"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

sabato 30 maggio 2015

Oltrelenews. 42 “Risorseumane”.

Da “Renzi e il mondo capovolto” di Giovanni Mazzetti - docente di Economia Politica presso l’Università della Calabria -, su “il Fatto Quotiidano” del 25 di ottobre dell’anno 2014: (…). Cercherò di spiegare perché Matteo Renzi ha una visione capovolta della sua stessa azione, con la conseguenza che questa produce e produrrà effetti opposti rispetto a quelli positivi da lui immaginati, finendo con l’inguaiare tutti noi. Un capovolgimento che è ben espresso anche dal tema della Leopolda che recita: “Il futuro è solo l’inizio”. Cominciamo dall’esordio. Matteo Renzi ha presentato se stesso sulla scena nazionale come un “rottamatore”. Questa figura allegorica è stata mutuata da una pratica mercantile in vigore negli anni passati, grazie alla quale chi aveva un’auto malandata poteva rivolgersi ai rivenditori facendosela valutare per un certo ammontare, che veniva poi scalato dal prezzo d’acquisto di una nuova. Ne è in qualche modo scaturita la convinzione che il rottamare corrisponda a nient’altro che al sostituire un’auto vecchia con una nuova fiammante. Ma questo è l’effetto di una distorsione dell’esperienza. In realtà il rottamatore non è né il concessionario che attua l’operazione di compravendita, né il produttore dell’auto nuova che va a sostituire la vecchia. Il rottamatore è colui che riceve il sottoprodotto dei comportamenti altrui, in quanto si limita a far rottami del veicolo scartato. Dalle sue mani escono, pertanto, cose che non hanno più alcuna utilità.

venerdì 29 maggio 2015

Cosecosì. 97 “Omnia (non) sunt communia”.



“Omnia sunt communia”. Nulla di tutto ciò all’Expo 2015. Lo “spirito” grande che fu “della rivoluzione di Thomas Müntzer (1489-1525), la “rivoluzione dei contadini” non aleggia su Expo 2015, anzi ne è straniero. Siamo stati all’Expo. Prima della nostra partenza per Milano mi ero imbattuto in una riflessione offerta da G.B. Zorzoli – “Déjà vu globale” – sulla rivista online “alfabeta2” della quale riflessione offro la parte da me più convintamente condivisa: In appendice a un convegno sulla bioagricoltura, ho trascorso mezza giornata a Expo 2015. Troppo poco per una visita approfondita. Abbastanza per un’impressione complessiva. (…). …la gente – non poca – che si aggira per i padiglioni o si ferma in strada a guardare gli show folcloristici sparsi qui e là, contribuisce a omologare Expo 2015 a una delle tante fiere campionarie. Un po’ più grande, ma non tantissimo per via dei lavori incompiuti; con qualche padiglione architettonicamente gradevole, altri banali fino al kitsch. In sintesi, una fiera paesana globalizzata, di qualità superiore alla media. Ripensando alle polemiche che hanno accompagnato la fase preparatoria e ai casini che hanno contrassegnato l’apertura della manifestazione, sarei quasi tentato di concludere con Shakespeare, Much ado about nothing, ma non sarebbe giusto liquidare con una battuta un evento che ha comunque mosso corposi interessi e impegnato non poche intelligenze nel tentativo di dargli una chiave di lettura non meramente economico-commerciale, anche se alla fine ha prevalso il dejà vu.

sabato 23 maggio 2015

Uominiedio. 18 “Óscar Arnulfo Romero y Galdámez”.



Di Menochio, mugnaio friulano che volò in cielo, tra le scintille del suo rogo, per la mano caritatevole assai della chiesa di Roma. Di Michele Serveto, fine intellettuale del suo tempo, volato in cielo per volontà della chiesa di Calvino, tanto per rendere la pariglia. Bartolomeo Carranza de Miranda, invece, salvò la pelle dal rogo ma ebbe vita dura e travagliata. Aveva visto la luce in quel di Spagna nell’anno del signore 1503 da nobile e ricca famiglia. Rapito dalla voce del signore divenne domenicano e fu professore di teologia a Valladolid. Fu inviato al concilio di Trento ed ebbe l’onore di essere spedito in Inghilterra per presenziare al matrimonio di Filippo di Spagna con la Maria Tudor. Come sempre avviene agli uomini di buona volontà peccò, ovvero prese a pensare e ad esternare i suoi convincimenti in un peccaminoso volume dal titolo “Commentarios sobre el catechismo cristiano”. Mal gl’incolse. Ché pensare in proprio è peccato grave assai. Salvò la pelle sua dal rogo ma la sempre caritatevole chiesa di Roma lo tenne lontano dalle tentazioni del pensiero dal 1558 al 1576. Si direbbe oggi, un processo breve. Dopo tanti anni di cattività fu riconosciuto non colpevole di eresia ma dopo aver abiurato ben sedici sue proposizioni. Ebbe una sola fortuna: di trapassare il 2 di maggio dell’anno del signore 1576 per un male di quelli incurabili. Della tragica esistenza del dotto domenicano ne ha scritto nel suo “La quiete del manovratore” Franco Cordero, mirabile lavoro pubblicato sul quotidiano “la Repubblica” del 20 di luglio dell’anno 2008:

giovedì 21 maggio 2015

Oltrelenews. 41 “Migranti”.



Da «La mia odissea lunga tre anni. Oggi guadagno 5 euro al giorno e per la prima volta sono felice» di Attilio Bolzoni, dal “diario” di Django Sissoukuo “migrante” dal Mali all’Italia - (distanza percorsa 7800 chilometri, tempo impiegato tre anni, due mesi e quattro giorni) - pubblicato sul quotidiano la Repubblica del 23 di aprile 2015: 1 Gennaio 2012. «Questa mattina mi sono sdraiato sul cassone di un camion con i miei due amici Manade e Fasi. Sul camion siamo più di trenta. Io e i miei amici abbiamo un sogno: andare in Europa e lasciare la miseria e la violenza del nostro quartiere di Badalabougou, è un luogo infelice alla periferia di Bamako, la capitale del Mali. Ho perso mio padre Madi nel 2002 e mia madre Gari nel 2003, sono orfano dei miei due genitori da quando avevo 14 anni. Non ho fratelli e non ho sorelle. Sono solo al mondo. Lavoro in un’officina come aiuto meccanico ma non ho sempre soldi per mangiare. Dove voglio andare – Italia, Germania, Inghilterra – non lo so ancora. So che voglio un’esistenza lontano da qua. Io, Django Sissoukuo, a 23 anni voglio cominciare a vivere». (…).

martedì 19 maggio 2015

Strettamentepersonale. 17 “Corrispondenze”.



Caro Aldo e chi può darti torto su una serie di questioni che tu poni. Il liberismo, ed aggiungerei il termine selvaggio, che provoca squilibri, i meriti della cultura di sinistra ai tempi del capitalismo primordiale, e per venire a tempi più recenti i guasti che han prodotto “i politicanti della mala politica" come tu la chiami. E però è mia convinzione che ci si trova in questa triste situazione non tanto per colpa del liberismo, che nell'Italia del dopoguerra non è mai stato selvaggio, ma per chi ha governato questo paese negli ultimi 40 anni. Mi riferisco ai governi del CAF, a quelli del CAV (ambedue governi del…) e non solo a quelli. Se "il bel paese" come tu lo chiami ha problemi che altri paesi europei, anch'essi ad economia di mercato, non hanno, le responsabilità vanno ascritte ai nostri vecchi governanti, con qualche eccezione; almeno a parer mio. Non ci sarebbero più le classi nei paesi sviluppati. Non è vero, anche se rispetto al passato molte cose sono cambiate. Mi pare che la classica ottocentesca distinzione tra sfruttati e sfruttatori, quanto meno in Italia, sia  un po’ sorpassata. Con il che non voglio dire che non ci sono situazioni di bieco sfruttamento, o quanto meno anomale. Ma i tempi dei padroni in cui i datori di lavoro erano padroni della vita degli operai è passato. Ci sono imprenditori e dipendenti, (classi sociali distinte ed contrapposte), ma che spesso hanno un unico obiettivo ed un interesse coincidente. Sono ambedue classi sociali produttive e poi ci sono le classi sociali improduttive o parassite. Ed ancora. Tu dici di questioni planetarie, sulle quali siamo d'accordo, io dico di questioni italiane sulle quali siamo in profondo disaccordo. È mia convinzione che in Italia la sinistra radicaleggiante ha creato danni. E non mi riferisco solo a Bertinotti che ha messo in crisi il "dignitoso" governo Prodi. Ricordo anche che alcune nostre opzioni non han raggiunto gli obiettivi che si erano proposti. E, per fermarci al campo scolastico, organi collegiali, progetti, per quella che è stata la mia esperienza, non han dato buoni frutti. Ed intanto tutti ancora oggi parlano di una scuola pubblica che va riformata (se ne parlava quando io iniziai ad insegnare almeno 45 anni fa) di un welfare che va riformato, di una Costituzione (seconda parte) che va riformata e che in tanti anni nessuno ha fatto. Per la verità qualcuno ci ha provato a riformare la Costituzione. La riforma di Berlusconi (cattiva) fu bocciata da un Referendum. Quella sul titolo V della Costituzione, a cavallo dei governi D'Alema ed Amato, andò in porto ma fu un pateracchio. Ho riportato forse il discorso su un terreno troppo  pragmatico, ma fermi la purezza degli ideali dei nostri anno verdi, è con questi problemi che dobbiamo misurarci. Ma tra le grandi questioni planetarie, che non sono solo quelle della cattiva Finanza, della povertà del terzo mondo e del liberismo selvaggio aggiungerei anche quella, che non può non preoccuparci di una parte del mondo islamico che distrugge tesori e minacci sfracelli. A Bologna mi è capitato di ascoltare su questi temi Lucio Caracciolo che ha presentato l'ultimo numero di Limes e Domenico Quirico il cronista de "la Stampa" ostaggio degli jiadisti per molti mesi ed autore del libro "Il Grande Califfato". Da angolature diverse ambedue prospettavano i gravi rischi che l'Occidente corre, ma avevano difficoltà ad indicare soluzioni. I problemi sono tanti e grandi e non si possono discutere con mail. E poi su tanti temi a me personalmente mancano le conoscenze e le competenze. Se la cosa non ti disturba potrò continuare a mandarti qualche mia considerazione  sperando di non suscitare grosse indignazioni e risposte risentite che non si addicono al tuo stile, sempre rispettoso di chi la pensa diversamente. In allegato potrai trovare stralci di una corrispondenza avuta con un cugino di *****, nonché mio vecchio amico di *****, in cui appunto qualche ulteriore riflessione sui temi di cui noi, da diverse posizioni, abbiamo discusso. Una ultima cosa: Renzi non sarà gran cosa, ma le cose le fa. Io lo chiamo il Bullo Fiorentino ed a volte il Divin bullo. Tu lo chiami il menestrello. Non è il solo menestrello che ci troviamo tra-i piedi o...... tra-vaglio. Tra i Bulli in circolazione e che dettano legge in politica (Grillo, Salvini, Brunetta) forse è il più...serio. Dicevano i latini "hoc iure utimur" di questo diritto ci serviamo. Io dico "his politicantis utimur" e va scelto se non il meglio, il meno peggio. E poi, diceva il mio Calamandrei, "per far politica non c'è bisogno di grandi uomini". Aff.*****

lunedì 18 maggio 2015

Sfogliature. 40 “Costituzione ad personam”.



Parla ovviamente  Corrado Stajano, nella sua analisi apparsa sul quotidiano l’Unità e che dà il titolo alla rilettura, di ben altri personaggi storici, di un livello di coscienza molto alto, di un’etica politica che ben difficilmente potrà essere rinverdita e dimenticata, etica politica sopravvissuta all’indomani della catastrofe del ventennio. Erano leggeri gli animi di allora, pur nella consapevolezza delle difficoltà del momento, dopo una guerra che aveva visto il mondo progredito dilaniarsi su fronti opposti in nome di una civiltà dell’uomo da recuperare, salvare, tramandare. Ben altri sono i “costituenti dell’oggi”, dimentichi o acerrimi avversari dei costituenti precedenti, senza uno spirito leggero come lo fu lo spirito dei padri della costituzione della repubblica italiana. Questi sono purtroppo i tempi e questi sono gli uomini “nuovi” che impongono una visione distorta della democrazia, con gli immaginabili cattivi frutti che la “costituzione” così rinnovata saprà dare per la convivenza sociale e politica del bel paese. Ed il bel paese assiste inerte allo sfascio imminente, quasi distratto, narcotizzato da un “regime mediatico” monopolizzatore delle coscienze, che alimenta le inclinazioni meno nobili del popolo del bel paese, sfoderando la sicumera dei regimi più consolidati ed accentratori. Si domanda Giorgio Bocca nel suo ultimo lavoro “L’Italia l’è malada“: come si vive nel regime? E offre una risposta che pare proprio interpretare e rappresentare lo spirito che aleggia sul bel paese. (…). La risposta giusta è: da stanchi. Stanchi di non capire, di essere presi in giro, del dire e disdire, delle menzogne plateali, del cattivo gusto che monta, delle facce dei servi della commedia dell’arte che ogni giorno ripetono che il regime non c’è, è un’invenzione dei disfattisti, dei comunisti. Adesso il padrone vuole diminuire le tasse. È  una follia in un paese dissestato. Che senso ha? Nessuno, è panna montata, aria fritta, ma anche di questo il regime campa.

domenica 17 maggio 2015

Oltrelenews. 40 “Partitodellanazione”.


Da “Il Partito della Nazione da Gramsci a Renzi” di Massimo L. Salvadori, sul quotidiano la Repubblica del 12 di maggio 2015: (…). Quale male (…) se uno specifico partito, il Pd, intende presentarsi nelle vesti di Partito della Nazione? Devo dire di considerare questo un indirizzo sbagliato, una sconcertante ingenuità ideologica, un errore da cui (…) tenersi a distanza di sicurezza. Nel clima intorbidito della politica italiana — caratterizzata dalla presenza di una molteplicità di partiti che fanno mestiere di una conflittualità miseranda dentro e fuori di sé, sono preda di robusti tarli roditori, vedono i propri leader contestarsi reciprocamente e malamente; colpita ogni giorno dalle bombarde dei populismi; invelenita dai contrasti in tema di riforme istituzionali e costituzionali — l’invito al Pd a farsi esso coraggiosamente e orgogliosamente carico dei destini complessivi del Paese indossando i panni di Partito della Nazione può apparire una ventata di aria fresca. Sennonché occorre ragionare, avvalendosi di qualche riflessione sulla storia italiana, su ciò che in quell’invito non funziona. In tutti i momenti di più grave crisi dello Stato unitario, quando i contrasti tra i partiti politici superarono una certa soglia, si è fatta avanti l’idea che, contro la divisività negativa e inconcludente, spettasse ad un soggetto privilegiato assumere l’onere e l’onore di rigenerare il paese come, appunto, “Partito della Nazione”. Fu il caso sia del partito, stretto intorno alla monarchia, che nella crisi di fine Ottocento Sonnino invocò contro i rossi e i neri; sia del partito fascista che nel primo dopoguerra si propose di unire il popolo intorno a sé, potando i rami secchi. Vi era in questi nemici della sinistra la convinzione di poter essi soli rappresentare il bene dell’Italia. Ma anche a sinistra si è nutrita una analoga ambizione. Si leggano le Tesi di Lione del 1926 stese da Gramsci e Togliatti, e si vedrà che lo scopo additato al Partito comunista era fondare lo Stato del futuro, anche in questo caso tagliando i rami secchi, avendo in mano le chiavi per unire intorno a sé tutte le forze sane del popolo. Dopo la caduta del fascismo, Togliatti teorizzò senza posa che la missione storica del Partito comunista era strappare dalle mani della borghesia la bandiera del vero progresso della nazione, di cui esso rivendicava di essere l’unico interprete, assumendo — affermò — «una funzione di guida in tutti i campi della vita politica e sociale». Ecco comparire ancora una volta il soggetto preposto a compiere la rinascita nazionale. (…). Nel concetto di Partito della Nazione è di fatto implicita una pretesa totalizzante, boriosa, inopportuna e dannosa. I precedenti non sono di buon auspicio. I sistemi liberaldemocratici riconoscono unicamente “partiti nella nazione”. Il Pd aspiri ad essere una attiva forza riformatrice all’altezza delle sfide che è chiamata ad affrontare. Non indossi i panni di chi guarda i suoi competitori dall’alto di un salvifico primato; e non ambisca a fare gli interessi di tutti, poiché le società moderne sono la scena dell’inevitabile scontro dei diversi interessi politici e sociali. Non inalberi una bandiera di parole e lasci perdere la vacua, altisonante etichetta di “Partito della Nazione”.

venerdì 15 maggio 2015

Quellichelasinistra. 8 “L'involuzione del mondo tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri”.



È asfittico il ragionare, che se ne fa da mane a sera, sulla “sinistra” e dintorni. E non si definisca “manicheo” l’insistere sui dati di fatto che in misura adeguata ne dovrebbero rappresentare la sostanza. Allora avviene che un “menestrello” del vuoto buon tempo presente parli di “sinistra masochista” e di quant’altro torni utile alla sua causa. I dati di fatto li ha magistralmente sintetizzati Curzio Maltese nella Sua consueta rubrica “Contromano” su “il Venerdì di Repubblica” dell’8 di maggio scorso, laddove ha scritto - in un pezzo che ha per titolo “L'involuzione del mondo tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri” -: (…). Il debito pubblico del Pianeta ha sfondato ormai la soglia dei 100 miliardi di dollari, mentre il prodotto interno loro del mondo è di soli 70 mila miliardi. Quindi il mondo intero è indebitato oltre il 140 per cento del Pil, una soglia che qualsiasi agenzia di rating giudicherebbe un punto di non ritorno. Dall’inizio della crisi e anche prima, assistiamo a un altro grandioso fenomeno, di segno del tutto opposto: un arricchimento privato senza precedenti nella storia. Secondo il Global Wealth Report 2014 del Credit Suisse, la più attendibile ricerca del settore, la ricchezza globale privata ha raggiunto nel 2013 l’incredibile cifra di 263 mila miliardi, più del doppio dei 117 mila miliardi del 2000. Una crescita senza precedenti, così come non ha confronti con il passato la concentrazione di questa ricchezza: il 41 per cento nelle mani dell’1 per cento della popolazione: l’86 per cento detenuto dal 10 per cento; e soltanto l’1 per cento nella metà più povera del Pianeta. Basta allora mettere in relazione tutte queste cifre per disegnare il quadro della crisi. Una ricchezza privata che aumenta e si concentra a una velocità mai registrata nella storia del capitalismo, un debito pubblico che esplode ovunque e soprattutto nelle aree più povere. Per arrivare alla domanda giusta: “Chi non fallirà?”.

lunedì 11 maggio 2015

Storiedallitalia. 70 “La politica al tempo della democrazia esecutiva”.




C’è da non crederci. Che l’effetto maggiore e più palpitante lo si sia verificato nel bel paese e non tanto nella austera “perfida” terra di Albione. E non tanto per le repentine dimissioni dei leader sconfitti dall’altezzoso Cameron. Nient’affatto. Ché di quelle dimissioni nel bel paese non ne avvengono mai. Anzi, gli sconfitti sono al pari vincitori. Nessuno che sia sconfitto, quindi tutti vincitori. Il massimo delle ambiguità. È potuto accadere così che nel bel paese l’esito di quelle elezioni abbiamo scatenato gli istinti più reconditi e sorprendenti. Ascoltate la mia storia. La conviviale serata è segnata da un chiacchiericcio d’occasione, stanco e senza pretese alcune. Pensate voi che tutto potesse procedere lungo quella china che immancabilmente avrebbe condotto all’abbiocco post-prandiale? C’è sempre e comunque l’eroe della serata. Quello che di volta in volta diviene l’animatore del gruppo. Ed il nostro animatore è del tipo “sui generis”. Uomo della sinistra da sempre, dicesi. Animatore e diffusore, al tempo andato, del cosiddetto “pensiero complesso”. Fine disquisitore, del tipo “spacco il capello in quattro”. Lontano, al tempo, quindi dalle semplificazioni del pensiero. La sorpresa è sta tutta qui. Ascoltarlo e scoprirne l’avvenuta, perfetta, completa, scarnificazione del suo pensiero “politico”. Onde, osannare a Cameron gli vien facile, è un tutt’uno. Scanzonato abbastanza – stante forse l’abbondante “beverage” della serata -, politicamente ora disincantato secondo la sua autoanalisi, divenuto disinvolto al punto d’essere senza freno alcuno tanto da sciorinare – anche se non richiesti - il per come, il per quanto e l’infinità dei “percento” che nel resto del mondo libero consentirebbero di governare anche con la più sparuta delle maggioranze ottenibili, ovvero con la più robusta delle minoranze. Un delirio. Andati perduti tutte le remore ed i “sacri” riferimenti storico-politici di un tempo, il nostro non trova di meglio che avvalersi e riportare, a conforto delle sue elaborazioni scarnificate, quegli autori a lui un tempo invisi, poiché allocati su altre sponde, ai quali non avrebbe mai e poi mai acceduto. Ebbene, nell’ora tarda e sonnacchiosa e tra la generale sorpresa tira fuori il bianco coniglio dal suo cappello magico per citare l’Eugenio nazionale. Il delirio è evidente. Gli occhi dei convenuti strabuzzano. Poiché l’Eugenio nazionale ha scritto, nel Suo domenicale di ieri 10 di maggio – “L'Inghilterra, l'Europa, Ciampi, Napolitano e Narciso” –, quanto segue:

venerdì 8 maggio 2015

Cosecosì. 96 “Tremenda inutile pietà”.



“Untitled 4” (2009) di Luca Viapiana. Oil on Thermal Paper applied on Canvas. Cm 120x80. 

Ho felicemente incontrato il “compagno” Giovanni Torres La Torre – artista e poeta - nella biblioteca comunale di Capo d’Orlando ai piedi dei Nebrodi boscosi l’11 di aprile ultimo scorso, in occasione della presentazione della Sua ultima fatica letteraria “Luna visionaria” – “Prova d’Autore” editore (2015) -. Cadeva quella presentazione nella cosiddetta “Giornata della Poesia”. Quale migliore occasione per re-incontrarlo ed ascoltare dalla Sua voce i Suoi versi “baciati”, come non mai, da una carica emotiva, da una commozione sempre più forte, sempre più intensa. E nel corso della magnifica serata in quella sala gremita si sono susseguiti, da parte degli oratori intervenuti, i riconoscimenti alla Sua generosità ed a quell’impegno umano, civile e sociale che permeano tutta la Sua attività di uomo e di artista. Un riconoscimento ed un richiamo che sono stati unanimi, a quella generosità espressa anche nella e dalla Sua creatività pittorica e letteraria. È che per una forma insospettata di “gelosia” d’appartenenza o meglio di una improvvisa emotiva “avarizia” - come a volerne per sempre serbare il magnifico ricordo -, “gelosia” d’appartenenza ed emotiva “avarizia” che oggi mi sento di riconoscere chiaramente e lealmente, è potuto accadere che in quella occasione non mi sia unito al coro dei laudatori per tenermi come serbato un particolare “cameo” di quella Sua grandissima umana generosità, “cameo” che segna in forme profondissime il vissuto del “compagno” Giovanni Torres La Torre. Un “cameo” che sta tutto a testimoniare di una Sua generosità che si è saputa esprimere anche oltre la Sua attività d’artista e di poeta. È quasi a volermi liberare da quella innocente, insospettata forma di emotiva “avarizia” e da quella ingiustificata “gelosia” d’appartenenza che scrivo oggi di quando Giovanni, parlandomi tanto tempo addietro della Sua giovinezza in quel di San Piero Patti, ebbe a ricordare, lui ancora giovanetto, il soccorso Suo agli analfabeti lavoratori edili di quel siculo borgo, ansiosi di riscattarsi dalla propria condizione umana e lavorativa, all’indomani del secondo conflitto mondiale, offrendo loro la Sua opera di lettore del quotidiano l’Unità in cambio di una sigaretta, prova iniziatica per un’adolescente di allora. La generosità di Giovanni conosciuta in quello episodio della Sua vita giovanile è tornata a farsi da me riconoscere in questi giorni di maggio che mi hanno regalato un Suo nuovo “cameo”. Un “cameo” nuovo ed inaspettato, ovvero la Sua stupenda nuova lirica che ha dedicato ai tanti tantissimi “morti del Mediterraneo”  e che ha per titolo “Tremenda e inutile pietà”:

giovedì 7 maggio 2015

Cronachebarbare. 34 “Il 1° di maggio a Milano”.



Da un po’ di giorni svetta al primo post tra i post più popolari di questo blog quello che ha per titolo “Corruzione/prescrizione”. Bene. Ma mi sono convinto che continuare a parlare di “corruzione” sia divenuto un puro esercizio letterario, un non senso insomma. Poiché quel parlare – inutile - di “corruzione” non ha smosso e non smuove di un millimetro l’elefantiaco molle corpo sociale del bel paese. Ha avuto, quel molle corpo sociale, un miserevole sussulto all’indomani dei fatti del 1° di maggio a Milano. Per spegnersi subito appena voltata pagina. Perché miserevole sussulto? Poiché da esso non c’è da attendersi un benché minimo recupero di quello spirito di solidarietà cittadina inabissatosi al tempo del liberismo più sfrenato. È sembrato quasi che, con quel fremito appena accennato di quel molliccio corpo sociale, si sarebbe venuto a riscoprire, come d’incanto rinvigorito, quello spirito cittadino in verità morto da un pezzo. Spirito cittadino morto e sepolto proprio in quella città nella quale la spaventevole presenza della povertà da un lato – contro l’esagerata ricchezza dall’altro - dovrebbe fare da pressante richiamo a quella solidarietà che la vita cittadina, compiutamente articolata e vissuta, dovrebbe diffondere a piene mani. Solidarietà, che non ho riscontrato e che ho cercato e non ho visto in un mio recente soggiorno meneghino. Ne ho scritto su questo blog il 21 di novembre ultimo scorso nel post che ha per titolo “Un 14 di novembre a Milano”. Sarebbe da rileggere. Perché scrivo di tutto ciò? La risposta è semplice: il nostro resta un paese senza memoria. E l’inatteso dell’oggi sembra essere spuntato da chissà dove, quasi per magia. Ma di nuovo non c’è nulla. È tutto antico, vecchio, incartapecorito.

lunedì 4 maggio 2015

Oltrelenews. 39 “Black bloc”.



Da “Da grande voglio fare il black bloc” di Marco Travaglio, su “il Fatto Quotidiano” del 3 di maggio 2015: (…). Scusate, ma che altro han mai fatto i servizi segreti italiani dagli anni 60 a oggi se non infiltrare i gruppi antigovernativi di destra e di sinistra? Nel 1969 sapevano che i fascisti avrebbero piazzato la bomba in piazza Fontana, e gliela lasciarono piazzare. Nel 1978 sapevano che le Br avrebbero rapito Moro, e glielo lasciarono rapire. Nel 2001 sapevano che avremmo distrutto Genova, e ce la lasciarono distruggere. È una tecnica vecchia come l’Italia: si chiama “destabilizzare per stabilizzare”. E funziona ancora: dopo 50 anni, la “pista anarchica è un evergreen. L’altroieri lo sapevano benissimo che avremmo fatto quei danni a Milano, e ce li hanno lasciati fare.   Non parlo dei poveri e ignari poliziotti da strada, mandati allo sbaraglio con l’ordine di non caricare (…). Parlo di chi, dietro e sopra di loro, sapeva da mesi del nostro arrivo, e l’ha pure fatto scrivere dai giornali e dire dai tg per fare bella figura, poi ci ha spianato la strada come sempre. Con la differenza che con Berlusconi l’ordine era di menare qualcuno purchessia, a caso (esclusi noi, ci mancherebbe). Ora invece, dopo la sentenza di Strasburgo sulle torture alla Diaz, la consegna è non menare più nessuno: prenderle e basta. Così poi le vostre solite teste di Twitter possono dare la colpa a Fedez (un rapper mandante nostro? Uahahahahah). E quel genio di Alfano può dire che “abbiamo evitato il peggio”. Ma come si permette di svilire così il nostro onesto lavoro? Che si aspettava, i bombardamenti di Dresda? Comunque, messaggio recepito: al prossimo grande evento, faremo meglio.