"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 13 marzo 2015

Oltrelenews. 27 “80 €”.



Da “Filosofia 80 euro: se vuoi l’uovo oggi uccidi la gallina domani” di Alessandro Robecchi,  pubblicato su “il Fatto Quotidiano” del 22 di ottobre 2014: Sfugge il perché della cifra, ma sono sempre ottanta. Silvio preferiva i multipli di dieci: un milione di posti di lavoro, mille euro a chi fa un bambino, eccetera eccetera. Matteo si concentra sulla tabellina dell’otto: ottanta euro di qui, ottanta euro di là, e pare che il ministro Padoan si adegui (ottocentomila posti di lavoro). Probabile che sia una di quelle trovate dei guru della comunicazione: “ottanta euro” è ormai entrato nelle orecchie, nelle menti, nei cuori e in parecchi bilanci famigliari e tanto vale farne un brand. Avvertenza importante, qui non si fa facile snobismo: 80 euro sono 80 euro, in un anno fanno 960, che non bastano certo per invogliare a fare un bambino, ma che possono alleggerire un po’ la vita a chi già lo sta facendo. Questo per dire che non metteremo qui in dubbio la contadinissima e saggia teoria delle nostre nonne: se qualcuno ti regala dei soldi, tu prendili. Ora si tratta di capire cosa si cede in cambio di ottanta euro, siano quelli della “più grande riduzione fiscale” nella storia della galassia, siano quelli del bonus bebé, siano quelli prossimi venturi (ottanta euro a chi non si tinge i capelli, a chi smette di fumare, a chi sa cambiare una gomma alla macchina, eccetera). La sensazione è che si richieda, in cambio di quei soldi, una soddisfatta rinuncia a soluzioni strutturali. Per dire: in un paese dove ci sono un milione e 400 mila bambini in situazione di povertà assoluta, consegnare dei soldi a chi fa un bambino, anche se ha un reddito che sfiora i 90.000 euro annui, fa un po’ impressione. Così come avrebbe dovuto fare un po’ impressione il regalo di altri soldi (80 euro) a chi guadagna dagli otto ai venticinque mila euro l’anno, senza darli a chi ne guadagna addirittura meno. Ma questo è un punto economico. C’è invece anche un punto politico che vale la pena di esplorare. Se diventa una prassi quella di sganciare un po’ di soldi “a tema” anziché affrontare seriamente le carenze strutturali del welfare, la strada che si segue è quella di un potere lievemente medievale. Il signore dà al contado, se e quando gli va, se e quando ne ha voglia. Il contado applaude. Il signore decide chi premiare, con un occhio di riguardo per il suo elettorato o quello che potrebbe diventarlo. (…). Lo scambio di un diritto (contratto, stipendio decente, assistenza, welfare) per un po’ di contante è reso affascinante dalla crisi corrente e da una certa – abilmente costruita – diffidenza nei confronti dei diritti. Cioè: se si fa strada l’impressione che i diritti acquisiti si possono cancellare con un decreto legge, una delega in bianco, un voto di fiducia, significa che non sono così granitici e sicuri. Meglio ottanta euro subito piuttosto di certe garanzie che possono sparire da un momento all’altro. Si tratta, diciamo così, di un welfare-beneficienza al posto di un welfare-equità. La differenza è piuttosto evidente, ma mai evidente come mettersi in tasca 80 euro. Il che stravolge alcuni famosi proverbi. Sarà che è meglio un uovo oggi che una gallina domani, ma qui si va oltre. Si uccide la gallina oggi per avere un uovo oggi. E domani? Si vedrà: al buon cuore di chi lascia la mancia. 

Da “80 euro: il grande flop certificato pure dal Tesoro” di Stefano Feltri, su “il Fatto Quotidiano” del 14 di gennaio 2015: Se non ci fosse stato l’eccidio di Parigi, le prime pagine dei giornali in questi giorni sarebbero andate al flop degli 80 euro, ora definitivamente certificato dall’Istat e ammesso dal ministero del Tesoro. Il 9 gennaio l’Istituto di statistica ha pubblicato il documento “Reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società”. La parte importante è questa: tra il secondo e il terzo trimestre 2014 (cioè luglio-settembre confrontato con aprile-giugno) il reddito lordo delle famiglie è aumentato dell’1,8 per cento. Grazie ai prezzi stabili o in calo, il potere d’acquisto (cioè il reddito al netto dell’inflazione) è salito addirittura dell’1,9. Il merito è del bonus da 80 euro che Renzi ha fatto trovare in busta paga ai lavoratori dipendenti a reddito medio-basso da maggio. Di quanto è aumentata la spesa per consumi finali, cioè la cosiddetta “domanda interna”? Zero. Anzi: “0,0”. C’è un piccolo aumento dello 0,4 per cento tra terzo trimestre 2014 e terzo 2013, ma per definire un successo la scelta del governo l’aumento doveva essere rispetto ai mesi precedenti. Qualche settimana fa, in un’intervista al Fatto, lo psicologo Paolo Legrenzi aveva spiegato bene il problema: in questa crisi gli italiani hanno visto ridursi i risparmi (crolli di Borsa), intaccati anche per compensare il calo dei redditi dovuti alla perdita di lavoro, e perfino le case hanno iniziato a scendere di valore. Le ricerche sulla psicologia degli investitori dimostrano che le perdite sono percepite molto più dei guadagni. Appena possibile, gli italiani hanno cercato di ricostruire quel cuscinetto di risparmi che considerano prioritario rispetto all’aumento dei consumi. Il Tesoro, con un comunicato, non solo ammette questo meccanismo, ma specifica che “non sorprende”. Si legge che “il ministro Padoan ha più volte sostenuto che le famiglie tendono a ricostruire lo stock di risparmio intaccato durante la crisi prima di riprendere il livello adeguato di consumi e investimenti”. Ma se Padoan lo sapeva, perché ha avallato una misura che costa 10 miliardi all’anno e il cui unico scopo (a parte far vincere le europee al Pd) è stimolare i consumi interni? L’ex ministro Enrico Giovannini ha spiegato che con la somma spesa per il bonus da 80 euro si sarebbe potuta azzerare la povertà assoluta in Italia (la soglia varia dagli 820 euro per una persona nelle grandi città ai 549 del Sud), cioè permettere un livello di consumi dignitoso a chi oggi non può affrontarlo. Magari l’impatto politico sarebbe stato minore, ma quello economico superiore: i poveri, per definizione, non possono risparmiare. Renzi però ha scelto un’altra strada e Padoan, pur sapendo evidentemente che era sbagliata, ha applicato la scelta.

Da “Gli 80 euro pagati dalle nostre imposte” di Franco Mostacci, su “il Fatto Quotidiano” dell’11 di marzo 2015: Nei giorni scorsi l'Istat ha sentenziato che nel 2014 la pressione fiscale (entrate tributarie e contributive rispetto al Pil) è stata di 43,5 per cento, in aumento di un decimo sul 2013. Pronta la reazione del ministero dell'Economia, secondo cui se gli 80 euro mensili di cui beneficiano alcuni lavoratori dipendenti fossero conteggiati come detrazione fiscale anziché spesa sociale, l'effettiva pressione fi scale sarebbe di 43,1 per cento. Quindi, in diminuzione. Naturalmente hanno entrambi ragione. L'astruso meccanismo di concessione del bonus, pur essendo legato al reddito lordo e conguagliato con la dichiarazione dei redditi, per qualche oscura ragione - forse legata alla possibile illegittimità di un beneficio fiscale a vantaggio solo di alcuni non entra nel computo delle imposte e, secondo le regole internazionali del Sistema dei conti economici, è registrato come una maggiore uscita corrente e non come una minore entrata. Un discorso ragionieristico che interessa ben poco alle famiglie, le quali vorrebbero solo capire se alla fine ci hanno rimesso o ci hanno guadagnato. Il bonus ai lavoratori dipendenti che hanno uno stipendio lordo compreso tra poco più di 8.000 euro e 26.000 euro, ha comportato per lo Stato un esborso complessivo di 6,5 miliardi di euro nel 2014. Di contro, lo Stato ha incassato 2,2 miliardi di euro in più di Iva; 0,6 miliardi in più tra addizionale regionale e comunale e 5,4 miliardi in più per le tasse sulle case (Imu e Tasi), in gran parte pagate dalle famiglie. In totale fanno 8,2 miliardi di euro. Quindi, il bonus di 80 euro è stato finanziato con maggiori tasse pagate dalle famiglie stesse. Resta da verificare se il provvedimento, fortemente voluto dal premier Matteo Renzi alla vigilia delle elezioni europee, ha avuto, quantomeno, un effetto redistributivo dai più ricchi ai più poveri, agendo da stimolo per i consumi. Considerata la platea dei beneficiari e gli studi finora effettuati, anche questo sembra però da escludere.

Nessun commento:

Posta un commento