debito e colpa è evidente nel Nuovo Testamento, anzitutto in uno dei suoi passaggi più noti: la preghiera del discorso della montagna, che diventerà il padre nostro. Qui il greco della koiné usa, anziché chreos , il più materiale e umile sostantivo ophèilema , che si ritrova in Matteo 6, 12: “rimetti a noi i nostri debiti”. La clamorosa discrepanza dal testo di Luca 11, 4, che ha invece la variante “rimetti a noi i nostri peccati” e usa il ben distinto sostantivo amartìa, ha dato luogo a infinite dispute teologiche e fatto sospettare una comune ascendenza dall’ebraico hôb , hôbot , insieme debito e colpa. Ma proprio il fatto che il dettato neotestamentario debba adottare due voci diverse sottolinea l’estraneità dei due concetti nella psiche greca. (…).

Da “Quel conflitto tra democrazie che ancora divide l’Europa” di Timothy Garton Ash, sul quotidiano la Repubblica del 10 di luglio 2015: Gli dei fanno prima impazzire coloro che vogliono distruggere. In questo caso li fanno annoiare. I vertici dell’eurozona sulla Grecia si moltiplicano, ogni volta annunciati come “l’ultima occasione” e gli europei ormai sono quasi in preda alla narcolessia. Sonnecchiamo sul sedile del passeggero anche mentre l’auto cade nel burrone. Ma non c’è niente da fare. Se i capi di governo dell’Ue non trovano una via d’uscita (…) il progetto di integrazione europea potrebbe iniziare a disfarsi. Se pensate che in gioco ci sia solo il futuro della Grecia, be’, pensateci due volte. Il problema è che la cronica incapacità dell’Eurozona di fare qualcosa che non sia tirare a campare non è semplicemente frutto di politiche sbagliate e di una leadership debole, che abbondano da ogni parte, governo greco, governo tedesco e istituzioni europee e internazionali inclusi. Ma le cause sono ben più profonde, radicate nella debolezza strutturale del progetto europeo già decenni fa. (…). La realtà della democrazia europea resta nazionale: la sfera pubblica europea non è cresciuta molto rispetto a quando ho iniziato a studiare e a girare l’Europa 40 anni fa. Esistono pubblicazioni dirette a un pubblico ridotto e colto in tutto il continente, ma la maggior parte della gente in Europa si ferma ai media nazionali, anche quando la lingua è comune. A Vienna mi hanno spiegato quanto sia diverso il tono con cui i media austriaci trattano l’argomento Grecia rispetto ai media tedeschi. Quindi non esiste una sola Grecia, bensì 28 grecie diverse, a seconda del paese in cui siete. La Grecia estone o lituana sarebbe pressoché irriconoscibile agli occhi degli italiani, figuriamoci dei greci. Analogamente non c’è una sola Germania bensì 28 — e pochi tedeschi riconoscerebbero il proprio paese nella “Germania” dei quotidiani greci. Queste narrazioni in netto contrasto sono alimentate dai politici di ogni paese che emergono da ogni vertice di Bruxelles strombazzando i loro successi e attribuendo ogni partita persa ad altri governi o alle malefiche istituzioni europee. Il ministro degli esteri belga ha ironizzato sul fatto di essere l’unico a non poter dare la colpa a Bruxelles (perché è anche la sede del suo governo). John Stuart Mill ha scritto che l’unità dell’opinione pubblica necessaria al funzionamento del governo rappresentativo non può aversi tra gente che manca di senso di comunità, soprattutto se si parlano lingue diverse. L’Europa non l’ha ancora smentito. Nelle scorse sei settimane sono stato in sei paesi diversi riscontrando dolorosamente l’assenza, tra di loro. di un senso di comunità. Contrapporre la democrazia alla tecnocrazia è ormai un cliché. Purtroppo la verità è ancora più amara, perché nell’Eurozona è presente il peggio di entrambi i termini. Istituzioni come la Commissione Europea e l’Fmi mostrano alcune delle pecche (nonché delle virtù) della tecnocrazia, inclusa la tendenza ad aderire a ortodossie irrealistiche, a un’economia a taglia unica. Ma se parliamo dei leader europei allora lo scontro è tra democrazia e democrazia. Subito dopo il no greco di domenica scorsa Tsipras ha celebrato “la vittoria della democrazia” — le Termopili rivisitate e corrette in modello agitprop. Ma, benché Angela Merkel non discenda direttamente da Pericle, è un leader in tutto e per tutto democratico quanto Tsipras e egualmente soggetto ai limiti imposti dall’interesse nazionale e (cosa spesso più importante) dalle emozioni nazionali. Così i 28 leader (…) delle istituzioni europee non dovranno semplicemente superare le proprie posizioni, ma sormontare gli ostacoli strutturali creati dai loro predecessori andando oltre l’ortodossia dei tecnocrati e negoziando un processo per conciliare i legittimi imperativi di 28 democrazie nazionali. Se falliranno, non solo la Grecia, ma l’intero progetto europeo precipiteranno in una crisi ancor più grave. La crisi esistenziale finirà per essere colta come kairos , l’opportunità di azione decisiva? Da europeo lo spero.

Nessun commento:

Posta un commento