"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 24 aprile 2015

Sfogliature. 39 “25 di aprile: pietà e memoria fiori di primavera”.



Sarà domani il 25 di aprile. Sarà domani il 70° anniversario della “Liberazione”. Sarà domani il tempo di “Pietà e memoria fiori di primavera”, per come Maurizio Maggiani ha intitolato un Suo bellissimo racconto per “ricordare e vivere”. L’immagine che accompagna questo post è una straordinaria foto di quel tempo andato, una foto di donne che hanno combattuto accanto ai “partigiani”. Una foto di giovani donne che, chiamate all’impegno civile, hanno ribaltato i canoni del tempo vestendo una racimolata divisa ed imbracciando un’arma. A quelle donne non può non andare il nostro grato, commosso pensiero. Quante di quelle donne ritratte nella foto sono tornate ai loro amori, ai loro affetti familiari? Di quella “pietà” del Maggiani ne scrisse Cesare Pavese nel Suo straordinario, struggente volume “La casa in collina” (redatto tra il settembre dell’anno 1947 ed il febbraio dell’anno 1948) laddove concluse il Suo lavoro letterario così: “Io non credo che possa finire. Ora che ho visto cos’è guerra, cos’è  guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: - E dei caduti cosa facciamo? Perché sono morti? -. Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.
Ed ancor prima, laddove sorretto da umana comprensione per tutti i morti di quell’atroce evento, ebbe ad annotare: Si ha l’impressione che lo stesso destino che ha messo a terra quei corpi, tenga noialtri inchiodati a vederli, a riempircene gli occhi. Non è paura, non è la solita viltà. Ci si sente umiliati perché si capisce – si tocca con gli occhi – che al posto del morto potremmo essere noi: non ci sarebbe differenza, e se viviamo lo dobbiamo al cadavere imbrattato. Per questo ogni guerra è una guerra civile: ogni caduto somiglia a chi resta, e gliene chiede ragione. Sulle labbra di quelle donne appare un timido sorriso e c’è pure chi guarda lontano come per intravvedere “la rossa primavera…”. Ed è osservando i volti straordinari di quelle donne combattenti che è tornato alla mia memoria quanto Umberto Galimberti ha scritto nel Suo “Vestali della memoria” sul quotidiano la Repubblica del 7 di giugno dell’anno 2003, ovvero delle donne custodi della “Memoria”: (…). Chi è custode della memoria se non la donna, il cui ancoraggio alla natura, che al pari della donna è madre, la rende così solidale alla vita, da spingerla a ricostruirla là dove passa la potenza distruttiva degli uomini, il cui ancoraggio alla natura  è davvero flebile e immemore rispetto al fascino che su di loro esercita, quel campo da gioco che è per loro la storia? Non la storia antica, che avendo parentela con l’origine e la nascita delle civiltà è evento femminile, ma con la storia di oggi, che, sradicata dalla memoria delle origini, è pura volontà di potenza. (…). Nell’occasione di questo settantesimo 25 di aprile (ri)propongo due riflessioni ambedue appartenute, originariamente, ad una rubrichetta che aveva per titolo “Eventi”, rubrichetta dispersa oramai nelle oscurità profonde della “rete”. La prima riflessione, che ha per titolo “Il 25 di aprile e la rossa primavera”, è stata postata il 25 di aprile dell’anno 2008. Scrivevo nell’occasione: (…). Il 25 aprile ha segnato non solo la fine della guerra, ma la fine del fascismo. Se oggi, a distanza di mezzo secolo, ci sono candidati con la croce celtica al collo che non solo rinnegano, ma vanno fieri della loro appartenenza agli ideali del fascismo, vuol dire che il meccanismo della memoria non ha funzionato. Noi siamo la prima generazione in questo paese che si batte non per conquistare nuovi diritti, ma affinché non ci vengano tolti quelli conquistati dalle generazioni precedenti. (…)”. (Ascanio Celestini nel video per il 25 di aprile postato su www.micromega.net). “…a conquistare la rossa primavera…”: è il refrain che da qualche giorno, martellante, mi gira per la testa. Succede da quando ho ascoltato, in una viuzza della mia città, il vecchio ritornello suonato con un’armonica da un povero immigrato, chissà come giunto nel paese del sole e della pizza. Suonava per i rari passanti della stradina, sperando di ottenere da essi l’aiuto necessario ad una sopravvivenza senza grandi speranze. Il suono mi è apparso malinconico, oserei dire addirittura patetico; un suono senza slanci, svuotato di qualsiasi enfasi. Tutto è crollato oggigiorno, anzi da un pezzo oramai; idealità e certezze svanite nel nulla del giro vorticoso della storia, e quel suono, che ha risvegliato in me antiche speranze, vecchi sogni per un futuro diverso se non migliore, si è diffuso nell’aria come quasi un lamento venuto da lontano, chissà da dove, ed ha aleggiato in essa sino a quando, svoltando di strada, non ho più inteso quelle struggenti melodie. Ed inopinatamente, così come erano giunte ai miei orecchi, esse in verità continuano a farsi sentire anche dopo giorni: quel suono improvviso ha compiuto il miracolo di risvegliare antiche memorie, quelle che credevo perdute per sempre. E chissà a quanti altri passanti, magari distratti e frettolosi, quell’armonica avrà innescato “il  meccanismo della memoria!”. Sono convinto assai che un popolo che non coltivi le proprie memorie sia un popolo destinato a ben tristi e miseri futuri, ad essere asservito ai più tirannici dei padroni, ai moderni mediatici imbonitori. E con un meccanismo che non conosco mi sono ritrovato oggi, 25 di aprile, a fischiettare il malinconico refrain, come ad una festa per l’appunto tanto attesa e finalmente giunta. La festa della Resistenza. La seconda riflessione, che ha per titolo “25 di aprile: la nostra festa?”, è stata postata il 25 di aprile dell’anno 2011: (…). In sostanza, quando si dice che il fascismo è l’ultimo aspetto della Controriforma, non si deve intendere che esso sia sorto e combatta per imporre all’Europa la sottomissione alla Chiesa di Roma, la rinuncia alla libertà religiosa, il ritorno all’unità cattolica che la rivoluzione protestante ha spezzato per sempre. La parola Controriforma, per la critica storica moderna, non ha soltanto un significato religioso. Nel fatto, il fascismo, in quanto reazione al liberalismo, alla democrazia e al socialismo, che dal pensiero protestante traggono origine e alimento (…) appare come una conseguenza logica, se pur lontana, della controrivoluzione cattolica del sedicesimo secolo e del diciassettesimo secolo… (…)”. Così ha lasciato scritto nel Suo volume “Muss. Il grande imbecille” – edizioni Luni (Milano, 1999) – lo scrittore e giornalista Curzio Malaparte. Riforma/Controriforma. È che, dalla seconda, non ci si è mai liberati completamente. Questa personale convinzione mi spinge, arditamente, a dissentire da Paolo Flores d’Arcais che, nel Suo pezzo “La nostra festa”, pubblicato su “il Fatto Quotidiano”, che di seguito trascrivo in parte, di questa realtà non tiene conto, o preferisce non farne menzione, ovvero di come la Controriforma, mai e poi mai accantonata dalle gerarchie della chiesa di Roma, non abbia consentito una nostra “liberazione” compiuta. È, a tutt’oggi, una “nostra festa” mancata. E di come avvenga che, in particolari condizioni politiche e sociali, essa, la Controriforma, sempre vigile ed attiva nel bel paese, contribuisca a sminuire la portata di quella che giustamente dovrebbe chiamarsi ed essere, per tutti gli abitatori del bel paese, “la nostra festa”, che non lo è compiutamente per tantissime e larghe fasce di tiepidi, cattolicissimi cittadini. Riforma/Controriforma; un binomio di contrapposte chiese, accomunate da un unico denominatore comune per lunghissimi periodi della loro storia, ovvero l’antisemitismo, apertamente pronunciato dall’agostiniano Martin Lutero, quello delle 95 tesi di Wittenberg, e maldestramente camuffato dai vescovi della chiesa di Roma. “(…) Il 25 aprile è (…) la festa di tutti gli italiani perché è la festa della Liberazione, la festa della vittoria della Resistenza antifascista. La Resistenza antifascista è dunque il fondamento del nostro essere italiani. Chi della Resistenza antifascista nega o disprezza o combatte i valori sta semplicemente minando e negando l’identità e l’appartenenza che ci fanno Patria. Patria e Resistenza antifascista sono sinonimi, fino a che l’Italia vuole restare Repubblica italiana e non collassare di nuovo in quella mera espressione geografica di cui parlava Metternich. La Resistenza antifascista fa tutt’uno infatti con la Costituzione repubblicana, che nasce nel pieno esplodere della guerra fredda e che tuttavia custodisce l’identità comune della Nazione, al di là di uno scontro politico sempre più aspro, proprio perché radicata nell’impegno comune – fino al sacrificio della vita – cui hanno saputo dar luogo i partigiani in montagna, i militanti dei partiti clandestini nelle città, nelle carceri, in esilio. La Resistenza antifascista, e la Costituzione che ne codifica la buona novella (firmata dal democristiano De Gasperi e dal comunista Terracini, ed elaborata da figure straordinarie come Calamandrei), rappresentano perciò una sorta di religione civile, di ethos comune dell’Italia democratica, nel venire meno dei quali va in pezzi la Patria stessa, e resta la nuda forza degli spiriti animali, le ragioni di chi ha più potere ed eversivamente lo esercita in una sorta di guerra civile soft. (…). Oggi 25 aprile, giorno della Liberazione, della vittoria della Resistenza antifascista, è Festa nazionale. Festa dell’Italia. Chi non vi partecipa toto corde è perciò contro la Patria, dell’Italia si fa nemico”.

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