Da “Filosofia
80 euro: se vuoi l’uovo oggi uccidi la gallina domani” di Alessandro
Robecchi, pubblicato su “il Fatto
Quotidiano” del 22 di ottobre 2014: Sfugge il perché della cifra, ma sono sempre
ottanta. Silvio preferiva i multipli di dieci: un milione di posti di lavoro,
mille euro a chi fa un bambino, eccetera eccetera. Matteo si concentra sulla
tabellina dell’otto: ottanta euro di qui, ottanta euro di là, e pare che il
ministro Padoan si adegui (ottocentomila posti di lavoro). Probabile che sia
una di quelle trovate dei guru della comunicazione: “ottanta euro” è ormai
entrato nelle orecchie, nelle menti, nei cuori e in parecchi bilanci famigliari
e tanto vale farne un brand. Avvertenza importante, qui non si fa facile
snobismo: 80 euro sono 80 euro, in un anno fanno 960, che non bastano certo per
invogliare a fare un bambino, ma che possono alleggerire un po’ la vita a chi
già lo sta facendo. Questo per dire che non metteremo qui in dubbio la
contadinissima e saggia teoria delle nostre nonne: se qualcuno ti regala dei
soldi, tu prendili. Ora si tratta di capire cosa si cede in cambio di ottanta
euro, siano quelli della “più grande riduzione fiscale” nella storia della
galassia, siano quelli del bonus bebé, siano quelli prossimi venturi (ottanta
euro a chi non si tinge i capelli, a chi smette di fumare, a chi sa cambiare
una gomma alla macchina, eccetera). La sensazione è che si richieda, in cambio
di quei soldi, una soddisfatta rinuncia a soluzioni strutturali. Per dire: in
un paese dove ci sono un milione e 400 mila bambini in situazione di povertà
assoluta, consegnare dei soldi a chi fa un bambino, anche se ha un reddito che
sfiora i 90.000 euro annui, fa un po’ impressione. Così come avrebbe dovuto
fare un po’ impressione il regalo di altri soldi (80 euro) a chi guadagna dagli
otto ai venticinque mila euro l’anno, senza darli a chi ne guadagna addirittura
meno. Ma questo è un punto economico. C’è invece anche un punto politico che
vale la pena di esplorare. Se diventa una prassi quella di sganciare un po’ di
soldi “a tema” anziché affrontare seriamente le carenze strutturali del
welfare, la strada che si segue è quella di un potere lievemente medievale. Il
signore dà al contado, se e quando gli va, se e quando ne ha voglia. Il contado
applaude. Il signore decide chi premiare, con un occhio di riguardo per il suo
elettorato o quello che potrebbe diventarlo. (…). Lo scambio di un diritto
(contratto, stipendio decente, assistenza, welfare) per un po’ di contante è
reso affascinante dalla crisi corrente e da una certa – abilmente costruita –
diffidenza nei confronti dei diritti. Cioè: se si fa strada l’impressione che i
diritti acquisiti si possono cancellare con un decreto legge, una delega in
bianco, un voto di fiducia, significa che non sono così granitici e sicuri.
Meglio ottanta euro subito piuttosto di certe garanzie che possono sparire da
un momento all’altro. Si tratta, diciamo così, di un welfare-beneficienza al
posto di un welfare-equità. La differenza è piuttosto evidente, ma mai evidente
come mettersi in tasca 80 euro. Il che stravolge alcuni famosi proverbi. Sarà
che è meglio un uovo oggi che una gallina domani, ma qui si va oltre. Si uccide
la gallina oggi per avere un uovo oggi. E domani? Si vedrà: al buon cuore di
chi lascia la mancia.
Da “80 euro:
il grande flop certificato pure dal Tesoro” di Stefano Feltri, su “il Fatto
Quotidiano” del 14 di gennaio 2015: Se non ci fosse stato l’eccidio di Parigi,
le prime pagine dei giornali in questi giorni sarebbero andate al flop degli 80
euro, ora definitivamente certificato dall’Istat e ammesso dal ministero del
Tesoro. Il 9 gennaio l’Istituto di statistica ha pubblicato il documento
“Reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società”. La parte importante
è questa: tra il secondo e il terzo trimestre 2014 (cioè luglio-settembre
confrontato con aprile-giugno) il reddito lordo delle famiglie è aumentato
dell’1,8 per cento. Grazie ai prezzi stabili o in calo, il potere d’acquisto
(cioè il reddito al netto dell’inflazione) è salito addirittura dell’1,9. Il
merito è del bonus da 80 euro che Renzi ha fatto trovare in busta paga ai
lavoratori dipendenti a reddito medio-basso da maggio. Di quanto è aumentata la
spesa per consumi finali, cioè la cosiddetta “domanda interna”? Zero. Anzi:
“0,0”. C’è un piccolo aumento dello 0,4 per cento tra terzo trimestre 2014 e
terzo 2013, ma per definire un successo la scelta del governo l’aumento doveva
essere rispetto ai mesi precedenti. Qualche settimana fa, in un’intervista
al Fatto, lo psicologo Paolo Legrenzi aveva spiegato bene il problema: in
questa crisi gli italiani hanno visto ridursi i risparmi (crolli di Borsa),
intaccati anche per compensare il calo dei redditi dovuti alla perdita di
lavoro, e perfino le case hanno iniziato a scendere di valore. Le ricerche
sulla psicologia degli investitori dimostrano che le perdite sono percepite
molto più dei guadagni. Appena possibile, gli italiani hanno cercato di
ricostruire quel cuscinetto di risparmi che considerano prioritario rispetto
all’aumento dei consumi. Il Tesoro, con un comunicato, non solo ammette questo
meccanismo, ma specifica che “non sorprende”. Si legge che “il ministro Padoan
ha più volte sostenuto che le famiglie tendono a ricostruire lo stock di risparmio
intaccato durante la crisi prima di riprendere il livello adeguato di consumi e
investimenti”. Ma se Padoan lo sapeva, perché ha avallato una misura che costa
10 miliardi all’anno e il cui unico scopo (a parte far vincere le europee al
Pd) è stimolare i consumi interni? L’ex ministro Enrico Giovannini ha spiegato
che con la somma spesa per il bonus da 80 euro si sarebbe potuta azzerare la
povertà assoluta in Italia (la soglia varia dagli 820 euro per una persona
nelle grandi città ai 549 del Sud), cioè permettere un livello di consumi
dignitoso a chi oggi non può affrontarlo. Magari l’impatto politico sarebbe
stato minore, ma quello economico superiore: i poveri, per definizione, non
possono risparmiare. Renzi però ha scelto un’altra strada e Padoan, pur sapendo
evidentemente che era sbagliata, ha applicato la scelta.
Da “Gli 80
euro pagati dalle nostre imposte” di Franco Mostacci, su “il Fatto Quotidiano”
dell’11 di marzo 2015: Nei giorni scorsi l'Istat ha sentenziato che
nel 2014 la pressione fiscale (entrate tributarie e contributive rispetto al
Pil) è stata di 43,5 per cento, in aumento di un decimo sul 2013. Pronta la
reazione del ministero dell'Economia, secondo cui se gli 80 euro mensili di cui
beneficiano alcuni lavoratori dipendenti fossero conteggiati come detrazione
fiscale anziché spesa sociale, l'effettiva pressione fi scale sarebbe di 43,1
per cento. Quindi, in diminuzione. Naturalmente hanno entrambi ragione.
L'astruso meccanismo di concessione del bonus, pur essendo legato al reddito
lordo e conguagliato con la dichiarazione dei redditi, per qualche oscura
ragione - forse legata alla possibile illegittimità di un beneficio fiscale a
vantaggio solo di alcuni non entra nel computo delle imposte e, secondo le
regole internazionali del Sistema dei conti economici, è registrato come una
maggiore uscita corrente e non come una minore entrata. Un discorso
ragionieristico che interessa ben poco alle famiglie, le quali vorrebbero solo
capire se alla fine ci hanno rimesso o ci hanno guadagnato. Il bonus ai
lavoratori dipendenti che hanno uno stipendio lordo compreso tra poco più di
8.000 euro e 26.000 euro, ha comportato per lo Stato un esborso complessivo di
6,5 miliardi di euro nel 2014. Di contro, lo Stato ha incassato 2,2 miliardi di
euro in più di Iva; 0,6 miliardi in più tra addizionale regionale e comunale e
5,4 miliardi in più per le tasse sulle case (Imu e Tasi), in gran parte pagate
dalle famiglie. In totale fanno 8,2 miliardi di euro. Quindi, il bonus di 80
euro è stato finanziato con maggiori tasse pagate dalle famiglie stesse. Resta
da verificare se il provvedimento, fortemente voluto dal premier Matteo Renzi
alla vigilia delle elezioni europee, ha avuto, quantomeno, un effetto
redistributivo dai più ricchi ai più poveri, agendo da stimolo per i consumi.
Considerata la platea dei beneficiari e gli studi finora effettuati, anche
questo sembra però da escludere.
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