"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi

"Il bruco (2017)". Foto di Aldo Ettore Quagliozzi
"Il bruco" (2017). Nikon Coolpix P900. Foto macro. Stato larvale della falena diurna "Macroglossum stellatarum" volgarmente detta "sfinge colibrì".

venerdì 6 febbraio 2015

Oltrelenews. 22 “Primarie”.



Da “Il lato oscuro delle primarie aperte a tutti” di Nadia Urbinati, sul quotidiano la Repubblica del 14 di gennaio 2015: (…). La candidata Raffaella Paita ha vinto le primarie liguri anche con il voto di simpatizzanti del centrodestra. Nei giorni scorsi, elementi di Forza Italia e del Ncd hanno annunciato pubblicamente il loro appoggio alla candidata che correva contro Sergio Cofferati. Questo è uno degli effetti deleteri delle primarie aperte: il fatto che il Pd possa diventare il partito di tutti. Non solo partito nazionale, come anche desidera il suo segretario, non solo partito che piglia tutto, ma purtroppo anche un partito che può essere preso da chi vuole. Oltretutto, le primarie aperte sono aggravate anche dal fatto che non c'è una legge dello Stato che regoli le primarie e le istituisca per tutti i partiti. Ciò rende la situazione ancora più paradossale e al limite della legittimità: ci sono alcuni elettori (nel caso ligure quelli di centro destra) che hanno un potere doppio rispetto ad altri elettori (quelli del Pd) in quanto possono determinare il risultato in due schieramenti.
Ma anche se le primarie fossero regolate da una legge nazionale, il caso di Genova dimostra che quelle aperte possono annullare il diritto di associazione politica. A provarlo sono gli Stati Uniti, il paese che il Pd ha preso a modello per le primarie. Le primarie americane hanno una lunga storia. Vennero istituite nel 1899 con lo scopo benemerito di detronizzare le clientele e la macchina dei partiti ricorrendo al voto di tutto il popolo per ridare credibilità alla politica. Le primarie sono state un vero e proprio processo di sperimentazione, modificate varie volte. Con le riforme del 1968 e del 1972, il Partito Democratico le adottò anche per selezionare i delegati al congresso del partito. Nei propositi dei riformatori, le primarie dovevano essere aperte perché avevano il compito di disincentivare la partigianeria, accusata di essere dannosa per il bene comune. Ancora oggi nei vari stati sono in vigore varie forme di primarie, secondo modelli più partigiani (primarie chiuse) o meno partigiani (primarie aperte). Le primarie aperte hanno fatto gridare allo scandalo varie volte, per esempio quando si seppe che in quelle democratiche del Massachusetts, nel 1992, Mitt Romney (rivale di Obama nelle ultime elezioni) votò per uno dei candidati e si giustificò così: «Quando non ci sono reali contendenti nel mio partito voto nelle primarie dei democratici per il candidato che per i repubblicani è l'oppositore più debole». Le primarie aperte, dunque, non sempre valgono a disincentivare la partigianeria politica, ma anzi possono diventare un modo subdolo per far vincere i partigiani più accaniti. Nel 2000 l'ecumenismo delle primarie aperte della California è stato cassato dalla Corte Suprema degli Stati Uniti con la motivazione secondo cui esse trasformano i partiti al punto che i cittadini non li riconoscono più. Sfumare idee, fini e obiettivi per presentarsi a tutti gli elettori indistintamente significa togliere quei punti di riferimento rispetto ai quali i cittadini possono scegliere un partito invece di un altro. Secondo i giudici americani, inoltre, con le consultazioni aperte i votanti perdono anche il senso della libertà di associazione. Ma oltre a ciò, le primarie aperte possono diventare, come la sentenza californiana suggerisce, una porta spalancata alla manipolazione del voto e alla disintegrazione del partito.

Da “Primarie Pd, sono ammessi pure i condomini della scala accanto” di Alessandro Robecchi, su “il Fatto Quotidiano” del 21 di gennaio 2015: Buone notizie per il Pd: alle primarie liguri non hanno votato il Boia di Riga, né Italo Balbo, né il consigliere militare dell’Imperatore Hiro Hito, quindi l’inquinamento del voto di destra appare limitato e va tutto benissimo. L’equipaggio di cosmonauti alieni che ha votato ad Albenga è stato smascherato: erano quattro tizi dell’Ncd ansiosi di partecipare alla vita interna di un partito diverso dal loro. Pattuglie di scajoliani ai seggi hanno garantito trasparenza e buon andamento delle operazioni di voto. Poi Cofferati se n’è andato, chissà perché. Le cinque paginette della Commissione dei garanti sono illuminanti: da un lato (i garanti del Pd) si ammettono i brogli e dall’altro (il Pd) si spernacchia l’imbrogliato. Non fa una piega. Il consiglio di amministrazione della Coca Cola che corre a votare il presidente della Pepsi non si vedrà mai, e se un giorno alla Samsung facessero le primarie per eleggere i loro vertici, si può star certi che ai dirigenti di Apple sarebbe impedito il voto. In America nessun repubblicano va a votare alle primarie dei democratici. La grande lezione di democrazia e di società aperta che ci viene dal Pd, dunque, è quella che i suoi dirigenti, segretari e candidati governatori possano essere scelti anche dagli avversari politici, speranzosi di qualche accordo o larga intesa. Ma lasciamo stare per un attimo la certificata truffa ai danni di questo o quel candidato, e pensiamo per un attimo al trattamento riservato all’elettore del Pd che va, convinto e determinato, a votare per indicare democraticamente il suo candidato alle regionali. Come si sentirà? Forse come uno che va all’assemblea di condominio e scopre che tutti i condomini dei palazzi vicini potevano votare, e hanno deciso di fargli un garage multipiano in giardino. Ecco. Qualunque onesto, convinto e responsabile elettore del Pd dovrebbe sentirsi un po’ offeso. Ciò riguarda, forse e soprattutto, la stessa filosofia delle primarie, che per anni e anni è stata uno degli argomenti forti del centrosinistra contro il centrodestra. “Noi facciamo i congressi”, “Noi facciamo le primarie”, erano mantra ossessivi sì, ma veritieri: da un lato una destra di proprietà di Berlusconi, e dall’altro una sinistra della base, capace di scegliersi i capi con libera espressione del voto interno. E da qui, una specie di “primato”, se non morale almeno politico: una base consapevole sembrava assai meglio sia delle decisioni prese in villa prima dopo (o durante) le cene eleganti, sia delle consultazioni online grillesche a cui partecipava lo zero virgola degli elettori complessivi del movimento. Ora (non solo la Liguria, ma Roma dopo quel che è emerso dalle inchieste, Napoli nel 2011, il dibattito serrato se farle o no in Campania) quel “primato” non c’è più, e il centrosinistra perde un argomento forte, annichilisce una differenza notevole con i suoi avversari. Il che – essere sempre meno diversi dalla destra – va d’accordo, e parecchio, con la linea politica dell’attuale vertice del partito: una larga intesa perenne, ricercata con costanza, non solo sulle questioni di tattica e strategia politica, di patti segreti, di accordi, ma anche sul piano ideale e sull’idea di democrazia. Il dibattito su quanti elettori del Pd andrebbero un domani con Civati, con Cofferati, con Fassina e forse Landini, o questo o quello, non è troppo appassionante. Ma vedere come quegli elettori reagiranno a una specie di mutazione genetica del loro partito sì, sarà istruttivo e interessante.

Da “Pri-ma-rie-pri-ma-rie!” di Marco Travaglio, su “il Fatto Quotidiano” del 20 di dicembre dell’anno 2014: (…). La situazione, (…), è tragica ma non seria: roba da repubblichetta delle banane o da suk levantino, anche se nessuno osa dirlo. Un intero Paese, con tutti i suoi problemi, è appeso ai capricci di un anziano e bizzoso signore che l’anno scorso si fece rieleggere ben sapendo di non poter concludere il mandato e per giunta a condizione che i partiti facessero in pochi mesi ciò che non avevano fatto in vent’anni: infatti non han fatto nulla e lui ora vorrebbe che lo facessero in pochi giorni, per non doversene andare con una dichiarazione di totale fallimento. La pochade condiziona l’elezione del successore, che lui vorrebbe uguale a se stesso, e stravolge i criteri che il Parlamento dovrebbe seguire per scegliere la figura migliore: un uomo di legge, super partes, che recuperi la funzione costituzionale di supremo garante smarrita da nove anni. L’altroieri la signorina Boschi farfugliava di un “accordo con Forza Italia su Italicum e Quirinale”. Bella prospettiva, che ci ripiomberebbe nell’incubo dell’aprile 2013, quando Bersani non trovò di meglio che incontrare furtivamente B. e Verdini dopo il tramonto, in un ufficetto di Montecitorio, per sottoporre loro una rosa di nomi impresentabili, da cui i due galantuomini estrassero Marini. Nella certezza che non sarebbe passato e si sarebbe dunque rieletto, previo massacro di Prodi, il loro vero candidato: Napolitano. Intanto i 5Stelle facevano la miglior cosa della loro breve avventura parlamentare: interpellavano gli iscritti, i quali indicavano personalità di grande spessore morale e di provata indipendenza come Gabanelli, Strada, Rodotà, Zagrebelsky. La rinuncia dei primi due portava alla scelta del terzo, che la base del Pd mostrava di gradire a tal punto che, incaprettato Prodi, decine di sedi venivano occupate da dirigenti locali ed elettori inneggianti a Ro-do-tà-Ro-do-tà. Se i vertici li avessero ascoltati, anziché ripiegare sulla riesumazione dell’Ancien Régime, oggi avremmo un presidente garante per sette anni, forse anche un governo di vero cambiamento e una legge elettorale decente, senza le vergogne dell’ultimo anno e mezzo. (…).

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