"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

giovedì 4 giugno 2015

Oltrelenews. 44 “Rimettianoiinostridebiti”.



Da “Perché il consumismo spiega tutto del nostro tempo” di Giorgio Bocca, sul settimanale “il Venerdì di Repubblica” del 21 di dicembre dell’anno 2010: L’ideologia dominante del tempo in cui viviamo non è socialista o liberista, ma consumista, vale a dire un’abbondanza che ricopre e nasconde tutto, per il comodo dei ricchi e la rassegnazione dei poveri. In che consiste? Nel non dar tregua ai viventi, nel riempire ogni spazio ancora lasciato al pensiero critico. Come una nevicata di marzo con fiocchi larghi e pesanti che rende il monto tutto uguale. Ogni giorno, su tutti i media dell’universo, fotografie e biografie, opere e nome di uno scrittore sconosciuto che ha venduto un milione di copie del suo ultimo libro negli Stati Uniti e in altri mercati non controllabili, e che sia vero non importa, basta che la gente lo creda. E tutti si sentano come un Jack London che scrive il suo capolavoro in una notte al lume di candela, destinato all’immortalità. La fortuna è per tutti a ogni angolo di strada. C’è il regista che sta girando il film della sua vita e dall’archivio è già salita in redazione la sua biografia, nota a tutti , scritta si direbbe da sempre, e lui è vezzeggiato da tutti i giornali. Per quanto tempo? Uno o due giorni di copertine e di interviste, e poi via nell’abbondanza che ricopre  ogni cosa come una nevicata di marzo. Il sociologo De Rita ha detto una verità che spiega tutto o quasi del nostro tempo: viviamo nell’abbondanza, i consumi sono in crisi perché non ci manca nulla, i poveri davvero poveri, quelli che non hanno i soldi per acquistare ai saldi, sono una minoranza, una grande minoranza, ma che non ha più diritto di apparire, di contare nella società. Il consumismo ossessivo è la forma attuale della conservazione sociale del denaro e dei privilegi. Nell’era dell’abbondanza alla gente non basta il necessario, vuole o sogna l’eccezionale, il lussuoso, lo strano. Guardate le riviste di moda. Nei tempi della modestia pubblicavano i modelli per la gente povera, i cappellini, le camicette disegnate da modiste di provincia, da copiare con la macchina da cucire comprata a rate. Adesso, nel tempo del consumismo divorante, ci sono le sfilate dei sarti famosi con i modelli non solo per i ricchi, ma per i ricchissimi, da sogno per la stessa moda, pellicce e ornamenti da nababbi che pochi naturalmente compreranno o indosseranno, ma che molti ormai desiderano. E non si desiderano solo gli abiti, anche i modelli e le modelle: efebi e dee che vivono  solo nelle fantasie che la gente ha della ricchezza. Ma non scherziamo sul consumismo ossessivo: è oggi la forma più sicura di investimento. I bisogni normali sono limitati al mangiare, dormire, avere un tetto. Ma i bisogni immaginari sono infiniti, e cadono su di noi come una nevicata di marzo con i fiocchi larghi che coprono tutto.

Da “Una carta di credito per sognare” di Vittorio Zucconi, sul settimanale “D” dell’11 di aprile 2015: Passata la grande paura della crisi, negli Stati Uniti torna il vizio del debito facile. (…). I carissimi vicepresidenti della Megaultrafinanziarie stanno scrivendo ai polli, alle "famiglie", per convincerli ancora una volta a riempirsi di debiti che non riusciranno a saldare, ma che rimborseranno a rate infinite soltanto di interessi, confondendo ancora una volta il debito per reddito. (…). Spendi, figliolo, spendi, mi sussurrano all'orecchio le banche. Cadi nella trappola del miele che una strisciatina della nostra tesserina di plastica, o adesso anche il semplice avvicinamento degli smarphone alla cassa per indebitarti ancora più in fretta, ti spalancano. Offrono cinque camicie al prezzo di quattro, come resistere a un simile "risparmio"? C'è una meravigliosa crociera scontata (ma scontata rispetto a che cosa?) nel mare del Caribe che pagherai al ritorno, ora divertiti. Tua moglie, la tua compagna, tuo marito, non vedono più una borsa firmata, un paio di scarpe di classe, un pullover di vero cachemire dagli anni dello sfracello: ora te le puoi permettere, via, non fare l'accattone. Ci sono qui io, il tuo amico di lettera, con il borsellino spalancato. Ogni resistenza è futile, perché se spalmi il miele, le mosche arriveranno. Dopo la frenata degli anni successivi alla Grande Strizza del 2008, il debito dei consumatori americani, dunque mutui esclusi, ha ricominciato a gonfiarsi. In questa primavera del 2015 ha raggiunto la cifra siderale di 3mila miliardi di dollari, pari di fatto a 3mila miliardi di euro. Sono più dell'intero debito pubblico italiano, e mille di quei miliardi sono figli del rettangolino di plastica. Dalla prima carta emessa su cartoncino dalla società dei telegrafi Western Union nel 1921 per inviare telegrammi a credito siamo ai 232 milioni di oggi. In ogni famiglia ci sono in media tre carte di credito e spesso una viene usata per pagare le rate delle altre, creando un effetto risucchio di debiti per saldare debiti dal quale molti non riescono a riaffiorare. (…). La cura, in apparenza, è semplice. Mai acquistare con il rettangolino di plastica quello che alla fine del mese non siamo in grado di saldare interamente. Ma la tentazione è enorme. Perché non indebitarmi, se posso? (…).

Da “Sorpresa: l’Economist scopre il debito privato” di Alberto Bagnai, su “il Fatto Quotidiano” del 20 di maggio 2015: (…). Un dato in particolare balza all’occhio: settore pubblico e famiglie contano per quasi due terzi del totale del debito (negli Usa come nel resto del mondo). (…). …negli Stati Uniti, e in generale nel mondo, il settore pubblico emette meno di un terzo del debito complessivo. I restanti due sono debito privato, emesso da famiglie e imprese. Ma voi, di debito privato, sentite mai parlare? No: sentite parlare solo di debito pubblico, causato dalla propensione allo scialacquo dei politici (tutti ladri, tutti disonesti, ecc.). Una spiegazione populista (parla alla pancia dell’elettore facendo leva sulla sua invidia sociale) e parziale, perché dimentica i due terzi del problema! (…). …Adair Turner (ex presidente della Consob inglese) sostiene che il debito è “amplificato” dalla disuguaglianza. Un grazioso eufemismo che allude alla vera causa del problema. La controrivoluzione liberista dei primi anni 80, con l’avvento al potere di Reagan e Thatcher, si traduce ovunque in uno schiacciamento dei redditi da lavoro a vantaggio dei profitti. Ma il capitalismo funziona se qualcuno compra. Il singolo imprenditore che riduce il “costo del lavoro”, cioè che paga di meno il suo operaio, ha vinto: i suoi profitti aumentano. Peccato che poi lo facciano anche i suoi colleghi, e alla fine perdono tutti: nel sistema circolano meno soldi, i fatturati crollano, e con loro i profitti. Come argomento ne L’Italia può farcela, la controrivoluzione liberista segna appunto il passaggio da un capitalismo “guidato dai salari”, dove il dipendente è visto come cliente (come lo vedeva Henry Ford, per capirci), a un capitalismo “guidato dal debito”, dove il dipendente è costretto a indebitarsi per sopravvivere. La causa del decollo del debito (prima pubblico, poi privato) è qui: nella necessità di sostenere l’acquisto di beni in un capitalismo che non vuole distribuire ai lavoratori un potere di acquisto proporzionato al valore aggiunto che essi hanno contribuito a creare. Una cosa è chiara dai dati: l’ammontare dell’esposizione debitoria complessiva ha raggiunto, in rapporto al Pil, un livello pari a quello toccato prima dell’ultima guerra. Storicamente, le crisi debitorie si risolvono in tre modi: con la bancarotta, con l’iperinflazione, o con la crescita, che mette i debitori in condizione di saldare i debiti. I creditori, però, preferiscono la disoccupazione e la deflazione, che mantengono intatto il valore dei loro crediti. Così, nell’Eurozona a guida tedesca, i governi percorrono la strada dell’austerità, prendendo a pretesto la necessità di sanare quel debito pubblico che però, (…), è il pezzo più piccolo del problema. L’austerità amplifica il vero problema: oppresse dai tagli e dalle imposte, famiglie e imprese vanno in sofferenza. Non è quindi strano che dopo tanta austerità siamo indebitati più di prima. È già successo. Brüning, dopo aver posto con la sua austerità le premesse per l’ascesa di Hitler, se ne andò a insegnare a Harvard, e poi, per trent’anni, fu possibile vivere in un mondo in cui il lavoro veniva remunerato correttamente e il debito diminuiva. Ah, sì, dimenticavo: fra l’austerità e la cattedra a Harvard ci fu una guerra mondiale. Ottanta milioni di morti che suggerirono ai governanti un minimo di ragionevolezza. Ce ne sarà bisogno anche questa volta?

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