"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 1 aprile 2015

Oltrelenews. 34 “Monetecontro”.



Da “Euro e dollaro, una relazione difficile” di Paul Krugman, sul quotidiano la Repubblica del 23 di marzo 2015: (…). Evviva il dollaro forte! Forse, però, non è il caso di esultare. Di fatto il dollaro forte è un male per l'America. Sull'immediato indebolirà la nostra ripresa economica a lungo rimandata, aumentando il deficit commerciale. In senso lato, il messaggio che l'impennata del dollaro lancia è che siamo meno distaccati di quanto molti pensassero dai problemi oltreoceano. In particolare, dovremmo riflettere sull'accoppiamento dollaro forte ed euro debole come a un modo col quale l'Europa esporta i suoi problemi nel resto del mondo. America inclusa. Negli Stati Uniti di recente la crescita è migliorata e l'occupazione è salita con un ritmo che non vedevamo dai tempi della presidenza Clinton. Nonostante ciò, la situazione in cui versa l'economia lascia ancora molto a desiderare.
In particolare, 1'assenza di certezze sull' aumento dei salari ci dice che il mercato del lavoro è an-cora fiacco nonostante la caduta del tasso di disoccupazione. Nel frattempo, i rendimenti che l'America offre agli investitori sono bassi in modo ridicolo rispetto agli standard di sempre. Gli Stati Uniti non sono esattamente in una fase di espansione, ma sembrano andare alla grande se paragonati all'Europa, dove il presente è nero e il futuro appare ancora peggiore. Addirittura prima che si palesasse la nuova crisi della Grecia, l'Europa stava iniziando ad assomigliare al Giappone, ma senza la sua coesione sociale: all'interno della zona euro la popolazione in età da lavoro è in via di forte contrazione, gli investimenti sono fiacchi e buona parte dell'eurozona si balocca con la deflazione. I mercati hanno reagito a queste magre prospettive spingendo incredibilmente in basso i tassi di interesse. In pratica, molti titoli europei ormai offrono tassi di interesse negativi. Questa insolita situazione rende attraenti al confronto perfino quei rendimenti americani bassissimi. Ne consegue che i capitali si dirigono dalla nostra parte, spingendo l'euro giù e il dollaro su. Chi avrà la meglio da questa mossa del mercato? L'Europa: un euro più debole rende le industrie europee più competitive, darà nuovo slancio alle esportazioni e l'effetto finale sarà quello di alleviar e la crisi dell'euro. Chi sarà a rimetterci? Noi, tenuto conto che le nostre industrie perderanno competitività, non soltanto nei mercati europei, ma anche nei paesi nei quali le nostre esportazioni devono competere con le loro. Quindi, l'Europa sta facendo in modo da esportare parte della sua stagnazione ad altri, noi compresi. Le conseguenze potrebbero essere enormi. Se i mercati crederanno che la debolezza dell'Europa durerà a lungo, dovremo aspettarci una ulteriore caduta dell'euro e un aumento del dollaro. Il che vorrebbe dire far contrarre in modo grave la crescita statunitense. La Fed, la Banca centrale degli Stati Uniti, ancora impaziente di alzare i tassi di interesse malgrado la bassa inflazione e i salari stagnanti, mi sembra troppo fiduciosa nell'accelerazione economica. (…). …i più recenti verbali della Fed lasciano intendere che alcuni membri del comitato che decide la politica monetaria sono del tutto incompetenti, e sembrano credere che gli afflussi di capitali renderanno l'economia statunitense più forte, non più debole. Inoltre, molte aziende in tutto il mondo hanno preso molti capitali in prestito in dollari. E ciò significa che un dollaro in crescita potrebbe creare tutta una serie di nuove crisi del debito. Proprio quello di cui ha bisogno l'economia globale! In tutto ciò, esiste una morale politica? Una è che ciò che davvero conta per noi tutti è che Mario Draghi e i suoi collaboratori alla Banca centrale europea riescano con successo a evitare all'Europa la trappola della deflazione. L'euro è la loro valuta, è vero, ma ecco che sarà il nostro problema. Un'altra, e di grein lunga più importante, però, è che questo è un motivo in più per il quale la Fed deve combattere il suo impulso a dare a intendere che la crisi è finita. Non aumentate i tassi! Almeno fino a quando non vedrete l'inflazione arrivare dritta negli occhi.

Da “Scende l'euro, sale la Ue” di Moises Naim, sul quotidiano la Repubblica del 22 di marzo 2015: I due valori più importanti dell'economia mondiale sono in calo, un calo rapido e inaspettato. A luglio 2014 un barile di petrolio costava 114 dollari, ora ne costa 46. Un euro costava 1,36 dollari e ora 1,08: nell'ultimo anno la moneta unica ha perso circa il 23 per cento del suo valore nei confronti del dollaro statunitense e il 19 per cento rispetto alla media delle altre dieci valute più importanti. La maggior parte degli esperti prevede che fra non molto un euro varrà quanto un dollaro, e continuerà a scendere. Le conseguenze del crollo del prezzo del petrolio sono note: non altrettanto si può dire della svalutazione della moneta europea. Ma i due processi sono ugualmente importanti: sia il prezzo dell'energia che quello dell'euro, la seconda valuta più utilizzata al mondo, influiscono sui prezzi di quasi tutti i prodotti che consumiamo, dai dentifrici alle automobili e ai pomodori. Prima di parlare dei motivi della discesa dell'euro e di quali conseguenze avrà è utile sgombrare il campo da "un'idea zombie" sul valore delle monete (…). Non è scontato che un Paese si indebolisca se la sua moneta si svaluta. In alcuni casi, la svalutazione della moneta rafforza l'economia: se l'euro perde valore rispetto al dollaro, una bottiglia di vino spagnolo, un aereo francese o un'auto italiana nel resto del mondo costeranno meno, incoraggiando le vendite dei prodotti e facendo crescere le esportazioni. E questo è un bene per l'occupazione e l'economia in generale. Sull'altro versante, la svalutazione dell'euro rende più cari i beni prodotti al di fuori dell'Eurozona, per esempio un iPhone, un macchinario industriale o una vacanza a Disneyworld. Per fortuna dell'Europa, l'impatto sui prezzi dei prodotti importati arriva in un momento in cui la minaccia per il continente non è l'inflazione bensì il contrario, la deflazione (…). Questa malattia dell'economia consiste in una caduta persistente dei prezzi dovuta all'inadeguatezza della domanda e conduce a una stagnazione cronica, come quella che affligge il Giappone. La svalutazione della moneta è un buon antidoto contro la deflazione. Non tutte le svalutazioni producono effetti positivi. Quando la moneta perde valore rispetto alle altre a causa di una fuga di capitali provocata da una sfiducia nell'economia del Paese, la svalutazione è nociva. E lo è anche quando contribuisce a far esplodere l'inflazione e a frenare gli investimenti e la crescita. È quello che sta succedendo in Russia o in Venezuela, due dei Paesi più colpiti dalla caduta dei prezzi del petrolio e da altri problemi. Perché l'euro si sta deprezzando? La ragione principale è che la Banca centrale europea sta iniettando liquidità monetaria per stimolare gli investimenti e i consumi, mentre la sua omologa statunitense, la Federal Reserve, sta tirando i remi in barca; anzi, lascia intendere che potrebbe alzare i tassi di interesse per contrastare le pressioni inflazionistiche generate da un'economia in crescita e da un tasso di disoccupazione che si avvicina al limite oltre il quale la scarsità di lavoratori provoca aumenti dei prezzi. Nulla si muove più rapidamente del denaro. Di fronte a questa nuova situazione economica (…), gli investitori hanno spostato i soldi dagli Stati Uniti all'Europa. Dall'inizio dell'anno è entrata nei fondi di investimento europei la cifra record di 35,6 miliardi di dollari, mentre dai fondi americani sono defluiti 33,6 miliardi. Da gennaio a oggi le Borse europee hanno superato quelle americane, sia in termini di aumenti del prezzo delle azioni quotate sia in termini di volume degli afflussi di fondi. Questi movimenti sono determinati dall'aspettativa che le grandi imprese esportatrici statunitensi, a causa del "dollaro forte", che rende i loro prodotti più cari all'estero, vedranno ridursi entrate e utili, e di conseguenza anche il valore delle azioni. Secondo un sondaggio della rivista Duke/ Cfo , due terzi delle imprese esportatrici americane affermano che l'apprezzamento del dollaro le ha danneggiate. Ma c'è anche un altro fattore che avrà un impatto enorme. Da anni le imprese americane non finanziarie stanno accumulando liquidità in proporzioni colossali e possono usare questa liquidità per comprare altre imprese. E ora, con l'euro che costa meno, costano meno anche le imprese europee per chi ha dollari in abbondanza: dobbiamo aspettarci un'ondata di acquisizioni di grandi imprese europee. Questi sono solo alcuni effetti della svalutazione dell'euro, ce ne sono molti altri. Ma in definitiva, se qualcuno si chiede se la svalutazione dell'euro sia un bene per l'Europa, la risposta è semplice: sì.

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