"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 15 maggio 2015

Quellichelasinistra. 8 “L'involuzione del mondo tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri”.



È asfittico il ragionare, che se ne fa da mane a sera, sulla “sinistra” e dintorni. E non si definisca “manicheo” l’insistere sui dati di fatto che in misura adeguata ne dovrebbero rappresentare la sostanza. Allora avviene che un “menestrello” del vuoto buon tempo presente parli di “sinistra masochista” e di quant’altro torni utile alla sua causa. I dati di fatto li ha magistralmente sintetizzati Curzio Maltese nella Sua consueta rubrica “Contromano” su “il Venerdì di Repubblica” dell’8 di maggio scorso, laddove ha scritto - in un pezzo che ha per titolo “L'involuzione del mondo tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri” -: (…). Il debito pubblico del Pianeta ha sfondato ormai la soglia dei 100 miliardi di dollari, mentre il prodotto interno loro del mondo è di soli 70 mila miliardi. Quindi il mondo intero è indebitato oltre il 140 per cento del Pil, una soglia che qualsiasi agenzia di rating giudicherebbe un punto di non ritorno. Dall’inizio della crisi e anche prima, assistiamo a un altro grandioso fenomeno, di segno del tutto opposto: un arricchimento privato senza precedenti nella storia. Secondo il Global Wealth Report 2014 del Credit Suisse, la più attendibile ricerca del settore, la ricchezza globale privata ha raggiunto nel 2013 l’incredibile cifra di 263 mila miliardi, più del doppio dei 117 mila miliardi del 2000. Una crescita senza precedenti, così come non ha confronti con il passato la concentrazione di questa ricchezza: il 41 per cento nelle mani dell’1 per cento della popolazione: l’86 per cento detenuto dal 10 per cento; e soltanto l’1 per cento nella metà più povera del Pianeta. Basta allora mettere in relazione tutte queste cifre per disegnare il quadro della crisi. Una ricchezza privata che aumenta e si concentra a una velocità mai registrata nella storia del capitalismo, un debito pubblico che esplode ovunque e soprattutto nelle aree più povere. Per arrivare alla domanda giusta: “Chi non fallirà?”.
In una cara, recentissima corrispondenza ho avuto modo di ribadire un mio profondissimo convincimento: Carissimo *****, ti ringrazio per la corrispondenza. Ho letto con interesse la lettera in calce alla tua del prof. ***** che centra il “problema”. Ché non è tanto il PD o quant’altro che interpreti o non interpreti una politica di “sinistra”. È che non esiste più la “sinistra”. Tu parli di “involuzione” e di “evoluzione”  - rispetto a cosa? - ma sarebbe più importante e necessario, a mio modestissimo parere, porsi il problema se ancor oggi necessiti o meno una “sinistra” che sia tale. Il liberismo selvaggio, e l’ho scritto tante volte, ha compiuto un miracolo stupendo, ovvero aver fatto balenare la possibilità di un superamento della divisione in classi nelle società opulenti del mondo occidentale. È stato il miracolo dei miracoli, poiché all’ombra di esso chi ha detenuto il potere economico ha continuato nella sua opera di “rapina” che oggigiorno sta sotto gli occhi di tutti. Ma caro *****, cosa vuoi che sia il PD – dal quale mi sento lontano ed estraneo oramai – o Renzi e le sue miserevoli “figurine” che cercano di calcare il palcoscenico di una politica arrembante ma sempre in linea con quel liberismo che ha dominato e continua a dominare? “Figurine” e nient’altro. Impossibilitate a contrastare lo “spirito del tempo”. E se viene a mancare un’azione di contrasto che riequilibri gli squilibri socio-economici divenuti planetari, che senso ha parlare di “sinistra masochista” – una boutade da disinvolto menestrello del tempo presente, ché masochista la “sinistra” lo sarà stata anche ai tempi dickensiani del capitalismo primordiale, ma che poi tanto masochista quella “sinistra” non lo è stata storicamente, non concordi almeno in questo? – o di una altra qualsivoglia immaginabile “sinistra”? Non per nulla i meravigliosi giovani che occuparono, sconfitti, Zuccotti Park nel paese del capitalismo per eccellenza parlarono di quell’1% che oramai si contrappone al 99% degli esseri umani. Il livello del ragionare è questo; tutto il resto è una inutile logomachia che torna comoda ai colletti bianchi che infestano e malversano le nostre vite. Non per niente il tuo “corrierone” ha avuto il merito di pubblicare il dato miserevole – grazie ad Antonio Stella – di quello 0,4% di “colletti bianchi” che frequentano o abitano le carceri del bel paese. Ché sta a dimostrare che tutti e poi tutti i politicanti della “malapolitica” del bel paese hanno praticato una politica di classe costruendo, con una ben mirata legislazione, una “struttura” che è posta essenzialmente a difesa degli interessi più forti. E considerati poi i pronunciamenti ultimi dei nostri tribunali in fatto di disastri ecologici e/o quant’altro derubricati in forza della legge, ci si rende conto del miracolo dei miracoli che il liberismo è stato capace di realizzare. Saluti fraterni. Ma sta lì, nella sua sesquipedale lucidità, la pesantissima denuncia che ne ha fatto Curzio Maltese. Per non dire, imperante il menestrello, quanto scriveva il sociologo Luciano Gallino sul quotidiano la Repubblica del 23 di giugno dell’anno 2013 - Da “Che cosa va chiesto a Palazzo Chigi” -: Fra il 1990 e il 2009 la quota salari sul Pil si è ridotta di quasi il 7 per cento in Italia, ma solo del 5 in Germania, del 4 nel Regno Unito, e meno del 3 in Francia. I sette punti in meno andati al lavoro, che in moneta corrente valgono oltre 110 miliardi, sono andati ai profitti e alle rendite. Ma non si sono affatto trasformati in investimenti produttivi. Per quasi tutto il periodo gli investimenti in capitale fisso (impianti, macchinari) sono regrediti, segnando un picco negativo nel 2008-2009. Dove sono finiti profitti e rendite? In prevalenza hanno preso la strada degli investimenti finanziari. Per alcuni anni, questi ultimi hanno reso molto di più degli investimenti nell’economia reale, per cui le imprese hanno destinato ad essi i profitti, in misura maggiore che non negli altri paesi Ue. Con una ricaduta che ha nuociuto anche alle imprese. Infatti almeno l’80 per cento del Pil è formato dai consumi delle famiglie, e se a queste vengono a mancare decine di miliardi l’anno, i risultati si vedono: migliaia di serrande abbassate e d’impianti fermi. (…). Nell’agenda del governo i sindacati uniti potrebbero pure chiedere di inserire la distribuzione del reddito e della ricchezza. Il più drammatico mutamento sociale degli ultimi trent’anni è stata la redistribuzione dell’uno e dell’altra dal basso verso l’alto che si è verificata nella Ue come in Usa. La caduta della quota salari in quasi tutti i paesi Ocse è stata soltanto un aspetto di tale redistribuzione alla rovescia, che facendo crescere a dismisura le disuguaglianze ha contribuito non poco a preparare la crisi esplosa nel 2007. (…). Ha ricordato o forse fatto scoprire ai più di corta memoria l’illustre sociologo che “fra il 1990 e il 2009”…, ovvero che da ben venticinque anni la “rapina” continua. C’è allora da parlare di “sinistra”? Magari “masochista”? È che, ha scritto, “il più drammatico mutamento sociale degli ultimi trent’anni è stata la redistribuzione dell’uno e dell’altra (del reddito e della ricchezza n.d.r.) dal basso verso l’alto, ovvero una vera e violenta “lotta di classe” all’incontrario, ovvero quella dell’1% contro il 99% degli esseri umani. Ha sostenuto il filosofa francese Alain Touraine in una intervista concessa al quotidiano la Repubblica del 1° di aprile scorso - "Senza orizzonti né classi sociali la gauche muore" a firma di Anais Ginori -: "La sinistra può morire. Come qualsiasi essere vivente, non è eterna". (…). "La sinistra  -  (…) -  non riesce a reinventarsi in un'epoca post-sociale, in cui i rapporti di forza non sono più basati, come un secolo fa, sulla produzione. Non ha più una classe sociale di riferimento, alla quale corrispondono valori, ideali, rapporti di forza. Non è più portatrice di un orizzonte, di una speranza". Già nel 1979 lei pubblicava un saggio dal titolo Mort d'une gauche . Quante sinistre sono morte da allora? "Nel ventunesimo secolo tutti i partiti politici faticano a riposizionarsi all'interno di un'architettura della società che è crollata. È una situazione simile a quella che si è verificata alla fine dell'Ottocento, quando le formazioni politiche uscite dalla Rivoluzione faticavano a dare una risposta davanti alle nuove realtà industriali dell'epoca. (…). Nonostante tutte le presunte svolte, (…), non c'è stata una ridefinizione di quale debba essere il ruolo dello Stato e dunque della nazione in un mondo globale". Gli elettori ormai votano più per rabbia che per convinzione? "C'è una radicalizzazione degli estremi, sia a sinistra che a destra. Il Front de Gauche di Mélenchon non è poi tanto diverso dal Front National di Marine Le Pen. Entrambi sono il sintomo di una rottura del popolo con l'élite politica che sembra impotente. (…). L'unica strategia è aspettare la ripresa. (…)". La gauche al potere ha tradito il suo elettorato? "Il capitalismo finanziario ha sostituito il capitalismo industriale. È un dato di fatto. Non possiamo chiedere alla sinistra di governare come nel 1936 quando c'era il Front Populaire. (…). Il partito socialista si è sottoposto, come tutte le forze di governo della nostra epoca, al dogma finanziario e materialista, ma ha un problema in più: deve conciliare un individualismo al plurale, facendo per esempio convivere i diritti economici strettamente personali, con valori e diritti universali, in una visione collettivista che è nel suo Dna". Hollande ha sbagliato a seguire la dottrina europea dell'austerità? "Ma di quale austerità parliamo? Il bilancio dello Stato francese è in deficit da trent'anni. Oggi c'è una sola parola che dovrebbe contare: competitività. La sinistra ha rinunciato a fare una vera politica di risanamento. Ha scelto di non scegliere. Tutti i paesi europei attraversano le stesse difficoltà, l'unica differenza è su chi far ricadere il peso della crisi. (…). In Francia, come in Italia, abbiamo scelto di far pagare il prezzo della crisi alle classi popolari con la disoccupazione. Sono entrambi strategie perdenti". (…).

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