"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

mercoledì 18 marzo 2015

Oltrelenews. 30 “Labuonascuola”.



Da “Ove si delinea la terrificante linea gerarchica della scuola italiana” di Aldo Ettore Quagliozzi, tratto dal volume “I professori”– cap. XXIX, AndreaOppureEditore (2006), pagg. 194 € 8,00 -: (…). …è tutto un rincorrersi di ricordi e di immagini di una esperienza personale chiusa nell’impenetrabile mondo della scuola pubblica italiana. Ed è un riconoscere situazioni e problematiche che un tempo ti parevano essere riservate alla tua personale sventura di essere capitato in un certo luogo, in una certa scuola e con quella “testa gloriosa”  di preside allora, di dirigente poi, tanto la sostanza non subiva variazione alcuna, mentre scopri che in fondo quel tale luogo, quella tale scuola, quella tale “testa gloriosa” hanno una universalità insospettata. Ma come avrebbe potuto la scuola pubblica italiana affidarsi a dirigenti all’altezza della situazione se essa, scuola pubblica italiana, ha sempre pescato al suo interno chi promuovere allo scranno massimo di carriera, proprio tra quel suo personale che dopo anni e anni di ripetitiva attività, di melensaggini varie e non avendo più alcunché da dire sul piano pedagogico-didattico, si sobbarcava la “fatica” di un concorso per abbandonare la “cattedra” e per assurgere ai fasti dirigenziali? La selezione operata è sempre avvenuta con un terribile “fattore limitante” dovuto all’estrazione propria dei futuri dirigenti scolastici dalle file degli insegnanti quasi sempre i più demotivati, i più angosciati dall’idea di dover nel quotidiano sobbarcarsi la “fatica” di dare ascolto alle voci inquiete delle giovani generazioni, senza risposta alcuna da offrire; molto più comodo allora leggere e rispondere alle “sudate carte” del provveditorato prima, del C.S.A., terribile acronimo, poi. (…).

Da “Per la scuola non basta uno slogan” di Nadia Urbinati, sul quotidiano la Repubblica del 25 di febbraio 2015: (…). …il progetto detto "buona scuola" non cambia (…) (il) trend privatistico, ma lo legittima, lo regolamenta e lo stabilizza. Lo ha confermato proprio il presidente del Consiglio in conferenza stampa: «In futuro chiederemo autonomia anche dal punto di vista economico, così che una parte della dichiarazione dei redditi possa andare a una singola scuola». Ovvero, chi non ha figli si sentirà libero di non dare alcun contributo alla scuola pubblica, trattata come la religione o i partiti politici: oggetto di libera scelta individuale. Benché la scuola sia un bene pubblico, non privato che si può scegliere o non scegliere. La logica che guida questo progetto è opinabile: prima di tutto perché associa la tassazione per beni pubblici al consenso individuale — questo è esattamente quanto dagli anni Settanta sono andati predicando i teorici liberisti; questa è stata la filosofia che ha guidato i governi Reagan. E il reaganomics è la direzione di marcia del nostro governo sulla scuola statale. Lo Stato si impegna a istituire e sostenere scuole di ogni ordine e grado: lo Stato, non i singoli secondo la loro personale preferenza e decisione. È evidente che il governo cerca di vendere il prodotto appellandosi all'autonomia scolastica. Ma legare il destino della scuola statale alle preferenze individuali non è una condizione di autonomia ma di assoluta dipendenza dal privato. (…).

Da ”Il vecchio Preside di Cuore nella trappola della Buona Scuola” di Francesco Merlo, sul quotidiano  la Repubblica del 14 di marzo 2015: Nell’Italia degli Schettino e dei capetti improvvisati vogliono fare anche del preside un piccolo boss di paese. Senza insegnargli il comando, senza prepararlo alla leadership dell’azienda pubblica più delicata e più grande, senza formazione né stipendio da manager. Gli danno infatti il potere e la responsabilità di assumere docenti per cooptazione e di premiare e punire il merito distribuendo danaro. E tutti capiscono che, solo per l’effetto annuncio, la famosa stanza del preside sta già diventando l’ufficio raccomandazioni e suppliche di quel proletariato intellettuale di cui parlava Salvemini. Questa è insomma la definitiva trasformazione della figura più bella della scuola italiana in un Soprastante che amministra la disperazione e l’irrilevanza sociale dell’insegnante meno pagato d’Europa che, al contrario dei suoi allievi, non ha i mezzi per comprarsi un computer né per abbonarsi alle riviste specialistiche come Studi italiani di filologia classica di Le Monnier, acquistare edizioni critiche di questo o di quell’altro testo greco, l’Oxoniensis per esempio o i libri della Fondazione Valla, e neppure i volumi con il testo a fronte della vecchia Utet, né può permettersi l’iPhone e il tablet che per il governo Renzi sono sicuramente più importanti della matita rossa e blu. (…). Il “signor direttore” di De Amicis, che era il più bravo dei professori, una specie di primario di quel mondo rotondo e perfetto che formò l’identità italiana, diventa dunque il caporalato delle questue, degli incarichi comunque poveri, dei piccoli conforti, proprio come faceva Totò quando catalogava «il latore della presente» fregiandosi del titolo di presidente della Spa (Società parcheggiatori abusivi). (…). Nell’immaginaria scuola dell’autonomia il preside già dal 2001 è pomposamente ribattezzato “dirigente scolastico” con l’idea nominalistica, che piacerebbe certamente agli antichi grammatici, secondo la quale c’è una magica corrispondenza tra il nome e la cosa. In realtà il preside oggi fa soprattutto il procacciatore di piccoli fondi europei (si chiamano “Pon” quelli per le zone disagiate) attraverso i progetti a finanziamento (…). Insieme al segretario, che a sua volta è diventato intanto “direttore”, il preside dirige poi i tecnici e i bidelli, promossi a loro volta “collaboratori scolastici”. E sovrintende il collegio dei docenti per garantire, per esempio, che in Italiano si vada davvero dal Trecento a Camilleri. E assegna le cattedre sezione per sezione e classe per classe. (…). E si capisce qui benissimo che nulla si può cambiare nella scuola italiana sino a quando non si restituisce agli insegnati l’antico decoro a partire dall’innalzamento dello stipendio a livelli di decenza europea. Non è trasformando i presidi in tanti malpagati e frustrati dottor Orimbelli, il capufficio che sbeffeggia Fracchia, che si può restituire credito sociale, appeal, fascino e autorevolezza a una professione irresponsabilmente degradata. (…). E che l’idea del preside-sceriffo sia improvvisazione si capisce dando un’occhiata ai brogli, alle irregolarità e alle inadeguatezze dei concorsi a preside. Ne sono stai annullati tantissimi: in Molise, in Abruzzo, in Toscana. E nell’ultimo concorso in Sicilia la commissione non solo corresse 1400 compiti, di dieci pagine ciascuno, in meno di tre ore, ma promosse un testo dov’era scritto: «Ciò induce il dirigente ha (sic) ricercare accordi». E nessuno si accorse di quel candidato che aveva scritto “ledership”. Il concorso fu annullato ma i trecento promossi furono salvati da una legge nazionale. Sono ancora presidi. E presto saranno clientela, baronato dei poveri, anche loro, come Totò, presidenti di una Spa.

Da “Le condizioni economiche degli insegnanti” tratto da “Scritti sulla scuola” di Gaetano Salvemini – Feltrinelli Editore -: (…). Per il grosso pubblico, che non vive nella scuola, l'insegnante non é un uomo, che mangia, dorme e veste panni: è un essere astratto, indipendente dalle leggi fisiologiche della nutrizione, collocato in un mondo ideale, dove non ha bisogni, non ha preoccupazioni, non ha dolori e si nutre solo di bacche d'alloro e di cipresso. E quando quell'essere convenzionale scende dai cieli azzurri, dove non avrebbe da far altro che disputar lo spazio agli angeli e ai passerotti, e rivela le miserie e le ingiustizie di cui è vittima, ed afferma che prima di essere insegnante egli è uomo, i più si scandalizzano e gli gridano in tono di rimprovero: "pensate all'ideale, non di solo pane vive l'uomo”. Certo l'ideale è un buon viatico per le lotte della vita, e noi ne abbiamo: ne abbiamo anche troppo; ma questo non vuol dire che il giusto, il necessario miglioramento delle nostre condizioni materiali non debba essere oggetto delle nostre preoccupazioni e delle nostre cure! Non di solo pane vive l'uomo; ma prima di tutto vive di pane! (…). Chi si occupa di voi? L'opinione pubblica - sarebbe follia illudersi - è indifferente a vostro riguardo: gli stessi padri di famiglia, che vi affidano i loro figli, non si curano affatto di voi. Alle famiglie, in questo triste periodo di lotta per l'esistenza, importa solo che i figli passino gli esami: studiando, se è possibile, ma passino a tutti i modi gli esami. Che importa ad esse se il professore è un uomo di genio o un arfasatto? Esse non distinguono che due categorie di professori: i buoni e i cattivi; buoni, quelli di manica larga; cattivi, gli altri. Il babbo non si occupa di quel che avviene a scuola, se non alla fine dell'anno, nei giorni degli scrutini e delle prove: allora la mammina non fa che annoiar tutti i santi colle novene e colle litanie, la sorella appena vede il pericolo della bocciatura si fa venir gl'isterismi, il babbo vuol la pace in famiglia e difende a spada tratta il poco intelligente rampollo. (…). Vi è forse favorevole il Parlamento? I deputati e i senatori sono in tutt'altre faccende affaccendati, e non si preoccupano che di soddisfare le richieste dei gruppi sociali politicamente ed elettoralmente più forti, mentre voi siete pochi e deboli. Potete voi fare affidamento sulla buona volontà dei Ministri? I Ministri sono quel che è il Parlamento, come il Parlamento è fatto ad immagine e somiglianza del paese. Quale Ministro non sarebbe lieto di soddisfare i vostri desideri legando il suo nome a una riforma, che lo farebbe amare e benedire da voi tutti? Ma si tratta di chiedere quattrini, e quando si arriva ai quattrini le difficoltà sono enormi, e il Ministro non può fare miracoli, non può imporre ai colleghi e al Parlamento una grave spesa, di cui la opinione pubblica non sente l'assoluta necessità. Volete che un Ministro provochi una crisi politica sulla questione degl'insegnanti secondari? Sarebbe un atto donchisciottesco, in cui nessuno lo seguirebbe: egli perderebbe il portafoglio di ministro e voi continuereste a star male come prima. (…). È inutile, dunque, farvi illusioni destinate ad essere smentite dai fatti. In chi volete sperare? (…).

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